La vittoria dei democratici Jon Ossoff e Raphael Warnock ai ballottaggi del 6 gennaio per il Senato federale è l’inizio dell’ascesa di un nuovo modo di fare politica negli Stati Uniti
- La vittoria dei democratici Jon Ossoff e Raphael Warnock ai ballottaggi del 6 gennaio per il Senato federale è l’inizio dell’ascesa di un nuovo modo di fare politica negli Stati Uniti.
- Le organizzazioni che hanno sostenuto i due politici hanno avuto una grande partecipazione degli afroamericani al voto e non rappresentano solo un’eredità del movimento per i diritti civili, ma sono anche il segno di un rinnovamento nella continuità di quella esperienza.
- I due neo-senatori democratici rappresentano “l’altra metà della Georgia”: giovani ed espressione di quelle che un tempo erano minoranze messe all’angolo. Ma chi sarà in grado di ricomporre questa metà con i sostenitori di Trump?
La giornata del 6 gennaio 2021 passerà alla storia per quanto è avvenuto a Washington. Ma la giornata di mercoledì è stato anche altro, ovvero le elezioni in Georgia: due fatti che sono parte di un unico percorso storico: dietro la vittoria al Senato di Jon Ossoff e Raphael Warnock, infatti, c’è molto più di quello che appare. In primo luogo il lavoro di Organizer-In-Chief di Stacey Abrams (su cui ha scritto Igiaba Scego su Domani), la donna afroamericana che ha organizzato la società e il partito democratico della Georgia per dieci anni, fino ad arrivare a vincere le presidenziali del 2020 e i due seggi del Senato. Scrive la Urbinati, sempre su questo quotidiano: «Abrams ha compreso che la debolezza dei democratici era da ascriversi alla “infrastruttura politica”, che non riusciva a coagulare le minoranze, quelle degli afroamericani ma anche dei latinos e degli asiatici americani. Unificare le minoranze attraverso un lavoro capillare guidato dai movimenti dal basso sulle questioni locali e sul-le prospettive nazionali di riforma – sul salario minimo, sui diritti riproduttivi, sulla scuola pubblica».
Mercoledì due rappresentanti della “Squad” - ovvero Alexandria Ocasio Cortez e Ilhan Omar - si sono congratulate con Stacey Abrams e le organizzazioni appena citate, alcune delle quali create direttamente da quest’ultima. Si è trattato di un lavoro lungo anni. Alexandria Ocasio Cortez ha ringraziato gli “organizer” e citato le organizzazioni una a una; la Omar ha scritto: “make a plan, work the plan and repeat”, ovvero «prepara un piano, eseguilo e ripetilo». Lavoro e organizzazione, lavoro e organizzazione. Ma di che tipo di organizzazioni stiamo parlando?
Nuove organizzazioni per nuovi ideali
Le organizzazioni sono - per esempio - “Fair Fight”, guidata dalla stessa Stacey Abrams e Lauren Groh-Wargo; “ProGeorgia” di Tamieka Atkins; la “New Georgia Project” guidata da Nsé Ufot e “Fair Count” di Rebecca DeHart (tutte donne). Insieme, in questa elezioni, hanno registrato centinaia di migliaia di nuovi elettori nello stato, raggiungendo livelli di registrazione record, ovvero 7,6 milioni di persone (in seguito alle proteste per la morte di George Floyd c’è stata un'impennata nell'affluenza alle urne tra gli elettori neri, già a partire dalle primarie).
Le organizzazioni che hanno sostenuto una grande partecipazione degli afroamericani al voto rappresentano un’eredità del movimento per i diritti civili, ma sono anche il segno di un rinnovamento nella continuità di quella esperienza. Stacey Abrams è una donna espressione dell’establishment afroamericano del partito locale, che nel 2018 perse le elezioni per il governatorato a causa delle pratiche - legali - di voter suppression, ma che dal giorno successivo alla sconfitta ha preparato la controffensiva elettorale, tramite un significativo investimento organizzativo nel livello di base, “grassroots”. Invece che investire solo sulle campagne elettorali dei candidati, i democratici della Georgia hanno investito sugli elettori, sulle organizzazioni della società civile e sulla partecipazione permanente dei cittadini. Insomma, sentiremo parlare ancora del “modello Georgia” (speriamo non troppo in Italia, dove si tende a esportare un modello che non si comprende una volta a settimana).
La vittoria dell’altra metà
I due neo-senatori che rappresentano “l’altra metà della Georgia” sono un produttore di documentari, intellettuale ed ebreo, di 33 anni e un reverendo nero che siede sul pulpito di Martin Luther King; ma anche il più giovane Ssenatore americano dall'elezione di Joe Biden nel 1972 uno, il primo afroamericano (uno dei pochi nella storia del Paese: sono solo altri 10) eletto al Senato federale in Georgia, l’altro: dietro entrambi c’è una società che è stata organizzata e che si è mobilitata. Tutta un’altra storia rispetto alla tradizionale classe politica bianca e conservatrice del Sud del Paese, e un assaggio dell’America che verrà. La Georgia rappresenta un esempio dell’evoluzione demografica de-gli Stati Uniti: la rapida crescita dell’area metropolitana di Atlanta e l’evoluzione majority/minority dello stato, i bianchi sono solo il 52 per cento del totale della popolazione, trainano il cambiamento elettorale, nello stato che è la capitale della classe media afroamericana e del suo establishment economico e politico. Le cronache di questi giorni raccontano di due anni di lavoro coordinato fra leader di partito, attivisti per i diritti civili e community organizers allo scopo di far registrare e partecipare i giovani - molti dei quali afroamericani e latini - e le donne della suburbia, specie quelle afroamericane (in un quadro di differenziazione sociodemografica degli spazi semi-urbani). Una società che cambia, e le cui domande vengono intercettate dalle leadership sociali e politiche.
L’importanza dell’organizzazione
La parola chiave è organizzazione. Le capacità organizzative di Stacey Abrams sono state mitizzate a tal punto che il noto anchorman televisivo Trevor Noah le ha chiesto, via Twitter, se si intendesse anche di distribuzione di vaccini. E qui veniamo al punto, al punto che lega e chiude i due eventi del-la giornata di ieri: organizzazione è potere. L’antico insegnamento del community organizer Saul Alinsky sembra riecheggiare in questi anni di ricostruzione delle reti organizzative dei dispossessed - i deprivati di qualcosa, siano essi i poveri ma anche le classi medie sofferenti - e dei “senza pote-re”. Il focus non è più solo sui diritti, ma sulla costruzione di un vero e proprio contro-potere che con-trobilanci quello determinato dalle vecchie strutture sociali americane.
Significa costruire rappresentanza sociale e politica, organizzazioni e alleanze, potere di mobilita-zione e di veto. Vuol dire dare gambe a movimenti come Black Live Matters nella politica del day-by-day, attraverso la creazione di leadership autonome da parte dei giovani, delle donne, delle mi-noranze. Ancor di più se esse sono capaci di creare ponti “intersezionali”, grazie ai quali mischiare identità e costruire cultura condivisa e, appunto, generare potere reale (ma anche nuovi simboli col-lettivi, nuove immagini che vanno a nutrire l’identità collettiva degli americani).
Lo scontro tra le due Americhe
Dare “potere al popolo” grazie a strumenti che fanno emergere una nuova radicalità, con l’obiettivo di spostare l’asse delle gerarchie sociali consolidate. Ma quale popolo? E qui c’è lo scontro fra la nuova maggioranza americana che aiuta a vincere le lezioni di Ossoff e Warnock, e il “vecchio po-polo” che ieri ha occupato Capitol Hill per conto di Trump e di quel 25 per cento di americani - almeno così dicono i sondaggi - che hanno approvato quella azione eversiva. Ha scritto Raffaella Baritono: “le immagini dei «patrioti» che si fanno immortalare seduti sullo scranno del presidente del Senato o della Camera verranno percepite, dall’America profonda che crede in Trump, come la riappropria-zione delle istituzioni da parte del popolo sovrano, come l’espressione autentica di quello spirito di libertà che affonda nelle radici della lotta rivoluzionaria”.
In Georgia si fa una passo in avanti per instaurare un nuovo ordine che conceda spazio a chi è re-stato ai margini, o non ha mai potuto partecipare a pieno titolo al “grande gioco”; a Washington, invece, si è tirata la corda in direzione opposta e contraria, con l’obiettivo di bloccare quel processo che mette in discussione la società americana delle origini e un passato dorato, spesso mitizzato, molto bianco e molto maschile, che non esiste più.
Una frazione della base sociale di Donald Trump si sente esautorata e depredata; è effettivamente un pezzo di America perdente. Che abbia perso speranza nel futuro, reddito, centralità sociale… che questo sia un fatto percepito o reale poco importa. In questo momento trova in Trump, nelle teorie del complotto e nel nazionalismo una via di riscatto contro la nuova America emergente. Difficile immaginare una “win-win situation” per questa due Americhe: ma chi eviterà che il paese esploda? E come?
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