La prima ministra conservatrice Liz Truss puntava a realizzare il più grande taglio delle imposte degli ultimi 50 anni, ma la reazione dei mercati, del Fondo monetario internazionale e alla fine l’opposizione del suo stesso partito l’hanno costretta a tornare indietro
Il governo conservatore britannico di Liz Truss rinuncerà al taglio delle tasse ai più ricchi dopo che, due settimane fa, il suo annuncio ha causato proteste e causato il crollo della sterlina. La decisione di quella che i media britannici definiscono una «umiliante inversione a U» è arrivato questa mattina, durante un’intervista del cancelliere dello Scacchiere, equivalente del ministro dell’Economia, Kwasi Kwarteng.
«Il taglio dell’aliquota da 45 punti stava oscurando il nostro pacchetto di forti interventi sull’energia e sui tagli alle tasse per le persone in generale», ha detto Kwarteng alla Bbc. Kwarteng si è rifiutato di definire la manovra un errore, ma ha detto che in ogni caso si tratta di una sua responsabilità.
Il taglio di imposte proposto dal governo Truss prevedeva la cancellazione dell’aliquota da 45 punti percentuali, destinata ai redditi superiori alle 150mila sterline all’anno (circa 171mila euro). Il pacchetto annunciato da Truss a metà settembre includeva anche tagli di imposte più ridotti per circa 30 milioni di lavoratori.
Mentre questi ultimi avrebbero visto un taglio di imposte pari a circa l’uno per cento, l’eliminazione dell’aliquota più alta avrebbe consentito un risparmio cinque volte più ampio ai contribuenti più ricchi. Secondo gli analisti, si trattava del più ampio taglio di imposte degli ultimi 50 anni.
Il taglio era finanziato con l’emissione di nuovo debito e contestualmente il governo aveva annunciato futuri tagli alla spesa pubblica in una riedizione della cosiddetta “trickle down economic”, una politica diventata di moda negli Ottanta e oggi squalificata, che sostiene come i tagli di tasse ai più ricchi causano un benefico effetto di “sgocciolamento” anche ai più poveri.
Investitori e istituzioni internazionali, però, hanno reagito malissimo a un piano che si annunciava immediatamente impopolare. La sterlina è crollata al minimo storico sul dollaro e la Banca d’Inghilterra ha dovuto attivare un piano di emergenza da 65 miliardi per stabilizzare la situazione. Successivamente, anche il Fondo monetario internazionale, in una mossa definita “inusuale”, ha criticato apertamente il piano sostenendo che avrebbe aumentato le diseguaglianza e aggiunto nuova pressione alla spirale dei prezzi.
La resistenza
Per giorni, Truss e il suo governo hanno resistito alle pressioni esterne e hanno continuato a difendere il piano. Ancora domenica, nel corso della conferenza del Partito conservatore, Kwarteng aveva sostenuto la bontà del taglio. «Dobbiamo tenere la barra dritta – aveva detto in un meeting ai compagni di partito – Resto sicuro che il nostro piano è quello giusto». In un’intervista, Truss si era limitata a dire che il governo avrebbe dovuto preparare meglio il terreno prima di annunciare il taglio.
Ma proprio la conferenza di partito e la ribellione dei parlamentari conservatori ha determinato la fine del piano. Alcuni ex ministri, come Michael Gove, hanno guidato la fronda anti taglio, accusando il taglio di essere «non conservatore» e suggerendo che avrebbero potuto votare contro in parlamento.
Alla fine la prima ministra Truss e il suo cancelliere hanno dovuto prendere atto che il pacchetto rischiava di essere bocciato per la defezione degli stessi conservatori e, nella notte, hanno deciso di cancellare la controversa misura.
A bloccare la manovra non c’è stata soltanto la sua impopolarità. Un ruolo significativo lo hanno avuto le divisioni nel Partito conservatore. Truss è leader del partito da circa un mese, dopo aver vinto le elezioni interne nate in seguito alle dimissioni del suo predecessore, Boris Johnson. Ma i conservatori sono tutt’altro che uniti, con i sostenitori di Johnson che sperano in un suo ritorno e molti altri dirigenti che hanno le loro motivazioni personali per ostacolare Truss.
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