- Il via libera del gran giurì di New York all’incriminazione di Donald Trump per il silenzio comprato alla pornostar Stormy Daniels suscita una domanda: l’ex presidente può ricandidarsi alle elezioni da imputato o è ineleggibile?
- Risposta breve: non ci sono leggi che impediscono la sua ricandidatura. È infatti la Costituzione che sancisce i criteri di eleggibilità del presidente e un’ampia serie di sentenze della Corte suprema ha confermato che il Congresso – cioè chi fa le leggi – non ha il potere di cambiarli.
- Il fatto curioso è che la comunità politica e giuridica ha accertato questa interpretazione quando nel 2015 un problema analogo si è posto con il caso delle email di Hillary Clinton.
Il via libera del gran giurì di New York all’incriminazione di Donald Trump per il silenzio comprato alla pornostar Stormy Daniels – vedremo nei prossimi giorni con quali capi di imputazione – suscita una domanda: l’ex presidente può ricandidarsi alle elezioni da imputato o è ineleggibile?
Risposta breve: non ci sono leggi che impediscono la sua ricandidatura. È infatti la Costituzione che sancisce i criteri di eleggibilità del presidente e un’ampia serie di sentenze della Corte suprema ha confermato che il Congresso – cioè chi fa le leggi – non ha il potere di cambiarli.
Serve l’impeachment
La Costituzione prevede che un presidente possa essere rimosso oppure reso ineleggibile esclusivamente attraverso una procedura apposita, l’impeachment, ma non attraverso la legge ordinaria, che a quel punto verrebbe impropriamente usata come una forma di impeachment indiretto, in chiara violazione della Costituzione.
Il fatto curioso è che la comunità politica e giuridica ha accertato questa interpretazione, con un consenso solido e trasversale, quando nel 2015 un problema analogo si è posto con il caso delle decine di migliaia di email governative di Hillary Clinton, molte delle quali erano transitate (e poi in parte sparite) in un server privato.
Allora erano stati naturalmente i repubblicani a sventolare la legge per dimostrare l’ineleggibilità dell’avversaria qualora fosse stata incriminata (cosa che non è avvenuta) e l’ex procuratore generale, Mike Mukasey, sollecitato dai colleghi repubblicani, si era spinto a formulare l’ipotesi della ineleggibilità di Clinton per via legale.
Una schiera di costituzionalisti aveva fatto presente a Mukasey che la legge non può nulla contro il mandato costituzionale, che esplicitamente impedisce al Congresso di stabilire chi e in quali condizioni possa essere eletto alla Casa Bianca.
Il giurista Seth Tillman aveva pubblicato sul Washington Post un’articolata confutazione giuridica della tesi legalista, citando sentenze della Corte suprema tutte allineate in quella direzione, e sportivamente Mukasey aveva alla fine concesso che l’interpretazione di Tillman era corretta e la sua sbagliata: «La squalifica prevista nella sezione 2071 potrebbe dimostrare quanto il Congresso prende sul serio la violazione in questione, e quanto noi dovremmo prenderla sul serio, ma niente di più».
Le reazioni
Insomma, la legge in questo caso offre un buon orientamento sull’opportunità di candidarsi per chi distrugge documenti classificati, ma formalmente non lo può impedire. Altra curiosità: nel flusso delle reazioni incandescenti dopo la devastante notizia della perquisizione di Mar-a-Lago una delle voci che subito hanno puntato alla legge in questione per sostenere l’eventuale ineleggibilità di Trump è stata quella dell’avvocato democratico Marc Elias.
Elias è stato consigliere legale della campagna presidenziale di Hillary Clinton, dunque dovrebbe ricordarsi molto bene di quella volta in cui i suoi avversari hanno provato a disarcionarla proprio appellandosi a quella sezione del codice. Allora lui faceva riferimento alla Costituzione e derideva l’interpretazione letterale della legge, mentre oggi, a parti invertite, la pensa al contrario.
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