Il ministro degli Esteri è atteso in Siria venerdì 10 gennaio, dopo la visita degli omologhi francesi e tedeschi. L’Italia può giocare un ruolo di supporto alla coesione di un paese per cui il problema, prima ancora che religioso, è quello della tenuta della complessa trama etnica
Antonio Tajani venerdì 10 gennaio sarà in Siria. Una visita importante che si distacca da quella franco-tedesca di qualche giorno fa. Francia e Germania non hanno ambasciata aperta e non possono operare. I due ministri, infatti, tornando dalla visita a Damasco, hanno detto che si riservano di decidere sul da farsi. Il leader al Jolani viene messo alla prova.
La strategia italiana è diversa: ingaggiare per influenzare da vicino. Era l’idea prima dell’8 dicembre; resta la stessa. Per l’Italia, che prima della guerra era il primo partner commerciale europeo, è possibile riaprire presto canali economici tra imprese del settore privato. Sarebbe molto utile a Damasco. In questo decennio di conflitto alcune nostre imprese hanno continuato a investire e commerciare anche se tra mille difficoltà.
Il cantiere della ricostruzione
Poi c’è il ripristino della sicurezza: l’Italia può diventare molto utile tramite la formazione della nuova polizia, come ha fatto con successo altrove. Lo stesso si può dire del sistema giuridico, anche se rimane il problema della legge islamica.
Esiste il tema della nuova costituzione su cui poter supportare con esperti. Ovviamente c’è l’enorme cantiere della ricostruzione: il paese è a terra e le città quasi invivibili, a parte la capitale. Possiamo anche offrire il modello della nostra Protezione Civile: oltre la guerra, nel 2023 c’è stato il terremoto sulle cui conseguenze il passato regime non ha fatto quasi nulla.
Occorre poi sostenere i due settori pubblici di sanità e educazione mediante la cooperazione. Tajani si troverà davanti degli interlocutori di un governo appena nato, che ancora non controlla tutto il territorio nazionale e che è alle prime armi.
Hayat Tahrir al Sham (Hts) non si aspettava certo una vittoria così rapida e ora è enormemente corteggiato da vicini e lontani, tutti a far la coda alla porta del nuovo esecutivo. Chi conta di più è certamente la Turchia, dove al Jolani si recherà per la sua prima visita all’estero, oltre ai sauditi provvisti di grandi mezzi e interessati a capire l’evoluzione ideologo-religiosa del paese. Anche Israele guarda e ascolta attentamente, dopo aver bombardato preventivamente le restanti istallazioni militari siriane.
Un aspetto importante da ottenere è la garanzia di accesso delle agenzie umanitarie dell’Onu su tutto il territorio: Assad non lo permetteva se non con il contagocce ma ora è necessario aprire.
Minoranze e cristiani
Infine nel dialogo Siria-Italia la difesa e protezione delle minoranze e dei cristiani è certamente una priorità. I cristiani si sono fatti recentemente sentire: i capi delle chiese siriane greco-ortodossa, siro-ortodossa e greco-cattolica hanno rilasciato un comunicato congiunto sul futuro del paese. Le chiese rivendicano un ruolo nella costruzione della nuova Siria e allo stesso tempo spronano i loro fedeli a impegnarsi. La nuova Siria ha bisogno di un profondo lavoro di riconciliazione attraverso il metodo del dialogo che garantisca l’unità nazionale e la pace tra le varie componenti della società: una sfida davvero strategica su cui l’Italia potrebbe impegnarsi.
Il documento dei patriarchi sottolinea come «la diversità etnica, religiosa e culturale che ha caratterizzato le comunità locali della Siria è fonte della sua ricchezza e forza»: un’affermazione importante in un momento delicato in cui la diversità è percepita al contrario come fonte di fragilità, come ad esempio la situazione del Rojava rappresenta.
Il dialogo di al Jolani con i curdi avanza lentamente senza che se ne vedano ancora le prospettive. Attualmente tutti insistono – lo ha fatto anche la Turchia – sull’unità nazionale e ciò comporta che il dialogo nazionale «ridefinisca l’identità nazionale della Siria sulla base di valori comuni: cittadinanza, dignità, libertà e coesistenza», come recita il documento.
Ci sarà bisogno anche di confronto a livello locale in tutte le province, città e villaggi, per affrontare la sfida della coesistenza: l’odio prodotto dalla guerra è profondo e il rischio di faide e vendette molto alto. Si tratta del principale problema che oggi affronta la Siria: la riconciliazione a livello delle comunità locali laddove molte sono state le violenze, le requisizioni e le espulsioni e di conseguenza anche le rappresaglie di queste ultime settimane.
Si sentono voci di assalti, arresti, rapimenti, distruzioni in particolare nelle zone rurali e in città martirizzate come Homs e Hama. I patriarchi propongono una via di resistenza nel paese per le comunità cristiane il cui peso è molto diminuito in questi quasi 14 anni di guerra (si parla del 2 per cento della popolazione, mentre prima era il 7 per cento ma sono stime).
I leader cristiani si fanno avvocati della nuova Siria chiedendo alla comunità internazionale di revocare le sanzioni, posizione che l’Italia potrebbe sostenere in ambito Ue.
In cambio si spera che i vincitori impostino un regime neutrale rispetto alla religione: una Siria governata da una costituzione che garantisca lo stato di diritto, l’uguaglianza davanti alla legge, la separazione dei poteri e il rispetto per la diversità e le libertà, in cui lo stato mantenga almeno una distanza uguale da tutte le religioni e denominazioni.
Certamente lo sforzo dei tre patriarchi è di far dimenticare la passata vicinanza al regime caduto, fatto che le chiese stesse giustificano con il radicalismo di tanti movimenti islamisti o qaedisti anti-Assad sin dal 2011. Lo stesso quesito è posto ora ad al Jolani e ai suoi che provengono da quella matrice.
I cristiani siriani – presenti nel paese da 2000 anni – hanno subito la medesima sorte di quasi tutte le altre minoranze: essere presi in ostaggio, attanagliati tra poteri più forti. Gli alawiti, l’etnia della famiglia Assad, una volta al comando sono ora alla mercé dei sunniti maggioritari, molti dei quali tornano dall’esilio. Prima ancora di occuparsi del posizionamento del paese nel quadro mediorientale, la sfida siriana è di ricostituire la coesistenza nazionale: l’Italia può essere di appoggio per evitare che il paese sia ripreso dai suoi antichi demoni.
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