- «Il peggio deve ancora venire», dice Macron dopo una telefonata con Putin. Esistono due livelli negoziali, e c’è uno schema che si ripete. Anche se nel frattempo l’aggressività della Russia in Ucraina cresce.
- Sul piano interno però, gli effetti delle pressioni occidentali sul Cremlino si fanno sentire. Persino il colosso petrolifero russo Lukoil ora chiede lo stop alla guerra. Putin reagisce con la repressione interna.
- Intanto anche in Europa la pressione del conflitto porta a sviluppi politici di rilievo, ad esempio con l’attivazione di una leva di emergenza per accogliere gli ucraini in fuga.
Se si escludono le promesse tattiche di Mosca sui corridoi umanitari, che sono da mettere alla prova dei fatti, la seconda settimana di guerra inizia sotto i peggiori auspici. Spetta ancora una volta a Emmanuel Macron, il presidente francese che ha anche la presidenza di turno in Europa, dare il ritmo del conflitto: se fino a qualche giorno fa aveva detto che «la guerra è destinata a durare», ora aggiunge che «il peggio deve ancora venire». L’Eliseo lo fa sapere dopo oltre un’ora di telefonata con Vladimir Putin: è questo il livello parallelo di negoziati, che si intreccia con quello più teatrale dell’incontro tra la delegazione russa e quella ucraina.
Lo schema di dialogo
C’è uno schema che si ripete, anche se la gravità della situazione cresce. Lo schema è questo: c’è un round negoziale dichiarato, tra una delegazione ucraina e una russa, che non coinvolge i massimi vertici e che si incontra attorno a un tavolo in terra bielorussa. E poi c’è un livello di dialogo parallelo, di più alto respiro, tra il presidente russo in persona e gli europei, Macron in particolare: questo livello si dipana per telefono, nella stessa fase dell’altro. La prima volta che questo schema è andato in scena era lunedì. Il round negoziale nel quale Kiev, senza troppe aspettative, ha tentato il cessate il fuoco, si è svolto con Putin che mandava le bombe sulla capitale ucraina. Una manifestazione evidente delle reali intenzioni del Cremlino; e poco importa che nella conversazione telefonica con il presidente russo, svoltasi in quelle stesse ore, Macron avesse colto invece un impegno.
Questo giovedì lo schema si è ripetuto, pur con gradi diversi. Stavolta le due delegazioni si sono strette la mano, alla fine delle trattative Kiev ha comunicato di aver concordato corridoi umanitari per far evacuare i civili dai luoghi di combattimento, e un terzo round di colloqui. Mosca ha parlato di progressi significativi. Intanto il Cremlino colpiva senza esitazione i civili e, dopo aver già preso la città di Kharkiv, puntava verso Odessa. Neppure Macron stavolta ha potuto fraintendere promesse positive dopo l’ora e mezza di telefonata con Putin: «Mi aspetto che il peggio debba ancora avvenire», ha concluso l’Eliseo. Uno spiraglio diplomatico si apre in serata, quando filtra la notizia di un canale di dialogo aperto tra Pentagono e Cremlino.
Pressioni in campo
Questo giovedì pure l’ultimo ambasciatore occidentale, e cioè quello italiano Pier Francesco Zazo, ha lasciato Kiev per spostarsi a Leopoli; anche questo è un termometro della situazione sempre più difficile. Ma a chiarirlo è anche la retorica del Cremlino, che si combina con la sua aggressività bellica in Ucraina. Russi e ucraini sono un unico popolo, ha detto giovedì a portata di telecamera il presidente russo, e «non mi tirerò mai indietro, non rinuncerò», l’Ucraina al momento è in ostaggio di «neonazisti»: questa la versione di Putin.
Dalla parte opposta, Volodymyr Zelensky, il presidente ucraino che sfida quello russo a sedersi con lui attorno a un tavolo senza distanze. E che per fare pressione sulla Russia si rivolge alla Nato: «Cosa succede se l’Ucraina non riesce a fermare Putin? Se ci cancella, i prossimi saranno Lettonia, Lituania, Georgia, Moldavia. Grazie per le armi, ma forse è troppo tardi», dice Zelensky all’occidente. «Le sanzioni sono serie, ma continuate a mostrare il vostro potere».
Linee di frattura
Intanto si intravede qualche prima crepa nel sistema di potere di Putin. Questo giovedì Washington ha annunciato una nuova tranche di sanzioni contro l’establishment politico e finanziario di Mosca. Mentre Nancy Pelosi, la speaker democratica della Camera dei rappresentanti Usa, insisteva con la Casa Bianca per un blocco dell’importazione di petrolio dalla Russia, intanto il colosso petrolifero russo Lukoil ha preso posizione per lo stop alla guerra in Ucraina. Nel frattempo le pressioni economiche degli alleati occidentali si concretizzano: per le agenzie di rating Fitch e Moody’s il debito sovrano russo è declassato ormai a «spazzatura». Il fuggi fuggi delle multinazionali da Mosca continua e si allarga a Generali.
Intanto l’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, in linea con un establishment europeo che identifica nella persona di Putin il nemico da infragilire, festeggia con tanto di dichiarazione le proteste in Russia contro la guerra: «Viva il coraggio dei cittadini russi!», dice. Ma anche il presidente russo è consapevole dei rischi del dissenso, e non a caso – riferisce Borrell – «più di 7.600 manifestanti in 120 città sono stati arrestati dall’inizio dell’invasione». C’è anche la repressione sui media non allineati: «L’ufficio del procuratore generale chiede che Novaya Gazeta e altri media indipendenti rimuovano materiali che definiscono i combattimenti in Ucraina una guerra, un’aggressione o un’invasione. Altrimenti, ci saranno multe enormi e la prospettiva di eliminare i media», riferisce la redazione.
Svolte europee
Intanto anche in Europa la pressione del conflitto porta a sviluppi politici di rilievo. Dal lato dell’Unione europea, questo giovedì i ministri degli Interni degli stati membri hanno avallato con consenso unanime il piano della Commissione: c’è l’accordo per attivare una direttiva «sulla protezione temporanea» che esiste dal 2001 ma finora era rimasta su carta. Oltre un milione di ucraini, prevalentemente donne, bambini e anziani, sono fuggiti dall’Ucraina nella prima settimana di guerra: ora l’Ue concorda di fornir loro immediata protezione in ogni paese dell’Unione; e di conseguenza anche tutele sul fronte del lavoro, dell’istruzione, della sanità.
Anche sul piano nazionale la guerra ha un impatto: ora Macron si candida a restare all’Eliseo da «presidente di guerra» che unisce la nazione.
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