- «Sparate senza preavviso». In un Kazakistan presidiato dalle truppe russe, il presidente kazako Qasym Toqaev dà alle forze dell’ordine licenza di uccidere e, se le migliaia di arresti non fossero bastati, chiarisce così che la repressione delle proteste è in corso.
- L’epilogo dei tumulti in Kazakistan va in scena mentre a Bruxelles si tiene un summit virtuale della Nato per discutere della minaccia russa all’Ucraina. Questo epilogo dice cosa Vladimir Putin non è disposto a perdere, e cioè il presidio sull’Asia centrale, e cosa non è disposto a incassare: instabilità nella sua area di influenza proprio mentre è in corso la prova di forza virtuale con gli Usa su Kiev.
- Gli schieramenti si irrigidiscono, così come la presenza di Putin. Seguiremo la situazione da vicino, dice l’Ue: sta a guardare.
«Sparate senza preavviso». In un Kazakistan presidiato dalle truppe russe, il presidente kazako Qasym Toqaev dà alle forze dell’ordine licenza di uccidere e, se le migliaia di arresti non fossero bastati, chiarisce così che la repressione delle proteste è in corso. Le agitazioni sono iniziate domenica, l’innesco è stato il raddoppio del prezzo del gas e l’epilogo dei tumulti in Kazakistan va in scena mentre a Bruxelles si tiene un summit virtuale della Nato per discutere della minaccia russa all’Ucraina. Questo epilogo ci dice che cosa Vladimir Putin non è disposto a perdere, e cioè il presidio sull’Asia centrale, e che cosa non è disposto a incassare: instabilità nella sua area di influenza proprio mentre è in corso la prova di forza virtuale con gli Stati Uniti su Kiev. Ma la repressione, e l’intervento militare di Mosca, non si limita a ripristinare la situazione iniziale. Gli schieramenti si irrigidiscono, così come la presenza di Putin. La rassicurazione di Toqaev – Mosca con le truppe non è qui per restare – non cancella gli effetti della presenza russa.
La svolta kazaka
Con un discorso trasmesso in televisione venerdì mattina, Toqaev dà il segno della svolta repressiva: prima sottomette le proteste alla sua lettura, poi passa all’azione. Comincia col dire che i «ventimila banditi» che hanno messo a soqquadro la città di Almaty, epicentro delle proteste, sono «stranieri e in ogni caso ben preparati all’azione». Anche se i gruppi di opposizione negano e il presidente non mostra evidenze, per lui si tratta di un piano «terroristico» orchestrato. Poi il presidente presenta il suo piano: sono terroristi «e quindi dobbiamo annientarli»; avverrà presto, preannuncia. E informa così i kazaki di aver dato ordine di «sparare senza preavviso»: licenza di uccidere. Poco prima di questo annuncio, il bollettino ufficiale del governo registra 26 rivoltosi («criminali») uccisi e 18 feriti; la cifra degli arresti è alta, tremila persone. Tra le forze dell’ordine, sempre stando al ministero dell’Interno kazako, diciotto agenti sono morti e oltre settecento i feriti. Dopo l’ordine di sparare, il clima si fa spettrale. Il reporter della Bbc Abdujalil Abdurasulov riferisce, dalle strade di Almaty, che la situazione sembra in apparenza più tranquilla, che non ha assistito a moti di protesta, ma che tuttavia si sentono spari in città – «Sentite gli spari? Forse provengono dalle forze dell’ordine stesse» – e che ha visto cadaveri nelle auto, forse di persone che avevano provato ad affrontare i cordoni della polizia.
L’imprimatur di Mosca
Mentre una apparenza di normalità ritorna, e riprende gradualmente il traffico sia internet che ferroviario, intanto l’aeroporto di Almaty rimane inaccessibile fino a sera: viene posto sotto il controllo della “Nato russa”, che è arrivata in Kazakistan con i suoi 2.500 soldati. «Ringrazio Putin»: è tra le cose che il presidente kazako non ha perso occasione di ribadire questo venerdì. Mosca e le sue truppe sono arrivate nel paese sotto l’ombrello dell’Organizzazione del trattato per la sicurezza collettiva, di cui fanno parte Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan, allo scopo di fronteggiare «i terroristi addestrati all’estero». Certo, è stato Toqaev a chiederne l’intervento e non c’è solo la Russia a partecipare, anzi è il governo armeno che ha la presidenza di turno dell’Organizzazione. La presenza delle truppe «è temporanea», precisa il presidente kazako. Ma che sia comunque una presenza di peso lo chiarisce Aleksandr Lukashenko, gettando benzina sul fuoco: «I militanti stranieri tentano di attaccare gli stati post-sovietici lungo il confine della Russia per far pressione su Mosca. Hanno bisogno di annegare la Russia nel sangue». Con Lukashenko, e ovviamente con Putin, si è consultato Toqaev prima di deporre l’ex presidente Nursultan Nazarbaev, che oggi le cronache locali riferivano in fuga dal paese con le figlie.
L’occidente più distante
Anche Pechino si è ritagliata un ruolo di «supporto» al potere kazako. «Misure positive in un momento cruciale»: così Xi Jinping etichetta la reazione dura di Toqaev, che reagisce ringraziandolo pubblicamente per l’aiuto offerto. La vera distanza che aumenta, dopo l’intervento di Mosca, è quella con l’occidente. Sin dagli anni Novanta il Kazakistan aveva sviluppato una politica estera «multivettoriale»: relazione privilegiata con Mosca, certo, ma anche collaborazione con Washington, che si era fatta carico della rimozione entro il 1995 delle testate nucleari ereditate dall’Urss e che aveva veicolato il Kazakistan dentro i meccanismi di cooperazione con la Nato. Il paese in cambio aveva garantito ad esempio diritto di sorvolo e transito per le operazioni in Afghanistan. Il presidio di Mosca, e la polarizzazione dello scontro esibita dalle parole di Lukashenko, arriva a ridosso di una settimana cruciale: il 9 e 10 a Ginevra i colloqui Usa-Russia, poi mercoledì quelli Nato-Russia, i primi dal 2019. In agenda c’è l’Ucraina, Mosca chiede alla Nato di starsene alla larga e in cambio promette di non agire militarmente; oggi i ministri degli Esteri Nato hanno reputato la posizione di Putin né credibile né inaccettabile. Mettono in conto che la diplomazia possa fallire: «Il rischio di un conflitto è reale» per il segretario generale Nato, Jens Stoltenberg. Emmanuel Macron dice che con la Russia bisogna dialogare, «non vuol dire cedere», mentre Ursula von der Leyen è convinta che nessuna soluzione per l’Ucraina possa essere trovata senza il consenso dell’Ue. Ma con queste parole la presidente della Commissione Ue implicitamente dichiara che non è certo l’Europa a dettare il passo. Ora la faccenda kazaka pone complicazioni in più. Per Stoltenberg, «i diritti umani – le manifestazioni pacifiche – vanno rispettati».
L’alto rappresentante Ue Josep Borrell, che con formula di rito si dice concerned, preoccupato per la situazione, ha telefonato al ministro degli Esteri Mukhtar Tileuberdi: «Siamo pronti a supportare de-escalation e stabilità». Seguiremo la situazione da vicino, dice l’Ue: sta a guardare.
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