Nel Regno Unito il piano per spedire i migranti in Ruanda prosegue: la Camera dei comuni che ha approvato la legge sulla sicurezza del paese africano e sulle controversie con il diritto internazionale. Sunak schiaccia la minoranza radicale dei Tories
Altro voto in Parlamento, altra rivolta interna al partito Conservatore britannico, ma lo stesso piano Ruanda. Sono state ore di tensione politica nel Regno Unito ma alla fine la discussa legge per spedire i migranti nel paese africano ha compiuto un ulteriore passo in avanti.
Alla Camera dei comuni, infatti, è passata senza modifiche, nonostante gli avvertimenti e le minacce di alcuni ribelli Tories, desiderosi di rendere ancora più duro il provvedimento. Rischio scampato per Rishi Sunak, sopravvissuto alla più grande ribellione del suo partito da quando è a Downing Street. La sua maggioranza poteva andare sotto in aula, ma alla fine l’ala dura del partito si è sciolta: 320 voti favorevoli, 276 contrari. Ora la legge passa alla Camera dei Lords.
La rivolta sugli emendamenti
Per Robert Jenrick, già ministro dell’Immigrazione, e una sessantina di deputati conservatori, il ‘Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill’, meglio nota come ‘legge Ruanda’, era troppo debole. Il disegno per rendere il Ruanda un paese sicuro tramite una norma, così da superare lo stop imposto dalla Corte suprema britannica, secondo i radicali Tories non è abbastanza. Volevano qualcosa di più, per contrastare tutti gli impedimenti alla deportazione dei richiedenti asilo nel paese africano che potrebbero emergere dal diritto internazionale e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Tanto che lo stesso Jenrick ha definito addirittura «insostenibile» l’adesione di Londra alla Convenzione europea sui diritti dell’uomo.
Da qui il tentativo di modificare il bill, con emendamenti volti a facilitare l’aggiramento della legge sui diritti umani e ad arginare i possibili ricorsi individuali dei migranti per bloccare la loro partenza. Quelle misure provvisorie previste con la ‘Rule 39’, chiamate “ingiunzioni del pigiama” perché possono essere emessi anche nel cuore della notte, che tutelano i migranti nel caso in cui in Ruanda vi siano rischi di “danni gravi e irreversibili” per la propria persona. Vero nodo della legge.
Tra i sostenitori di un rafforzamento del piano, anche Boris Johnson. Le modifiche, però, sono state bocciate martedì: i deputati conservatori fedeli a Sunak hanno votato contro, insieme ovviamente alle opposizioni, con i Labour in testa che tutto vogliono tranne inasprire ancor di più una legge giudicata draconiana.
Lo scontro interno ai Tories
Qualche giorno fa, Sunak ha ipotizzato l’arruolamento di 150 giudici per snellire la pratica dei ricorsi dei migranti, in modo da non ingolfare le pratiche. Poi, nelle ore precedenti alla terza lettura alla Camera, il governo ha lasciato trapelare come il disegno di legge fosse già «estremamente duro». E sempre nel pomeriggio era uscita fuori una lettera dal ministero dell’Interno, in cui si prevede che in caso di approvazione della norma, i dipendenti pubblici devono ignorare le misure della Cedu, compreso quelle dell’articolo 39 che bloccano le deportazioni.
Tre messaggi con un obiettivo unico: cercare di sgonfiare chi - tra i banchi dei Tories - aveva annunciato di voler votare contro. La pazienza di Sunak però è stata messa a dura prova dai ribelli radicali, che in realtà alla fine non sono stati molti: Jenrick, Suella Braverman e qualche altro.
Proprio Braverman, nel suo intervento in aula, ha parlato di “ultima possibilità” per rimediare agli errori - secondo lei - presenti nel disegno di legge. Una legge che per Braverman consentirà ancora alla Corte di Strasburgo di bloccare i voli pieni di richiedenti asilo diretti in Ruanda, come già avvenuto nel 2022. Ma alla fine tra i Tories scettici ha prevalso la linea “meglio di niente”. In questo caso: meglio una legge imperfetta che comunque mira a contrastare l’immigrazione irregolare, rispetto al nulla.
I rapporti con il Ruanda
Per Downing Street, il piano è «il più duro possibile», considerando anche le esigenze del governo ruandese. «Se non dovessero partecipare, non avremmo più dove mandare le persone» hanno riferito dal governo, timorosi di perdere l’appoggio di Kigali.
Anche David Cameron dal World Economic Forum ha detto la sua: la soluzione di spedire i richiedenti asilo in Ruanda è un ottimo piano, magari «non ortodosso» ma un’idea «fuori dagli schemi» necessaria per combattere l’immigrazione irregolare. Tuttavia, quella del ministro degli Esteri britannico non è stata l’unica voce che si è alzata da Davos.
Sempre dalla Svizzera, infatti, a parlare è stato il presidente del Ruanda, Paul Kagame che ha sottolineato due concetti: i soldi britannici - circa 240 milioni di sterline - già destinati a Kigali possono essere rimandati al mittente, nel caso in cui il piano venga bloccato e nessun migrante arrivi nel paese africano; ma soprattutto tutto ha un limite. Per Kagame «il problema è del Regno Unito, ma ci sono dei limiti per quanto tempo questa situazione può trascinarsi». Non un vero ultimatum, ma un segnale di irrequietezza che ha messo ancor più pressione al governo di Sunak.
Ora la palla passa alla Camera dei Lords, dove i Tories potrebbero faticare. Ma nella testa del premier, se la legge verrà approvata a stretto giro e il piano Ruanda inizia a fare il suo dovere, i conservatori potrebbero registrare un aumento del consenso in vista delle elezioni previste entro fine anno. Il tempo, però, comincia a scarseggiare.
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