Al summit della Sco ad Astana si rafforza l’asse del sud globale. Ankara gioca su tutti i fronti. Erdogan al leader russo: «Possiamo gettare le basi per un accordo di pace per Mosca e Kiev»
«Il presidente russo Vladimir Putin e il cinese Xi Jinping hanno salutato il gruppo di Shanghai come una forza per la stabilità globale in un vertice dell’organismo regionale svoltosi ad Astana, nel Kazakistan, che è visto da Mosca e Pechino come uno strumento per contrastare l’influenza delle liberal-democrazie occidentali. Le relazioni tra Russia e Cina stanno vivendo «il periodo migliore nella loro storia», essendo basate «sui principi di uguaglianza, benefici reciproci e rispetto per la sovranità di entrambi», ha detto Putin dopo il colloquio di 50 minuti con il presidente cinese Xi Jinping. Effettivamente il leader cinese, e il presidente russo stanno corteggiando i leader regionali dell’Asia centrale e spingendo un’alternativa all’ordine guidato dagli Stati Uniti.
Putin e Xi hanno ampliato la Shanghai Cooperative Organization, un club fondato nel 2001 con Russia, Cina e paesi dell’Asia centrale, per includere successivamente India, Iran e Pakistan come contrappeso all’occidente. Ma l’attenzione al summit della Sco quest’anno è stata presa dal presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, che ha discusso della situazione in Ucraina e Medio Oriente con Putin.
I due si sono incontrati nella capitale del Kazakistan in occasione del vertice della sigla, di cui la Turchia è un paese osservatore. Ma Erdogan ha detto a Putin che la Turchia può «gettare le basi per un accordo che ponga fine alla guerra tra Russia e Ucraina» con un cessate il fuoco prima e poi con una pace «giusta» che soddisfi sia Mosca che Kiev. Con questa frase Ankara si pone come il mediatore più accreditato e rilevante tra i due belligeranti grazie alla sua posizione di paese Nato e nel contempo osservatore del gruppo di Shanghai.
Erdogan mantiene una posizione di ponte verso oriente e mira ad accrescere il volume di interscambio commerciale con le economie asiatiche molte delle quali parlano turco.
Nonostante la Turchia sia solo un osservatore, da 10 anni, Ankara ha un ruolo di rilievo all’interno dell’organizzazione di Shanghai, di cui fanno parte Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, India, Pakistan e Iran. Putin spinge per un ruolo sempre più centrale della Turchia nell’Organizzazione, ma la prospettiva non piace agli alleati occidentali. Dopo Astana il leader turco è atteso al summit Nato del 9-11 luglio a Washington. Non solo per la celebrazione dei 75 anni dell’Alleanza atlantica, ma anche per l’incontro con il presidente americano Joe Biden. Inizialmente previsto per maggio e poi rinviato, dal faccia a faccia tra Erdogan e l’inquilino della Casa Bianca ci si aspetta un confronto su un processo che porti la pace in Medio Oriente. In agenda c’è anche la fornitura degli F-16, i jet che da anni Biden ha promesso e che la Turchia ancora aspetta.
Escalation in Libano
Come dicevamo, il presidente Erdogan ha comunicato a Putin «che gli attacchi sferrati da Israele su Gaza continuano a minacciare la pace, ma soprattutto la stabilità dell’intera regione e in particolare del Libano, finito nel mirino di Israele», si legge in un comunicato della presidenza, emesso a margine dell’incontro, in cui si chiede l’intervento «di altri paesi» per evitare che il conflitto si espanda.
Sempre in tema di Medio Oriente, Erdogan ha comunicato a Putin l’intenzione della Turchia di non permettere la costituzione di uno Stato terrorista oltre il confine con la Siria e continuare la lotta ai separatisti curdi del Pkk/Ypg. Ankara ha un contingente nelle province del nord della Siria che Putin spinge affinché Erdogan richiami in Turchia. Erdogan non vuole però che i curdi tornino ai confini turchi e chiede che la Russia intervenga.
Attacchi in Siria
Ma non basta. I militari turchi hanno aperto il fuoco contro gruppi di siriani che hanno dato l’assalto alle basi militari di Ankara situate nel nord ovest della Siria: il bilancio è di sette morti e 40 feriti. Sia Jarabulus che Afrin sono situate in province del nord della Siria finite sotto controllo di Ankara in seguito a operazioni militari del 2016 e del 2018, sferrate rispettivamente contro l’Isis e contro i curdi del Ypg. Pur mantenendo un contingente sul campo, Ankara ha delegato parte della sicurezza a gruppi siriani che si oppongono a Damasco. C’è un fattore importante da tenere in considerazione, ed è il recente riavvicinamento tra Erdogan e il leader siriano Bashar Al Assad. La gente delle province sotto controllo turco accusa Erdogan di averli «venduti».
Pochi giorni fa il leader turco ha espresso parole di apertura dicendosi disposto a incontrare Assad, con cui non ha rapporti dal 2011, dopo che lo stesso Assad aveva definito i tempi «maturi» per far ripartire il dialogo con la Turchia. A premere per la normalizzazione è soprattutto la Russia. Gli Usa e l’Europa sembrano assenti nel quadrante siriano.
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