Per avere una misura dell’effetto galvanizzante che la condanna di Donald Trump ha avuto sui suoi sostenitori basta pensare che WinRed, la piattaforma sui cui i repubblicani raccolgono finanziamenti elettorali, si è ingolfata per eccesso di traffico qualche minuto dopo la lettura del verdetto. 

Quando è tornata in funzione, il popolo trumpiano ansioso di contribuire è stato accolto da un messaggio personale di Trump: «La sinistra pensa che se lancia contro di me nuove cacce alle streghe, intimidendo la mia famiglia e i miei collaboratori, alla fine alzerò le mani e abbandonerò il nostro movimento America First. Sarò il più chiaro possibile: non smetterò mai di combattere per voi!». Segue ovazione collettiva della rete che lo sostiene.

Non ci sono dubbi sul fatto che il passaggio narrativo al capitolo «prigioniero politico» (parole sue) paga presso il mondo dei suoi ultrà. Che però è la fetta di elettorato che era già convinta – la condanna radicalizza sentimenti esistenti – e soprattutto non è una componente sufficiente per vincere le elezioni a novembre.

Per quello è necessario allargare la base, convincere gli indecisi e non perdere contatto con quelli che tendono naturalmente a destra ma non sono entusiasti di votare per una persona condannata per avere insabbiato il pagamento a una pornostar in cambio del silenzio sui loro rapporti.

Poi bisogna proiettare tutto questo non in una generica media nazionale (dato inutile in un’elezione federale regolata dal collegio elettorale) ma su una manciata di stati in bilico e, ancora più nel dettaglio, sulle contee che solitamente decidono il destino di quegli stati. Ci sono molte variabili da qui al 4 novembre, e poche di queste si decidono nelle aule di tribunale. 

Il primo problema elettorale dopo la sentenza è misurare quanto è grande la fetta degli elettori di Trump che può cambiare idea per il pronunciamento dei giudici, quelli per cui la situazione giudiziaria del candidato è un fattore importante o decisivo nella scelta.

La risposta breve è che gli elettori repubblicani davvero sensibili al tema sono pochi. Molto pochi.

Un sondaggio della Cnn di aprile dice che il 76 per cento dei sostenitori di Trump lo avrebbe votato in ogni caso, mentre il 24 per cento «potrebbe riconsiderare» il suo sostegno in caso di condanna. Il dato è confermato da una rilevazione del mese successivo fatta dall’Emerson College: il 25 per cento degli elettori di destra ha detto che una condanna nel processo di New York avrebbe reso «meno probabile» il loro voto a Trump. Significa che un quarto dell’elettorato trumpiano potrebbe abbandonarlo.

Ma «potrebbe riconsiderare» e «meno probabile» esprimono vaghe possibilità, non certezze, e nelle misurazioni dell’opinione sono espressioni scivolose che vanno considerate con estrema prudenza.

Quando le domande dei sondaggisti si fanno più precise, il bacino di quelli pronti ad abbandonare la nave di Trump diventa più piccolo. Un sondaggio della Abc ha tentato di separare quelli pronti a «riconsiderare» la posizione e quelli che con convinzione «non sosterranno» l’ex presidente condannato. Questi ultimi sono soltanto il 4 per cento, misura non davvero rilevante ai fini dei sondaggi.

Anche ammesso che la condanna di Trump gli faccia perdere qualche punto, ci sono infine altri due fattori da considerare. Primo: i rimbalzi nei sondaggi sono spesso fenomeni temporanei. Non è facile prevedere quale sarà l’effetto della condanna alla viglia delle elezioni. Sarà tutto dimenticato? La narrazione politica sarà rovesciata in vista dell’appello? 

Secondo: se Trump perde terreno, non significa che Joe Biden ne guadagni. E per vincere le elezioni non bastano gli inciampi altrui.

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