- Mosca ha mandato Medvedev a Pechino per cercare di spingere l’alleato cinese, finora molto cauto e prudente, a fornire un maggior contributo alla Russia e a rafforzare l’asse tra i due paesi.
- La dirigenza cinese, dopo alcuni segnali un po’ più sfumati e ambigui, sembra essere tornata a una maggiore sintonia con le aspettative di Mosca senza però superare la linea rossa della fornitura di armi.
- Da parte sua Xi Jinping ha detto che la Cina è pronta a stringere ulteriormente i suoi rapporti con la Russia per una «governance globale più giusta» che, nel linguaggio diplomatico cinese, significa opporsi all’egemonia americana soprattutto in Asia e in particolare a Taiwan.
Volodymyr Zelensky, con la visita a sorpresa alla città simbolo di Bakhmut, e Vladimir Putin, che annuncia che il suo paese dispiegherà presto i missili balistici intercontinentali Sarmat considerati il fiore all’occhiello dei nuovi programmi militari di Mosca, hanno entrambi manifestato la determinazione di voler continuare i combattimenti in corso in Ucraina.
In questo contesto di scontro senza spiragli di dialogo, dopo 300 giorni di conflitto, vanno inquadrate le rispettive visite del presidente ucraino a Washington e quella di Dmitri Medvedev a Pechino in cerca di maggiori sostegni alle rispettive cause.
Mosca è conscia della drammatica situazione di stallo del conflitto in Donbass e ha mandato Medvedev a Pechino per cercare di spingere l’alleato cinese, finora molto cauto e prudente, a fornire un maggior contributo alla Russia e a rafforzare l’asse di alleanza tra i due paesi. La dirigenza cinese, dopo alcuni segnali un po’ più sfumati e ambigui di qualche mese fa, sembra essere tornata a una maggiore sintonia con le posizioni di Mosca senza però superare la linea rossa della fornitura di armi.
Il presidente Xi Jinping ha incontrato a Pechino il leader di Russia Unita – il partito politico di Putin – Dmitri Medvedev. L’ex presidente russo, che è numero due del Consiglio di sicurezza, ha detto di aver discusso con Xi di collaborazione bilaterali con la Federazione russa e di questioni internazionali, compreso il conflitto in Ucraina, che è stato in cima all’agenda dell’incontro alla Diaoyutai State Guest house, sul versante occidentale della capitale cinese, dove la Cina accoglie tradizionalmente i dignitari stranieri in visita.
Coincidenza di vedute
Medvedev e il leader cinese – secondo fonti russe riportate dall’agenzia Tass – hanno riscontrato un’ampia coincidenza di vedute e Xi ha auspicato che si arrivi una «soluzione politica pacifica» alla crisi ucraina. Una posizione ancora troppo prudente e cauta rispetto alle aspettative di Mosca che vende gas e petrolio all’alleato orientale, grande consumatore di energia e alle prese con una nuova ondata di casi da pandemia dopo l’attenuazione, a furor di popolo, delle norme sulla «zero Covid policy».
Nella sua visita a Pechino, che coincide, quasi fosse una contromossa, con quella del presidente dell’Ucraina a Washington, l’ex presidente russo, che da “colomba” ultimamente ha vestito i panni del “falco” con affermazioni incendiarie, ha portato all’interlocutore cinese un messaggio diretto del capo del Cremlino, che parla di un «livello di dialogo senza precedenti» fra Mosca e Pechino.
Da parte sua Xi Jinping ha detto che la Cina è pronta a stringere ulteriormente i suoi rapporti con la Russia per una «governance globale più giusta» che, nel linguaggio diplomatico cinese, significa opporsi all’egemonia americana soprattutto in Asia e in particolare sulla questione di Taiwan.
I colloqui, secondo fonti russe, hanno riguardato anche la cooperazione economica e industriale tra i due Paesi e il «coordinamento strategico» tra Mosca e Pechino nelle Nazioni unite e nelle piattaforme multilaterali, tra cui la Shanghai Cooperation Organization (Sco), i Brics (la sigla che riunisce le economie emergenti di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e il G20.
L’allarme della Nato
In realtà Russia e Cina stanno, secondo fonti diplomatiche americane presso la sede Nato di Bruxelles, condividendo da tempo strategie comuni sempre più aggressive per indebolire e dividere i membri della Alleanza atlantica. Per questo Washington sta esortando da mesi le capitali occidentali a intensificare gli sforzi per difendersi sia da Mosca che da Pechino.
L’amministrazione Biden sta spingendo in particolare i membri dell’alleanza a rafforzare la loro posizione nei confronti della Cina, citando le minacce alle infrastrutture strategiche occidentali come le reti di trasporto e di energia e il sostegno politico alla guerra contro l’Ucraina.
Vero è che Pechino, per timore di vedere sanzionati i suoi prodotti commerciali da Washington, non fornisce direttamente armi da utilizzare nella guerra della Russia contro Kiev ma, da quando ha lanciato l’invasione militare a febbraio scorso, ha dato ampio sostegno politico al presidente Putin e ha sostenuto la versione del Cremlino che accusa l’Ucraina e più in generale l’occidente per la guerra in corso.
Va inoltre ricordato che la Nato, per la prima volta in suo documento redatto a giugno scorso e dopo il disastroso e precipitoso ritiro dall’Afghanistan, ha parlato di «sfide strategiche» che la Cina pone alla stessa Alleanza atlantica. Non a caso dopo un’intensificazione delle pressioni statunitensi, i ministri degli Esteri degli stati membri della Nato hanno discusso, in una riunione tenutasi a Bucarest, in Romania, il mese scorso, di misure concrete per rapportarsi in modo coordinato e congiunto alla Cina. Un segnale inequivocabile di maggior coesione tra le due sponde dell’Atlantico in funzione anti cinese.
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