- Dopo nove settimane gli shanghaiesi tornano a vivere: nella metropoli degli affari riaprono tutte le attività, ma per fare qualsiasi cosa che non sia una passeggiata bisognerà farsi un tampone ogni 72 ore.
- A Pechino intanto Xi e compagni rivedono la politica “contagi zero”, che non verrà ufficialmente abbandonata, ma ricalibrata: i costi economici e le sofferenze umane si sono dimostrati alla lunga insostenibili. Spazio poi al piano di stimolo del governo, con il premier Li Keqiang che si riprende la scena.
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Gli shanghaiesi si sono riversati in strada il primo giugno, allo scoccare della mezzanotte: brindisi, fuochi d’artificio e abbracci per festeggiare la fine di un lockdown che per una parte della popolazione è durato fino a nove settimane e che è stato in alcuni casi durissimo, complice la disorganizzazione delle autorità cittadine e la determinazione del governo centrale a imporre le misure più rigide possibile, affinché l’epidemia non dilagasse.
Le autorità cittadine hanno comunicato che «Shanghai farà del suo meglio per recuperare il terreno perduto a causa dell’epidemia di SARS-CoV-2». Nella megalopoli di oltre 25 milioni di abitanti si rimuovono le barriere e i cancelli eretti per costringere la popolazione all’interno dei compound residenziali.
Riaprono le scuole e i negozi e, gradualmente, anche l’aeroporto internazionale di Pudong. Per uscire di casa e fare qualsiasi cosa che non sia semplicemente passeggiare per strada, bisognerà ancora esibire un test effettuato nelle 72 ore precedenti. Secondo le autorità, i test di massa starebbero dando ottimi risultati e a Pechino avrebbero impedito l’esplosione di un grosso focolaio. Proprio sui test di massa (che però secondo Nomura possono costare fino all’1,8 per cento del Pil se effettuati su metà della popolazione) e su lockdown “mirati” (senza più bloccare intere metropoli) punterà il governo nelle prossime settimane.
Dopo il caos e le proteste popolari, Xi Jinping e compagni proveranno a correggere la politica “contagi zero” senza rinnegarla ufficialmente.
Alla fine il lockdown di Shanghai è durato quanto quello dell’inizio 2021 a Wuhan (76 giorni), ma l’epidemia nella metropoli degli affari ha causato ufficialmente un numero di morti di gran lunga inferiore rispetto allo Hubei, la provincia di cui Wuhan è capoluogo (595 contro 4.512), soprattutto perché a diffondersi nelle scorse settimane è stata la meno letale variante Omicron.
L’immagine della città più cosmopolita della Cina ha comunque subìto un duro colpo per la rigidità dell’implementazione delle misure di contenimento, che hanno causato sofferenze tra la popolazione cinese e i residenti stranieri, molti dei quali hanno lasciato Shanghai. Secondo fonti cinesi, la durezza della politica “contagi zero” ha creato un malcontento diffuso nella classe media e nella upper middle class, cioè nella costituency senza diritto di voto di Xi Jinping, che si appresta (nell’autunno prossimo) a chiedere al congresso nazionale del partito comunista un inedito terzo mandato a governare la Cina. Un caso clamoroso è stato quello degli universitari pechinese che - come testimonia questo video - la settimana scorsa hanno inscenato una clamorosa protesta, ottenendo di poter uscire dal campus per tornare a casa. Ma lo scontento si è manifestato anche online, con la diffusione del video “Le voci di aprile”, nonché attraverso gli interventi di accademici che hanno criticato la politica “contagi zero” per i suoi effetti sull’economia e sulla salute psichica delle persone.
Xi Jinping e compagni sono rimasti prigionieri di una politica che - fino alla pasticciata gestione di Shanghai - aveva permesso al partito comunista di rivendicare la “superiorità” del “socialismo con caratteristiche cinesi” rispetto alla democrazia liberale nella gestione delle crisi. Una narrazione propagandistica che si basava unicamente sul numero di morti registrati dalla Cina (5.266) rispetto ai 6,29 milioni di deceduti nel mondo intero e, soprattutto, al milione di morti negli Stati uniti.
Ma ad aprile, con l’esplosione del focolaio di Shanghai è cambiato tutto, perché agli effetti psicologici delle chiusure in una delle metropoli più “liberal” del paese si sono aggiunte le ripercussioni sull’economia, in particolare sul settore del commercio e dei servizi che nelle metropoli cinesi è dominato dai lavoratori migranti, quelli con meno diritti e più esposti alle crisi.
ECONOMIA
Col piano di stimolo il premier Li Keqiang torna alla ribalta
Martedì 31 maggio il Consiglio di stato (il governo cinese) ha pubblicato i dettagli del piano di stimolo in 33 punti che dovrebbe “stabilizzare l’economia a partire dal secondo trimestre” (aprile-giugno 2022) e gettare “solide fondamenta” per una più forte ripresa nella seconda metà dell’anno, da realizzarsi attraverso un mix di investimenti infrastrutturali, tagli alle tasse e sussidi ai lavoratori.
- Perché è importante
Il Consiglio di stato ha annunciato che per favorire la crescita si punterà soprattutto sulla costruzione di infrastrutture di trasporto, impianti d’irrigazione, oleodotti e gasdotti. Il ministero dell’Industria e dell’Informatica ha fatto sapere che verranno potenziati l’infrastruttura del 5G e gli investimenti nei veicoli a nuova energia. La produzione di carbone aumenterà e la capacità di stoccaggio aumenterà per garantire la fornitura di energia durante il picco della domanda estiva. Per stabilizzare la catena di approvvigionamento, saranno forniti prestiti di emergenza alle compagnie aeree e alle aziende del settore del commercio al dettaglio.
- Il contesto
Il premier Li Keqiang ha ammesso per la prima volta che il prodotto interno lordo della Cina potrebbe scendere al di sotto dell’obiettivo prefissato del +5,5 per cento nel 2022. Li (ufficialmente responsabile della politica economica) negli ultimi giorni è stato al centro dell’attenzione dei media cinesi, rubando la scena a Xi, mentre si rincorrono le voci di un dissidio tra il numero due e il numero uno del partito sulla gestione dell’epidemia e dei suoi riflessi sull’economia.
Gli osservatori internazionali restano pessimisti per il 2022, perché sarà molto difficile realizzare una solida ripresa in mancanza di un completo ripristino della mobilità, impensabile prima della conclusione (l’autunno prossimo) del XX congresso del partito comunista. Secondo un report pubblicato lunedì 30 maggio da Moody’s - che ha abbassato le sue previsioni di crescita economica della Cina nel 2022 al 4,5 per cento dal 5,2 per cento - l’impatto dello stimolo sarà comunque limitato.
«Per i governi, gli enti statali e i veicoli di finanziamento dei governi locali, il peso del debito aumenterà per finanziare progetti infrastrutturali. Le prospettive economiche incerte e il debole contesto operativo freneranno gli incentivi delle aziende ad aumentare il debito per gli investimenti, portando a una riduzione della leva delle aziende private».
Yuan, di Lorenzo Riccardi
Il Fondo monetario internazionale promuove lo Yuan
Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha recentemente rivisto la composizione del suo paniere, decidendo di promuovere lo Yuan in relazione al ruolo e alla performance durante il periodo pandemico, aumentandone la quota di 1,36 punti percentuali, al 12,28 per cento. Si è trattato della prima revisione sulla valuta cinese da quando è stata inserita nel paniere del Fmi nel 2016.
La decisione del Fmi di aggiungere lo Yuan nel suo paniere dei “diritti speciali di prelievo” (Dsp) e ora di aumentarne il peso come asset di riserva internazionale segna un passo avanti nell’internazionalizzazione della valuta.
Con l'aggiustamento della quota, lo Yuan si conferma nel paniere come la terza valuta più importante dopo il dollaro (43,38 per cento) e l’euro (29,31 per cento).
Nella dichiarazione del Fmi si osserva che gli aggiornamenti si basano sui progressi compiuti nelle riforme dei mercati finanziari nel quinquennio tra il 2017 e il 2021.
Lo Yuan è l’unica moneta ad avere due nomi ufficiali: renminbi, con abbreviazione comune “RMB”, che significa “valuta del popolo” e “Yuan” con abbreviazione internazionale “CNY” che significa “moneta rotonda”. Introdotta nella Repubblica popolare cinese nel 1949, ma l’utilizzo in Cina di monete e banconote ha corso antico come la storia del paese. La prima banconota cartacea al mondo venne emessa proprio in Cina, sotto la dinastia Ming nel XIV secolo, e descritta anche da Marco Polo nel Milione.
Pechino ha testato l’uso della propria moneta nei mercati del Sud-est asiatico e ipotizzato con l’Unione africana l’utilizzo della valuta nell’intero continente.
Nel mercato interno la Cina ha promosso la creazione di 12 zone di libero scambio (Fta), dall’Isola di Hainan al distretto di Lingang nella municipalità di Shanghai; queste Fta servono a sperimentare nuove riforme fiscali e finanziarie incluse modalità più efficienti di conversione e utilizzo di valuta estera.
Nel 2020 Pechino ha superato gli Usa per numero di investimenti esteri diretti e ha siglato il più grande accordo di libero scambio al mondo: con la Regional Comprehensive Economic Partnership la Cina aumenta il proprio ruolo nel commercio e nella finanza.
LAVORO
Boom di neolaureati e di giovani disoccupati
I lockdown implementati nell’abito della politica “contagi zero” e il rallentamento dell’economia stanno facendo crescere in maniera preoccupante la disoccupazione tra i giovani e i neolaureati cinesi che quest’anno toccheranno la cifra record di 10,76 milioni. Nel mese di aprile la disoccupazione nella fascia di età 16-24 anni ha raggiunto il 18,2 per cento. Si tratta di una situazione destinata a protrarsi nei prossimi mesi, fino a quando non verranno sensibilmente allentate le restrizioni ai movimenti di persone e merci che stanno danneggiando pesantemente la produzione e la logistica.
- Perché è importante
Secondo un sondaggio condotto il mese scorso dal fornitore di servizi di recruiting online zhaopin.com, i laureati del 2022 prevedono una paga mensile di circa 6.295 yuan (877 euro) - il sei per cento in meno rispetto ai laureati nel 2021 - e circa la metà di loro prevede di essere assunta subito dopo la laurea, anche in questo caso un dato in calo del 6 per cento rispetto allo scorso anno, mentre gli altri immaginano di iniziare come freelance o di posticipare la ricerca di un impiego. L’offerta di lavoro è stata ridotta in particolare da parte delle startup tecnologiche, colpite dalla campagna del 2021 contro i monopoli hi-tech, e del settore dell’automotive. Non si contano i pre-contratti con i laureandi rescissi (che comportano un indennizzo da corrispondere e un danno reputazionale per le aziende): un chiaro segnale di difficoltà di questi comparti strategici per l’economia cinese.
- Il contesto
Per la prima volta in oltre due decenni, il numero di laureati senza offerte di lavoro potrebbe superare in modo significativo quelli che ne hanno ricevuta una o più. I potenziali datori di lavoro stanno riducendo i costi poiché la logistica è stata interrotta e le vendite sono crollate, danneggiando le prospettive per i neolaureati.
Consigli di lettura della settimana:
- Europe’s Indo-Pacific pivot
- Biden’s Grand China Strategy: Eloquent but Inadequate
- Is Beijing Changing Tack on Big Tech?
- What It Means When Epidemic Prevention Becomes a ‘War’
- Hong Kong leans into Chinese-style governance reform
Per questa settimana è tutto. Per osservazioni, critiche e suggerimenti potete scrivermi a: exdir@cscc.it
Weilai vi invita a seguire il futuro della Cina su Domani, e vi dà appuntamento a giovedì prossimo.
A presto!
Michelangelo Cocco @classcharacters
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