Sabato mattina una bomba aliante russa ha colpito un edificio residenziale nella città ucraina di Kharkiv, uccidendo quattro persone e ferendone altre 70, a poche centinaia di metri da un centro commerciale pieno di gente venuta a fare la spesa.

Il giorno dopo, gli ucraini hanno lanciato in pieno giorno cinque missili contro un aeroporto militare in Crimea, non lontano da una spiaggia affollata. Rottami di un missile intercettato sono caduti sui bagnanti, uccidendone quattro e ferendone quasi 150. Lunedì, due missili russi hanno centrato, ancora una volta in pieno giorno, un magazzino di Odessa, dove lavoravano 60 persone. La colonna di fumo si vedeva da tutta la città, ma per un incredibile caso non ci sono stati morti.

Il pendolo della rappresaglia aerea sembra oscillare con sempre maggiore rapidità nei cieli dell’Ucraina e a un prezzo sempre più alto per i civili. L’escalation nei bombardamenti a cui il paese assiste dall’inizio del 2024 è in gran parte causata dai sempre più furiosi bombardamenti ordinati dal Cremlino. Nei primi giorni dell’anno Kiev è stata presa di mira dal più vasto attacco russo mai lanciato, quasi 160 tra droni e missili lanciati in una sola notte, a cui ha fatto seguito una campagna senza precedenti di bombardamenti contro la rete elettrica del paese.

Gli ucraini non sono stati a guardare. Nelle prime settimane dell’anno hanno dimostrato di cos’è capace la loro flotta di droni a lungo raggio, colpendo raffinerie di petrolio russo anche a mille chilometri oltre il confine e, al picco della campagna, disabilitando oltre il 10 per cento della capacità di raffinazione russa, causando un’impennata dei prezzi delle benzina al di qua degli Urali, e le proteste degli Stati Uniti, timorosi di una rappresaglia russa e di un generalizzato aumento del prezzo dei carburanti nel pieno della campagna elettorale presidenziale. Nell’ultimo mese, ai droni di produzione propria gli ucraini hanno aggiunto le armi Nato, che sono stati autorizzati a usare su parte del territorio russo.

Fronte fermo, bombe in città

Per chi vive lontano dall’Ucraina, due anni di conflitto hanno trasformato la cronaca quotidiana della guerra aerea contro le retrovie nemiche in un indistinto brusio di sottofondo. Ma per chi sotto quelle bombe ci vive il ritmo degli attacchi fa la differenza tra una vita quasi normale e le notti passate nei rifugi, o peggio.

Gli abitanti di Kiev, ad esempio, ricordano ancora il maggio 2023 come uno dei mesi più difficili per la città, con attacchi aerei quasi quotidiani e battaglie tra droni e antiaerea che infuriavano tra i grattacieli della periferia. A Odessa il periodo peggiore è stato la fine della scorsa estate. Per Kharkiv, lo scorso maggio, con oltre duecento morti e le allerte aree che sono durate per un totale di 20 giorni su 31.

Se per ogni città e regione la situazione può variare radicalmente da un mese all’altro, non c’è dubbio che il 2024 ha visto un intensificarsi complessivo e senza precedenti della guerra aerea. Le ragioni sono diverse. È una legge immutabile della guerra che quando il fronte non si muove – e il fronte ucraino è ormai quasi immobile: dalla fine del 2022 a oggi, i chilometri quadrati di territorio passati di mano si calcolano in qualche centinaio – i generali frustrati cercano di vincere colpendo le retrovie nemiche.

«Finché la guerra sarà contenuta nel nostro territorio, non influenzerà la Russia», ha detto il generale ucraino Kyrylo Budanov, comandante dell’intelligence militare di Kiev e sostenitore della prima ora degli attacchi in Russia. «Potremo fare ancora di più se avremo più risorse».

Rappresaglie

Ma c’è anche un’altra logica in questi attacchi. Dietro i bombardamenti si cela un dialogo tra i due paesi in guerra in cui a parlare non sono i diplomatici, ma i missili a lungo raggio. Una sorta di diplomazia delle bombe. Il presidente russo Putin è esplicito nell’ammettere che le sue forze armate praticano questa forma di dialogo. Lo scorso 12 aprile, dopo che l’aviazione del Cremlino aveva disabilitato mezza dozzina di centrali termiche ucraine, aveva spiegato che gli attacchi erano una risposta ai bombardamenti ucraini contro le raffinerie e le centrali elettriche russe. Un modo per dire che Kiev deve limitare i suoi attacchi, o ancora meglio: la sua resistenza, se non vuole passare l’inverno al gelo.

A Kiev, l’argomento è un tabù: parlare di “rappresaglia” russa significa fornire una giustificazione al Cremlino. L’Ucraina è il paese aggredito, ricordano, e ha il diritto di difendersi. A porte chiuse, però, politici e militari ammettono che, almeno in parte, partecipano anche loro a questa forma di dialogo: colpire duramente la Russia per dimostrare che è una scommessa azzardata bombardare l’Ucraina. La loro esperienza sul mar Nero, sostengono, dice che è possibile uscire vincitori da queste “conversazioni”.

Un anno fa, il Cremlino aveva cercato di bloccare il traffico mercantile in uscita dai porti ucraini, ma quando Kiev ha dimostrato la capacità non solo di colpire la flotta militare nemica, ma anche di minacciare i porti da cui partono le esportazioni di petrolio e gas liquefatto russo, sul mar Nero è calata una sorta di tacita tregua. Le esportazioni di grano ucraino continuano, i russi non attaccano i mercantili e gli ucraini fanno altrettanto. Non sarebbe possibile, si chiedono a Kiev, ottenere la stessa tregua anche nei cieli dell’Ucraina dimostrando di poter colpire tanto duramente quanto sono colpiti?

Ragionamento logico, in linea di principio, ma che per ora Putin non sembra condividere, forte del fatto che, per ogni drone che gli ucraini mandano in Russia, il Cremlino può rispondere con dieci. E quando Kiev danneggia una dozzina di raffinerie, la Russia rade al suo suolo metà delle sue centrali elettriche.

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