Il presidente al-Sisi si appresta a governare fino al 2030. Nonostante le difficoltà economiche il suo consenso è ancora al sicuro grazie alla repressione interna. Sul piano internazionale l’entrata nei Brics può fornire un nuovo slancio alla politica estera, ma la questione principale rimane la diga etiope
«Gli elettori andranno alle urne il 10, 11 e 12 dicembre. I risultati definitivi saranno comunicati il 18 dicembre». Poche parole didascaliche pronunciate dal giudice Walid Hassan Hamza, capo della commissione elettorale egiziana, che annunciano le date delle elezioni presidenziali. In pochi si aspettavano un anticipo di quattro mesi rispetto alla scadenza dell’attuale mandato prevista per la prossima primavera. E così, il presidente Abdel Fattah al-Sisi – che non ha ancora ufficializzato la sua candidatura – si appresta a governare il paese fino al 2030.
In carica formale dal 2014, saranno quindi 16 anni di potere assoluto, con la possibilità di continuare a governare anche fino al 2036 dato che con l’ultima riforma costituzionale è stato cancellato il limite dei due mandati presidenziali. Un lasso di tempo non indifferente ma neanche anomalo per la Repubblica egiziana. Il regime di Hosni Moubarak, l’ex dittatore egiziano deposto con la rivoluzione del 2011, è durato quasi trent’anni.
Nulla di nuovo
Una campagna elettorale ad armi pari e una reale possibilità di vincita di altri candidati è difficile da immaginare. Negli ultimi 10 anni, in Egitto, è stato azzerato ogni minimo istinto politico diverso da quello espresso dalle forze armate. Le carceri sono piene di attivisti, avvocati, giornalisti e oppositori (le organizzazioni a difesa dei diritti umani hanno stimato circa 60mila detenuti per motivi politici). Correre contro l’establishment militare è una sfida di fatto persa in partenza. La tensione è già alta e a pochi giorni dall’annuncio delle date del voto, l’Autorità nazionale elettorale si è dovuta difendere pubblicamente dalle accuse di voler impedire la corretta ricezione delle candidature. Accuse bollate come false e «fantasiose».
C’è tempo fino al 9 novembre per presentare il proprio nome, al momento vari leader di partiti minori hanno annunciato la loro scesa in campo. Tra i nomi più interessanti c’è quello di Ahmed Eltantawy, ex giornalista e parlamentare, che ha annunciato la sua candidatura già lo scorso aprile. Da quel momento, però, lui e il suo entourage sono entrati nella lente d’ingrandimento dei servizi di sicurezza egiziani. Eltantawy ha denunciato diversi arresti nei confronti di alcuni volontari che lavorano per la sua campagna elettorale e lo scorso ottobre ha anche detto pubblicamente di aver subito un attacco hacker al suo cellulare.
Un’intrusione confermata anche da Citizen Lab, il laboratorio dell’università di Toronto che indaga sulle minacce malware contro i membri della società civile in tutto il mondo, che ha analizzato il suo dispositivo. I risultati sono stati pubblicati lo scorso 14 settembre dal media indipendente egiziano Mada Masr e hanno evidenziato come il cellulare di Eltantawy sia stato hackerato più volte negli ultimi mesi con Predator (uno spyware prodotto da un’azienda macedone e messo al bando negli Stati Uniti). Lo spyware permette di accedere a password, foto, file, cronologie e ogni tipo di altra informazione sensibile presente sul cellulare.
Economia in bilico
Azzerare le opposizioni significa anche aumentare il potere sul piano politico interno, ma negli ultimi anni al-Sisi ha potuto contare anche sul consenso ricevuto all’estero (primo fra tutti quello dei potenti paesi del Golfo Persico). Tuttavia, dall’inizio della pandemia, l’appeal in favore del generale egiziano è iniziato a calare, soprattutto per via di una condizione economica instabile e con una crescita economica che è rallentata soprattutto per via di fattori esterni e internazionali.
Fino a oggi, a salvare il presidente egiziano sono state le monarchie del Golfo che si sono di fatto insediate – attraverso acquisizioni e investimenti – nei settori più strategici per il paese: telecomunicazioni, porti, infrastrutture e fertilizzanti.
Ma questo rischia di non bastare. L’inflazione è quasi al 40 per cento e circa il 30 per cento della popolazione (su 104 milioni di abitanti) vive sotto la soglia di povertà. A inizio settembre l’agenzia di rating Capital Intelligence ha declassato il debito sovrano a lungo termine dell’Egitto da B+ a B. Tra le cause di questa decisione c’è il ritardo nell’attuazione delle riforme strutturali raccomandate dal Fondo monetario internazionale che ha fornito al Cairo un prestito di 3 miliardi di dollari.
Rimangono in piedi importanti investimenti, soprattutto nel settore energetico con l’azienda italiana Eni – visti i buoni rapporti con il governo Meloni – che proprio a inizio settembre ha annunciato di voler impiegare 7.7 miliardi di euro in Egitto.
Sfide internazionali
A livello internazionale la presidenza egiziana gode di un momento di appeasement. Dal prossimo gennaio l’Egitto sarà tra i sei nuovi membri effettivi dei Brics, l’alleanza economica dei paesi in via di sviluppo che permetterà di rafforzare i rapporti commerciali del Cairo con gli altri paesi.
La grazia concessa a Zaky e la liberazione di alcuni detenuti per motivi politici hanno permesso in un primo momento lo sblocco degli aiuti militari che ogni anno Washington fornisce al Cairo e che erano stati fermati dalla presidenza di Joe Biden, che chiedeva un maggiore rispetto dei diritti umani nel paese. Ma ora Washington sta prendendo tempo, dopo le accuse di corruzione del senatore democratico Bob Menendez che avrebbe usato la sua influenza al Congresso per aiutare segretamente il governo del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi.
Oltre al rapporto con i paesi occidentali, il generale dovrà gestire nel prossimo futuro una questione annosa e che preoccupa la popolazione: il riempimento della Grande diga rinascimentale Etiope (Gerd). Il Cairo cerca rassicurazioni su come venga gestita l’infrastruttura, costruita dall’azienda italiana We Build, e teme che questa provochi siccità nel suo territorio. La diga (che ha iniziato a riempirsi nel 2020) sorge sul Nilo e dopo aver attraversato l’Etiopia scorre verso il Sudan e l’Egitto. I tre paesi hanno ripreso i colloqui diplomatici a fine agosto, ma al-Sisi sta cercando sempre di più il sostegno dell’Onu.
Al momento, però, il potere del generale è blindato. In un paese dove c’è molta rassegnazione nei confronti della politica, l’unica incognita da capire sarà quanti voti prenderà questa volta il calciatore egiziano del Liverpool Mohammed Salah. All’ultima tornata elettorale ottenne un milione di voti nonostante non fosse candidato, arrivando secondo in classifica dietro all’onnipresente Abdel Fattah al-Sisi.
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