Anche quest’anno, dal 6 all’8 settembre, si sono svolte le elezioni locali nella Federazione russa per il rinnovo di 21 governatori e 11 parlamenti regionali, di due regioni della Crimea e di 22 consigli comunali.

Le competizioni per la scelta del sindaco di San Pietroburgo e il rinnovo del consiglio comunale di Mosca sono generalmente considerate più rilevanti per le conseguenze politiche sulle dinamiche interne al Cremlino, ma, in realtà, l’attenzione degli analisti è stata rivolta prevalentemente alla regione di Kursk, dove il voto è iniziato il 28 agosto scorso nonostante la presenza militare ucraina.

In riferimento alla regione russa attualmente occupata, la presidente della Commissione elettorale centrale, Ella Pamfilova, ha attribuito l’alta partecipazione degli elettori – che si è attestata attorno al 58 per cento – a un desiderio di resilienza e a «una reazione diretta alle aggressioni percepite, evocando un senso di unità e determinazione fra i residenti» che non si sono sentiti minacciati dalle diverse incursioni ucraine durante lo svolgimento del voto.

In generale, si tratta di elezioni che non hanno avuto un’eccessiva visibilità dei media tradizionali, se paragonate a quelle delle tornate precedenti, prediligendo tecniche di mobilitazione di elettori attraverso i social media quali VKontakte, Telegram, Odnoklassniki e YouTube per evitare un’esposizione eccessiva del “caso Kursk” all’opinione pubblica russa. «Minimizzare e situazione sotto controllo a Kursk» sono gli obiettivi che la propaganda del Cremlino si è posta nel breve periodo e che cerca di attuare, sfruttando questa competizione elettorale a proprio vantaggio.

In base ai dati disponibili, ma non ancora ufficializzati, i risultati di queste elezioni, definite dai media russi come «il giorno più lungo dell’anno», non hanno riservato sorprese e hanno confermato il trend di un rafforzamento della “verticale del potere” e del partito di Russia unita – inteso come “gli occhi e le orecchie” del Cremlino nel vasto territorio federale – anche in tempi di guerra.

Un primo dato riguarda il fatto che tutti i governatori uscenti e anche quelli ad interim, nominati dal presidente Putin, sono stati riconfermati con un consenso che oscilla da un minimo di 59 punti percentuali del governatore di San Pietroburgo, Alexander Beglov, all’86,5 di Vadim Šumkov dell’oblast di Kurgan. L’exploit di Šumkov ha generato anche l’ironia di diversi commentatori, che hanno suggerito di «ritoccare in ribasso» la percentuale dei voti ottenuti dal governatore rispetto a quella ottenuta da Putin (85,6) alle elezioni presidenziali dello scorso marzo nel medesimo seggio elettorale.

Il secondo dato è che il partito del potere, Russia unita, si riconferma il partito dominante anche a livello locale, riuscendo a ottenere la maggioranza assoluta a Chabarovsk nell’estremo oriente dove il partito liberal-democratico ha amministrato negli ultimi cinque anni.

Una nota interessante è la strategia adottata da Russia unita che ha inserito 342 “veterani di guerra” nelle liste di partito, ovvero coloro che hanno fatto parte della cd. “operazione militare speciale” in Ucraina, eleggendone 308 a vari livelli nonostante gli elettori che hanno partecipato alle primarie di partito per la selezione delle candidature ne avessero votato solamente 19. Evidentemente il presidente Putin, ritenuto solitamente molto attento alle indicazioni dei sondaggi, non ha seguito l’indicazione proveniente dalle primarie perché è prevalsa l’idea di una “ricompensa elettorale” a coloro che hanno rischiato la loro vita per la patria.

In termini di partecipazione elettorale per le elezioni regionali, vi è un calo, anche in valori assoluti, di elettori rispetto al ciclo elettorale precedente in tutta la Russia, con i valori più alti in punti percentuali nelle regioni di Bashkortostan (69,2), Kemerovo (63,5) e Kursk (57,2) e quelli più bassi a Murmansk (34,9), San Pietroburgo (34,7) e Chabarovsk (31,1).

Alle elezioni per il consiglio comunale (Duma) di Mosca, Russia unita prevale mentre sette dei 45 mandati vanno all’opposizione sistemica, di cui tre al Partito comunista della Federazione russa che ne perde 5 rispetto al 2019, due ai “candidati indipendenti”, uno a Russia giusta e uno al nuovo Partito della gente.

In quest’ultimi due anni abbiamo sottolineato come le elezioni locali costituiscano un “termometro del grado di opposizione” e malcontento diffuso nell’opinione pubblica russa per impostare la strategia elettorale delle elezioni presidenziali e parlamentari, e, soprattutto, “un test di lealtà dei governatori a Vladimir Putin”.

Queste elezioni hanno avuto luogo contestualmente a una riforma delle autonomie locali che consentirà ai governatori di “licenziare” i sindaci “in caso di inefficienza sistematica” per rafforzare la verticale di potere, sottoposta a diverse fibrillazioni politiche dopo l’invasione russa in Ucraina.

Sono state, infatti, elezioni che hanno eliminato gli ultimi rappresentanti delle opposizioni vicine al movimento di Aleksej Navalnyj, come nel caso di un veterano di guerra che è stato eletto a Tomsk al posto di una sostenitrice del blogger russo. Così come le elezioni comunali di Mosca, che erano passate alla storia per l’elevato numero di consiglieri eletti all’opposizione nel 2019, hanno confermato l’egemonia dilagante di Russia unita.

Come sottolineano diversi analisti e rappresentanti di ong quali Golos e Russian Election Monitor che hanno seguito questa tornata elettorale: per valutare la qualità delle elezioni non bisogna considerare solamente gli episodi di frode e violazioni della legge, ma «la performance dell’intero processo elettorale: l’unica conclusione da fare è che in Russia non ci sono più elezioni nemmeno di facciata».

© Riproduzione riservata