A Kiev si continua a temere la mobilitazione militare russa in risposta all’attentato di Mosca, ma dopo le accuse a Stati Uniti e Ucraina il Cremlino prende tempo. Lettera dei premi Nobel a favore dell’Ucraina
Repressione interna, stretta sull’immigrazione dall’Asia centrale, ripristino della pena di morte e una nuova mobilitazione militare. Sono queste le possibili risposte che il Cremlino potrebbe dare all’attacco al centro commerciale di Mosca di cui si discute in Russia e fuori. Il bilancio delle vittime intanto è salito a 140 in seguito alla morte di tre persone rimaste ferite nella sparatoria.
Nel frattempo, 39 premi Nobel hanno scritto una lettera aperta per chiedere ai governi mondiali nuovi sforzi a sostegno dell’Ucraina e della società civile russa che lotta contro il regime.
Controindicazioni
La versione ufficiale del Cremlino è che l’attentato di venerdì sia stato indirettamente realizzato con la collaborazione di Stati Uniti, Regno Unito e Ucraina. Ma gli alti ranghi delle forze di sicurezza non credono a questa versione. Secondo l’agenzia Bloomberg, nel corso di una riunione con Putin, alcuni di loro avrebbero detto chiaramente al presidente che l’Ucraina non aveva nulla a che fare con l’attacco.
Nonostante i dubbi diffusi persino tra le personalità del regime, ieri i giornali russi ieri erano pieni di opinioni di “esperti” ed editoriali sul “grande complotto” che il cosiddetto “occidente collettivo” avrebbe organizzato contro la Russia. Quello che mancava era invece una risposta concreta a questo supposto attacco.
In Ucraina si teme in particolare la dichiarazione di guerra – ufficialmente quella in corso è ancora una “operazione militare speciale” – e quindi la mobilitazione di centinaia di migliaia di riservisti. Proprio ieri, il giornale indipendente russo Novaya Gazeta ricordava che per la sua programmata offensiva estiva, il Cremlino avrebbe bisogno di 300-400mila nuovi soldati e che è molto difficile arrivare a numeri così grandi senza adottare misura impossibili da tenere nascoste. Allo stesso tempo, il quotidiano sottolineava le difficoltà logistiche di una simile mossa e i problemi politici che potrebbe comportare.
Una stretta contro l’immigrazione dall’Asia centrale, la regione da dove provengono i quattro sospettati, è un’altra delle misure invocate in questi giorni. Ma con l’industria russa, compresa quella della difesa, disperatamente a corto di manodopera sarebbe complicato per il Cremlino andare incontro alle richieste dei nazionalisti e limitare gli afflussi di migranti dalla regione.
Anche sul ripristino della pena di morte non sembra che le cose si stiano muovendo rapidamente. Pochi giorni fa, il Cremlino aveva fatto sapere chiaramente che per il momento non sta nemmeno considerando l’ipotesi. Ieri il giornale governativo Rossijskaja Gazeta è addirittura ricorso a un paragone (negativo) con gli anni dello stalinismo per ricordare i pericoli di un utilizzo indiscriminato di questa forma di punizione.
Bombe sull’Ucraina
Con il volto di Zelensky che campeggia sulle prime pagine dei giornali russi associato all'attacco di Mosca insieme a quelli di Biden e dell’ex primo ministro britannico Boris Johnson, una nuova rappresaglia missilistica sull’Ucraina sembra un’altra delle possibili carte in mano al Cremlino.
Ma la prospettiva non sembra preoccupare più di tanto gli ucraini. Dopo una settimana di intensi bombardamenti, iniziata ben prima dell’attacco al centro commerciale, martedì e mercoledì le sirene sono rimaste silenziose a Kiev. Dopo aver lanciato oltre 190 missili in un solo mese, la sensazione di molti è che la Russia stia già facendo il peggio di cui è capace.
Nemmeno l’utilizzo dei nuovi missili “ipersonici” Zircon, che hanno colpito la capitale lunedì, ha suscitato molta preoccupazione. Secondo i tecnici ucraini che hanno esaminato il missile, gli Zircon non sono ancora pronti per un uso operativo. Il loro volo è irregolare, i sistemi di puntamento sono imprecisi e la carica di esplosivo che contengono è molto ridotta. Appena 40 chilogrammi, con i 400 di gran parte degli altri missili russi.
Senza fretta
Per il momento il Cremlino sembra soprattutto intenzionato a prendere tempo. Come ha detto il portavoce di Putin questa settimana «è ancora presto» per parlare di rappresaglia. Ieri, il Comitato investigativo della Federazione russa ha annunciato che accoglierà un appello arrivato da un gruppo di deputati russi per indagare sugli atti di terrorismo compiuti in Russia da Stati Uniti e paesi occidentali, compreso l’assassinio di Daria Dugina, figlia del filosofo e nazionalista Alexander Dugin, la distruzione del gasdotto Nord Stream 2 e l’uccisione del corrispondente di guerra Vladen Tatarsky.
In altre parole, nuove indagini che con ogni probabilità confermeranno il “coinvolgimento” del malevolo occidente negli attacchi. Ma allo stesso tempo, mosse che non sembrano preludere allo scatenamento della Terza guerra mondiale. Lanciate le sue accuse di complicità a mezzo mondo, inserito l’attacco al centro commerciale nel quadro più ampio della guerra che l’occidente collettivo avrebbe lanciato contro la Russia, Putin non sembra avere fretta di elaborare una risposta specifica.
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