- I membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu stanno cercando di trovare un compromesso per il rinnovo del corridoio di Bab al-Hawa, l’ultimo valico di frontiera ancora attivo tra la Turchia e Idlib.
- Mosca ha proposto di lasciare aperto Bab al-Hawa soltanto per altri sei mesi in cambio di alcune concessioni da parte dell’Occidente sia in Siria che nel dossier ucraino, sfruttando a suo favore la posizione di forza da cui si trova a negoziare.
- Intanto le condizioni di vita a Idlib continuano a peggiorare e lo spettro di una nuova crisi umanitaria preoccupa anche la Turchia, che ha bisogno di maggiore stabilità nell’area occidentale per portare avanti i suoi progetti.
Gli effetti della guerra in Ucraina e il deteriorarsi delle relazioni tra Russia e Stati Uniti stanno mostrando i loro effetti anche in Siria. Da giorni il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite sta cercando di trovare un compromesso per rinnovare il corridoio di Bab al-Hawa, l’ultimo valico di frontiera ancora attivo tra la Turchia e Idlib, regione nelle mani di miliziani fedeli ad Ankara.
Se Bab al-Hawa dovesse chiudere, i suoi 4 milioni di abitanti, per lo più sfollati interni, si ritroverebbero improvvisamente privi di quegli aiuti provenienti dall’esterno ormai indispensabili per la loro sopravvivenza, con il rischio di una nuova crisi umanitaria.
La Russia però si è opposta ancora una volta al rinnovo del corridoio, stracciando il piano presentato da Irlanda e Norvegia e proponendo invece di lasciare aperto il valico tra Siria e Turchia solo per altri sei mesi. Un lasso di tempo molto breve che metterebbe ulteriormente in difficoltà le Ong che operano nell’area. Per Mosca, l’opzione migliore sarebbe in realtà la totale chiusura di qualsiasi corridoio umanitario che bypassi Damasco, ma lasciare aperto Bab al-Hawa garantisce alla Federazione una posizione negoziale di forza in Siria, e non solo.
La guerra in Ucraina
Mosca, come già successo negli anni precedenti, si è detta disposta a venire incontro alle richieste degli altri membri del Consiglio di sicurezza in cambio di alcune concessioni che legittimino ulteriormente sul piano internazionale il presidente Assad. La Russia dovrebbe aver chiesto un maggior coinvolgimento di Damasco nella gestione degli aiuti umanitari, ma anche delle garanzie da parte degli Usa e dei suoi alleati sul loro coinvolgimento nella ricostruzione della Siria. Un punto su cui si fatica a trovare un accordo a causa dell’opposizione di Washington e Bruxelles, che continuano a legare la ricostruzione post-bellica alla richiesta di riforme politiche.
Questa volta però la Russia potrebbe alzare la posta in gioco per ottenere delle concessioni che esulano dal contesto siriano. Data la vitale importanza di Bab al-Hawa per la popolazione di Idlib, Mosca potrebbe chiedere agli Usa qualcosa in cambio relativamente alla guerra in Ucraina, come un alleggerimento delle sanzioni o concessioni sul piano diplomatico. Il rinnovo del corridoio per soli sei mesi, inoltre, garantisce alla Russia la certezza di avere presto una nuova occasione per avanzare ulteriori richieste agli Stati Uniti.
Intanto le condizioni di vita della popolazione di Idlib continuano a peggiorare. La guerra in Ucraina ha avuto effetti negativi anche sulla regione occidentale – e sull’intera Siria – a causa dello stop all’export di grano e fertilizzanti, mentre il prezzo dei beni di prima necessità continua ad aumentare. La chiusura di Bab al-Hawa, come denunciato dall’Onu, sarebbe quindi una vera e propria catastrofe e andrebbe a incidere negativamente sulla vita “di una delle popolazioni più vulnerabili al mondo”. Già prima dello scoppio della guerra in Ucraina l’afflusso di aiuti era diminuito a causa della pandemia, ma aveva comunque garantito la sopravvivenza dei 4 milioni di abitanti della regione di Idlib. Quegli stessi aiuti umanitari, però, sono usati dalle milizie che controllano l’area come strumento per imporre il proprio potere, intromettendosi nella distribuzione dei prodotti provenienti dall’esterno e ostacolando il lavoro delle organizzazioni umanitarie. Un problema che rappresenta invece un’opportunità per Mosca, che insiste nell’indirizzare tutti gli aiuti verso Damasco per evitare che le milizie jihadiste attive a Idlib possano sfruttare la situazione a loro vantaggio.
La Turchia
La chiusura di Bab al-Hawa però non sarebbe un problema solo per gli abitanti della regione occidentale. Data la vicinanza geografica, una crisi umanitaria a Idlib darebbe vita a nuovi flussi migratori verso la Turchia, che ha già accolto quasi 5 milioni di profughi siriani sul suo territorio. Un ulteriore aumento dei rifugiati sarebbe di difficile gestione per il partito di governo, alle prese tra l’altro con un crescente del sentimento anti immigrati a meno di un anno dalle prossime elezioni. Ma un incremento dell’instabilità a Idlib intralcerebbe anche i progetti della Turchia in Siria
Ankara ha annunciato di voler costruire abitazioni e servizi nella regione occidentale per favorire il rimpatrio volontario di almeno un milione di siriani, dopo aver però prima aumentato la fascia di territorio sotto il controllo delle milizie a lei fedeli. Da qui la minaccia di una nuova operazione militare nella Siria del nord, con il duplice obiettivo di allargare la zona cuscinetto al confine e allontanare la popolazione curda, percepita come una minaccia.
Una nuova ondata di profughi tra l’altro avrebbe effetti negativi anche per l’Europa, dato che consentirebbe ad Ankara di tenere ancora più sotto scacco i paesi dell’Unione con la minaccia di aprire le frontiere.
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