Il discorso di addio alla ricandidatura del presidente Joe Biden, pur significativo per la sua importanza storica, è rimasto solo poche ore nella homepage dei giornali di tutto il mondo. Poi è scivolato nelle pagine politiche, senza lasciare un segno sulla giornata.

Del resto forse sta proprio in questo la particolarità dell’attuale inquilino della Casa Bianca, la discrepanza tra un presidente straordinariamente efficace dal punto di vista legislativo ma poco incisivo dietro a un microfono, eredità forse della balbuzie infantile superata con molta difficoltà che lo avrebbe poi reso estremamente capace a dibattere, anche negli anni.

Ne sa qualcosa Paul Ryan, nel 2012 candidato vicepresidente per i repubblicani, stracciato nell’unico dibattito tra numeri due di quella tornata elettorale. Non lo sa invece chi ha seguito la sfida di fronte alle telecamere dello scorso 27 giugno dove è apparso fragile, anziano e spesso perso di fronte a un Donald Trump estremamente più energico. Eppure, i contenuti del suo discorso sono stati molto significativi, con riferimenti molto elevati.

Riferimenti elevati

Biden ha iniziato indicando i ritratti di alcuni grandi presidenti nello Studio Ovale, come George Washington che ha affermato che «i presidenti non sono re» e Thomas Jefferson che ha «scritto le parole immortali che guidano questa nazione» riferendosi alla dichiarazione d’indipendenza.

Ha citato Benjamin Franklin, il presidente, a proposito della fondazione degli Stati Uniti, con la frase riguardante la forma di governo scelta dalla nuova nazione: «Una repubblica, se voi riuscirete a mantenerla».

Ed è questa l’idea forte dietro al discorso con cui l’anziano statista ha abbandonato la campagna elettorale senza però lasciare l’incarico dal quale «continuerà a lottare per i vostri diritti civili, la libertà di voto e la libertà di scelta», senza dimenticare l’economia e lo sforzo per alleggerire il bilancio delle famiglie americane.

Quindi ha rimarcato la differenza con Donald Trump, evocato affermando che «qui in America non governano re e dittatori, ma siete voi, il popolo che dovrete decidere a novembre». Per chiudere con l’elogio per «la nostra grande vicepresidente» Kamala Harris, che è «tosta, capace» e sarà anche in grado non solo di reggere il vessillo dei democratici.

L’eredità

Lo stendardo è stato passato, dunque, ma cosa resta di Biden? Un presidente che, in termini di retorica, si distacca molto dai predecessori immediati, non solo dem come Barack Obama e Bill Clinton, ma anche da Trump che con il suo discorso inaugurale, il 20 gennaio 2017, ha lasciato il segno nel dibattito americano.

Biden non ha mai sfruttato appieno questa parte “motivazionale” della presidenza. E non c’entra solo il suo declino psico-fisico. Semplicemente si è concentrato sulla tessitura di accordi bipartisan per realizzare leggi su infrastrutture, produzione di semiconduttori e lotta al cambiamento climatico oltreché naturalmente interventi di sostegno all’economia.

Se nel 2020, dopo quattro anni di Trump, una figura così poco attenta alla sua retorica ha funzionato perché rappresentava un “ritorno alla normalità”, nel 2024 questo non è più un argomento. E il “salvare la democrazia” senza un tono ispirante appare all’elettorato come qualcosa di profondamente vuoto.

A ogni modo Biden, in questi ultimi mesi alla Casa Bianca, sarà un presidente molto simile a quelli ottocenteschi, che raramente apparivano in pubblico e in certi casi, ad esempio per Thomas Jefferson, preferivano inviare discorsi scritti.

Sostegno a Harris

Quindi quale aiuto può dare alla sua vice candidata nei prossimi mesi? Difficilmente può spostare consensi dal palco, ma può pesare con quanto fatto in questi anni: ad esempio per quanto riguarda la tenuta economica del paese.

I dati del secondo trimestre del 2024 hanno registrato una crescita del Pil del 2,8 per cento, superiore alle attese, che potrebbe portare tra qualche mese a un taglio dei tassi d’interesse da parte della Federal reserve che renderebbe più facile prendere in prestito denaro.

Il recente passato poi mostra che, quando un presidente non è più candidato, recupera popolarità: così era accaduto a Obama dopo le disastrose elezioni di midterm del 2014, con il livello di gradimento che sarebbe rimasto fino a fine mandato sopra al 50 per cento.

Anche per Biden, ormai fuori dal mirino dei repubblicani concentrati a battere «l’estremista» Kamala Harris, potrebbe tentare questa via di aiutare la sua vice attraverso provvedimenti approvati tramite decreto esecutivo che non prevedono passaggi congressuali.

Ad esempio la cancellazione del debito sanitario per chi non può pagare, provvedimento molto popolare tra i progressisti, potrebbe rendere stranamente funzionante questo tandem tra il presidente e la candidata, facendo un’equa ripartizione del lavoro e facendo rilassare un Biden che ha sempre preferito le aule della politica al palco di un comizio.

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