La notizia degli incendi che hanno ucciso diciotto migranti nella foresta di Dadia, nella zona orientale della Grecia, ha fatto il giro delle chat Telegram in pochissimo tempo. Il tam tam tra mediatori, persone in cammino e contrabbandieri ha velocemente dirottato i flussi verso un’altra zona della regione, sempre non lontano da quel confine con la Turchia disegnato dal fiume Evros.

Ancora in queste ore, i messaggi circolari inviati per dare indicazioni lungo la strada avvisano di evitare la zona, sia per il rischio roghi, sia perché è pieno di vigili del fuoco e di polizia. Non è la situazione ideale per uomini, donne e bambini che mirano a diventare invisibili alle autorità ma non solo.

La minaccia per i migranti arriva anche da gruppi locali di nazionalisti e xenofobi che spesso rastrellano il territorio a caccia di uomini. E che in queste ore stanno accusando proprio i migranti di aver appiccato gli incendi.

Le autorità locali non escludono che nei prossimi giorni possano essere ritrovati altri corpi, perché è proprio in quella boscaglia che si nascondono spesso i migranti.

Tappa obbligata

Negli ultimi anni l’area di Dadia è diventata una tappa fissa della rotta per arrivare in Turchia. L’obiettivo è andare in Bulgaria oppure fermarsi a Smirne, per poi prendere un barcone direzione Italia. E durante il tragitto proprio la foresta è diventata un pit stop strategico, per riposare e intanto nascondersi dalle autorità greche.

Per gran parte della sua estensione, infatti, il bosco è molto fitto, ideale per sparire, e poi a tratti si dirada quel tanto che basta a far passare qualche stradina sterrata.

Su quelle viuzze, soprattutto di sera, passano le pattuglie della polizia greca, anche perché a pochi km c’è il muro che il governo di Atene ha fatto costruire per delimitare una parte del confine con Ankara. Sono 40 km di ferro e filo spinato che i migranti provano a scavalcare per poter scappare via dalla Grecia, anche se formalmente è già Unione Europea.

Diritti violati

«La morte atroce di diciotto migranti è sconvolgente – raccontano da Alarm Phone - ma dimostra ancora una volta che le politiche migratorie di Atene non rispettano i diritti umani». Negli ultimi due anni la Grecia è stata più volte incolpata di aver respinto illegalmente i migranti, di aver ignorato le richieste d’asilo e di aver commesso violenze.

Le accuse sono sempre state respinte con decisione e lo stesso neoministro dell’Immigrazione Dimitris Keridis, così come il predecessore Notis Mitarakis, confermano di rispettare i diritti umani.  Ma chi vive sulla propria pelle le quotidiane strategie migratorie la pensa diversamente.

«In Grecia nessuno ci vuole passare e se si è costretti, si vuole andare via il prima possibile», ci racconta il ventunenne siriano Ahmad Ali. Ora è in Turchia, in attesa di capire cosa fare. Lui il fiume Evros lo ha attraversato di notte, per evitare di essere preso dalle autorità greche.

«Se ti beccano in quella zona – racconta ancora Ali - ti legano e poi ti portano con una barca su un isolotto nella zona più pericolosa del fiume e ti abbandonano lì. Senza cibo e acqua».

L’accusa è stata riportata al governo greco anche dal Border Violence Monitoring Network. «L’ultima volta è successo a metà luglio – ci dicono dall’organizzazione – quando una cinquantina di migranti sono stati abbandonati a morire.

Perché lì c’è un vuoto giurisdizionale. Non è chiaro – spiegano – di chi sia la competenza territoriale di quelle isole in mezzo al fiume, quindi nessuno interviene». Questo tipo di respingimenti è stato molto frequente, di recente. Per questo motivo i migranti lasciano la Grecia seguendo diverse rotte. Ecco perché quei diciotto migranti erano nascosti nella foresta di Dadia quando sono morti bruciati.

Barconi

Le politiche migratorie della Grecia stanno avendo ripercussioni sulle altre rotte, sia via mare sia via terra. La fuga in Turchia, infatti, da un lato ha fatto crescere la richiesta di barconi diretti verso le coste della Calabria, come quello che è naufragato a Cutro lo scorso febbraio. Dall’altro ha aumentato il flusso sulla rotta balcanica.

A passare dalla Turchia alla Bulgaria, scalcando il muro e pagando i contrabbandieri, sono soprattutto giovani uomini, perché il cammino è lungo e molto difficile. In inverno, per la neve e il gelo, come in estate, per il caldo torrido e magari gli incendi, come accaduto a quei diciotto migranti bruciati in Grecia. Per ora le autorità non sanno chi fossero, né da dove arrivassero. Sono morti così, nell’anonimato, svaniti tra roghi e fumo.

 

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