- Il conflitto in Ucraina sta avendo un drammatico effetto domino sulle speranze di ripresa economica post-pandemia di molti paesi del mondo, soprattutto quelli più poveri.
- Ma le tensioni e le incertezze generate dal conflitto stanno anche gravemente impattando i nodi logistici delle arterie commerciali globali, proprio nel momento in cui sembrava che i disagi causati dalla pandemia potessero finalmente risolversi.
- La pandemia che ha sconvolto il mondo nei due anni passati, e che colpisce ancora molti paesi, ha lasciato ferite profonde sia nel sistema globale di supply chain, sia negli equilibri macroeconomici di numerosi paesi in tutto il pianeta.
Il conflitto in Ucraina sta avendo un drammatico effetto domino sulle speranze di ripresa economica post-pandemia di molti paesi del mondo, soprattutto quelli più poveri. Ciò si deve principalmente al forte rialzo dei prezzi delle materie prime alimentari ed energetiche, di cui Russia e Ucraina sono tra i maggiori esportatori.
Ma le tensioni e le incertezze generate dal conflitto stanno anche gravemente impattando i nodi logistici delle arterie commerciali globali, proprio nel momento in cui sembrava che i disagi causati dalla pandemia potessero finalmente risolversi.
Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha quindi rivisto al ribasso le proiezioni di crescita per il 2022, mentre l’inflazione globale sembra destinata ad aumentare ulteriormente, soprattutto nei paesi più vulnerabili.
Se questo conflitto, e i suoi effetti collaterali, si verificassero in tempi normali ci troveremmo di fronte a una crisi rapida e improvvisa e la probabile creazione di nuove temporanee sacche di povertà e fame. Una situazione certamente grave ma, almeno per la maggior parte, destinata a riassorbirsi in breve tempo, grazie alla pronta reazione di governi e comunità internazionale.
Purtroppo, però, questi tempi sono ben lontani dall’essere normali. La pandemia che ha sconvolto il mondo nei due anni passati, e che colpisce ancora molti paesi, ha lasciato ferite profonde sia nel sistema globale di supply chain, sia negli equilibri macroeconomici di numerosi paesi in tutto il pianeta.
Un mondo già provato
Secondo la Banca mondiale, gli ultimi due anni hanno visto l’emergere di 97 milioni di nuovi poveri, il primo rialzo del tasso di povertà globale in decenni. Pandemia e shock climatici hanno, inoltre, iniziato a spingere in alto i prezzi delle materie prime alimentari già ben prima dell’invasione dell’Ucraina.
Nel 2021 il Fao Food price index – il riferimento globalmente utilizzato per misurare i prezzi alimentari – ha registrato una crescita record, perfino superiore a quella del 2008-2009, individuata da molti come uno dei fattori scatenanti della Primavera araba. A questo si aggiunge il forte deterioramento fiscale e macroeconomico di molti paesi, soprattutto tra quelli più poveri. Due anni di pandemia hanno visto deficit fiscali ampliarsi esponenzialmente, e i livelli di debito espandersi a ritmi mai registrati negli ultimi due decenni.
Già prima dell’invasione, gli attesi rialzi dei tassi di interesse da parte della Federal reserve americana rischiavano di rendere insostenibile il debito di numerose nazioni in via di sviluppo. L’ondata di rialzi dei prezzi e l’incertezza causati dal conflitto in Ucraina si stanno quindi riflettendo su una comunità internazionale già socialmente ed economicamente stremata, e che vede soprattutto i paesi più poveri a corto di strumenti per poter far fronte a una nuova crisi.
Secondo il World food programme, agenzia Onu che fornisce assistenza alimentare, il risultato immediato rischia di essere un drastico aumento del livello di insicurezza alimentare in tutto il mondo, con 47 milioni di nuovi affamati, destinati ad aggiungersi agli attuali 276 milioni. «Una catastrofe che si abbatte su un’altra catastrofe», nelle parole di David Beasley, Direttore esecutivo del Wfp. L’impatto del conflitto in Ucraina è infatti destinato nei prossimi mesi a colpire numerosi paesi, anche se con gradi diversi di gravità e tempistica .
Nel breve termine a essere investiti saranno (e in parte già sono) quei paesi strutturalmente dipendenti dalle importazioni alimentari provenienti dal Mar Nero, tra cui spiccano soprattutto le nazioni mediorientali.
La produzione interna di molti paesi dell’area Mena (medio oriente e nord Africa) è da tempo drammaticamente insufficiente a far fronte alla domanda, a causa di una crescita demografica esponenziale accompagnata dai devastanti effetti della desertificazione e della crisi climatica, che in molti paesi hanno drasticamente ridotto raccolti e terre coltivabili. Gravi crisi preesistenti, come quelle in Siria, Yemen e Libano sono destinate ad aggravarsi ulteriormente, mentre altri paesi finora relativamente sicuri dal punto di vista alimentare rischiano di trovarsi in difficoltà, come Tunisia ed Egitto.
Ma questa non è solo una crisi drammatica che colpisce un mondo già provato da due lunghi di anni di pandemia. Ѐ soprattutto una crisi dalla risoluzione tutt’altro che rapida, perfino se le ostilità dovessero concludersi in poche settimane.
A preoccupare sono infatti anche i prezzi dei fertilizzanti, di cui la Russia è il più grande produttore mondiale, e che in tutto il mondo sono cresciuti esponenzialmente, arrivando perfino a triplicarsi per alcuni prodotti chiave. Ciò ne sta causando un uso ridotto in molti paesi, con conseguenze potenzialmente drammatiche sulle rendite dei raccolti di quest’anno, e forse perfino del prossimo, e sulla sostenibilità dei già altissimi prezzi attuali.
Una contrazione sensibile della produzione agricola interna di molti paesi è destinata ad avere un impatto drammatico soprattutto per tutte quelle economie che dipendono dalle importazioni per far fronte al proprio fabbisogno interno. E se certamente grano, cereali e oli vegetali sono le materie prime più a rischio di rialzi, essi si stanno già estendendo ad altri prodotti come carne e latticini, la cui produzione è legata ai cereali per gli allevamenti.
Dopo i duri anni della pandemia, l’invasione dell’Ucraina sta ulteriormente aggravando fame e povertà in tutto il mondo, ritardando le speranze di una ripresa economica globale. A farne le spese saranno soprattutto quei paesi più poveri alle prese con gravi crisi preesistenti, i quali non solo saranno tra i primi a pagare il prezzo dei rialzi dei prezzi in termini di fame e povertà, ma che stanno già soffrendo in termini di fondi e assistenza il crescente deficit di attenzione nei loro confronti da parte della comunità internazionale.
© Riproduzione riservata