L’Europa ha compiuto passi nella costruzione di uno stato di stati, ma sulle funzioni che ne regolano la struttura e il governo il livello di “integrazione” è differenziato
«Chi devo chiamare se voglio parlare con l’Europa?», era una vecchia battuta attribuita a Henry Kissinger. Esercitare il potere, l’uso legittimo della forza e la coercizione, regolare il commercio e l’economia, amministrare la giustizia sono le principali caratteristiche dello stato moderno, il quale su un territorio con confini indiscussi esercita un controllo coattivo. L’Europa ha compiuto passi nella costruzione di uno stato di stati, ma sulle funzioni che ne regolano la struttura e il governo il livello di “integrazione” è differenziato.
Le armi, i soldi e i giudici
La chaise vide. La sedia vuota. Alla vigilia del semestre italiano (luglio 1965) di presidenza Cee guidato da Aldo Moro, Charles de Gaulle si oppose alle proposte della Commissione per una maggiore integrazione, dopo che il trattato sulla fusione degli esecutivi aveva raggruppato Cee, Ceca e Ceea.
L’ostilità francese mirava a tutelare la politica agricola comune ostacolando il passaggio dal voto unanime a quello a maggioranza per le decisioni del Consiglio dei ministri. Sette mesi in cui la sedia di Parigi rimase desolatamente vuota, e conseguente blocco delle principali attività. Il tentativo di de Gaulle di costruire un’Europa “terzo polo” a guida francese rispetto a Usa e Urss fallì per gli equilibri internazionali e per l’ostilità americana.
Da quello stallo, da quella crisi, avrebbe detto Jean Monnet, paradossalmente, ne uscì rafforzata la prospettiva sovranazionale di Bruxelles, che varò un piano agricolo con finanziamenti attinti da una cassa comune.
Il governo della moneta
Nel 1930 Winston Churchill scrisse “The United States of Europe”, lucido e lungimirante, in cui per contenere il pericolo bolscevico perorava l’unione, sebbene con il suo paese solo compagno di viaggio ma non membro. I want my money back! Sulle orme di Sir Winston, Margaret Thatcher nel 1979 disse che avrebbe voluto indietro le sterline, marcando il dissenso sulla cooperazione europea.
La lady di ferro non aveva accettato l’adesione alla Comunità e considerava il piano di Jean Monnet dirigista e indifferente alle tradizioni di indipendenza dell’isola; ostacolo al rilancio dell’economia nazionale in senso liberista, che troverà l’anno dopo in Ronald Reagan un partner per l’internazionale del laissez-faire. E la prima donna a Downing Street ribadì l’avversione a un “super stato europeo” nel discorso di Bruges del 1988.
Quella mutua e reiterata ostilità generò però un effetto positivo nel consolidamento dell’integrazione economica, per la creazione di un mercato e di una moneta unici, aprì le porte all’Atto unico e al Trattato di Maastricht, sebbene con alterne dinamiche dettate da equilibri politici intergovernativi.
Nel 1979 fu avviato il Sistema monetario europeo per contenere le oscillazioni delle valute dei paesi aderenti attraverso predeterminati valori di cambio. Lo Sme era stato un passo avanti verso l’integrazione che indusse i governatori delle banche centrali nazionali a produrre la “relazione Delors” per giungere all’unione monetaria. L’Italia uscì dallo Sme nel 1992 – e con essa la sterlina britannica – per effetto di un’accesa speculazione sulla valuta più debole, quella italiana, dopo la bocciatura danese del referendum per la ratifica di Maastricht. Il 1° gennaio 2002 l’euro entrò in circolazione in 12 paesi.
L’addio alle armi
Il percorso di cessione di ambiti di sovranità verso la futura Ue è stato lento e tortuoso, ma nel caso della “spada” ha avuto meno accelerazioni che altri settori. La diffidenza nel condividere l’esercito e la difesa rimanda ad aspetti psicologici ancestrali e connessi ontologicamente allo stato.
Pertanto, l’adozione di una difesa comune sarebbe il compendio di uno stato sovranazionale, quasi una condizione necessaria e sufficiente al tempo stesso. La Seconda guerra mondiale segnò lo spartiacque. La Francia ha vinto la guerra e con la Gran Bretagna siede nel Consiglio di sicurezza dell’Onu.
Inoltre, i francesi dal 1960 possiedono la bomba nucleare, la force de frappe, la forza di dissuasione che è «semplicemente l’assicurazione sulla vita della nostra nazione», come disse Nicolas Sarkozy. La Germania venne disarmata, il territorio posto sotto il controllo degli Stati Uniti a ovest e dell’Unione sovietica a est. L’adesione della Germania Federale alla Comunità europea sancì anche l’ingresso nella comunità europea di difesa che controllava l’esercito tedesco, mentre i rimanenti cinque membri pur cooperando conservavano la gestione indipendente delle rispettive forze armate.
Anche in virtù del contesto internazionale, delle dinamiche geopolitiche regionali, della “questione di Berlino”, i paesi europei hanno proceduto per strappi. Ancora una volta la Francia decise di fornire un’esposizione muscolare del prestigio, abbandonando il Comando militare Nato nel 1965, anno della chaise vide. Inoltre, era evidente che la Germania rappresentasse un vincolo e una risorsa: impensabile un’alleanza senza l’esercito tedesco e al contempo la sua inclusione condizionata da schemi sovranazionali.
La scelta del Consiglio d’Europa di costituzione di un esercito europeo si saldò con l’intenzione della Nato di porre la linea orientale di difesa sul fiume Elba, una sovrapposizione geografica e militare tra i blocchi. Per bilanciarne la presenza, la Francia elaborò il “piano Pleven”, un esercito europeo (sei divisioni) sotto il comando Nato con la gestione di un ministro europeo della difesa.
Sotto la spinta Usa, i duellanti franco-tedeschi trovarono un accordo, anche grazie alla mediazione di De Gasperi e Spinelli, per la nascita della Ced nel 1952, che non entrò però in vigore per la mancata ratifica francese nel 1954, pochi giorni dopo la morte di De Gasperi. Difesa e sicurezza europee virarono verso la tutela statunitense e la Nato, elemento di debolezza strutturale che segnerà significativamente l’Unione europea attore internazionale.
Il salto qualitativo si è avuto nel 2009, con l’entrata in vigore del Trattato sull’Unione europea (Lisbona), che ha formalizzato la politica di sicurezza e di difesa comune (Psdc); tuttavia rimane ancora nel complesso sbilanciata sul versante degli stati membri, esplicito riferimento alle difficoltà e alla poca volontà o scarsa capacità di incidere in senso federale.
Le crescenti tensioni geopolitiche – guerra in Ucraina in particolare – incidono direttamente sulla Psdc quale fattore esogeno in grado, paradossalmente, di accelerare e fornire impulso alla difesa dell’Ue, con decisioni adottate all’unanimità dal Consiglio europeo e dal Consiglio dell’Unione europea. La conferma del consolidamento della politica comune estera e di difesa dell’Ue arriva dal crescente numero di operazioni e missioni, con circa 4.000 unità fuori dai confini dei paesi membri.
L’Unione europea ha anche un ministro degli Esteri, chiamato, pudicamente, “Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza”, anche vicepresidente della Commissione. L’apocrifa citazione, attribuita a Henry Kissinger probabilmente in maniera impropria, «Chi devo chiamare se voglio parlare con l’Europa?», ha oggi un interlocutore (più) riconoscibile, visibile e rappresentativo di milioni di persone, di 27 stati e di un’organizzazione sovranazionale.
“Ci sarà un giudice a Strasburgo?”
Sul versante della bilancia l’Ue ha fatto molti passi verso l’integrazione. La legislazione nazionale è vieppiù adeguata e vincolata ai parametri stabiliti dal parlamento europeo. Nel 1952 fu istituita la Corte di giustizia europea comprendente un giudice per ciascuno stato, con sede a Lussemburgo. La Corte può essere adita anche da singoli cittadini o organizzazioni e ha favorito progressivamente l’allargamento degli aspetti sovranazionali, riducendo quelli intergovernativi.
Stop and go si sono susseguiti, momenti di sconforto per gli europeisti convinti, fasi di regressione nazionalista, ma la tensione tra i tre assi dell’impianto statuale – moneta, spada e bilancia – ha avanzato verso una progressiva unificazione. Un’integrazione politica e istituzionale difficile che ha messo insieme lingue, popoli, etnie, orografia, culture, architetture normative, e persino reti ferroviarie, confini, passi alpini, gestione di corsi d’acqua, programmi universitari e associazioni tra città, passaporti e bandiere, sport e sostegno al cinema.
Un passaggio molto arduo, difficile, ambizioso, che richiama l’epopea delle costruzioni dei grandi stati nazionali, ma con una differenza sostanziale, unica: l’Unione europea sta diventando un’entità sovranazionale in maniera pacifica e volontaria. Dotandosi non solo di strutture, burocrazia, parlamento, leggi e governo, di confini, di un esercito comune ancora in costruzione, ma anche di simboli. La bandiera blu su cui risaltano le stelle. Dodici stelle.
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