Il nuovo premier debutta con un discorso sull’unità nazionale. Martedì l’esordio internazionale al vertice Nato. I primi mesi saranno decisivi per dare un’impronta. Subito sblocco dell’eolico e abolizione del Piano Ruanda
Un governo di rinnovamento e di servizio per un paese da ricostruire «mattone dopo mattone». È stato il primo giorno a Downing Street per Keir Starmer ma il discorso se lo era preparato da mesi. Il messaggio del leader dei laburisti è rivolto a tutti i cittadini britannici: «Che abbiate votato laburista o meno, soprattutto se non lo avete fatto, il mio governo vi servirà. La politica può essere una forza positiva. Abbiamo cambiato il partito laburista ed è così che governeremo. Prima il paese, poi il partito». Starmer ha puntato sull’unità nazionale, premendo i tasti giusti anche per i conservatori: «Confini sicuri, più sicurezza nelle strade, più risorse al sistema sanitario».
Il governo Starmer
Che sia stato eletto soprattutto per chiudere la lunga parentesi conservatrice, indipendentemente dai suoi meriti, lo sa anche lui. E sa che i primi mesi della sua premiership saranno molto importanti se vorrà imprimere il cambiamento annunciato in campagna elettorale. La squadra dei suoi ministri, un po’ come il discorso, era pronta da tempo tra cui la vicepremier Angela Rayner, la cancelliera Rachel Reeves (prima donna in quel ruolo), il ministro dell’Energia Ed Miliband, quello alla Difesa John Healey, il segretario alla Sanità Wes Streeting, agli Esteri David Lammy e all’Interno Yvette Cooper.
La misura che forse evidenzierà in maniera plastica il distacco dall’amministrazione Tory sarà l’annullamento del Piano Ruanda, tanto voluto dai conservatori ma mai veramente attuato. Un altro segnale che potrebbe arrivare nelle prime settimane è quello di revocare il divieto per la creazione dei parchi eolici da parte di Miliband. Per quanto riguarda il tema annoso della sanità e delle liste di attesa, Streeting è pronto a tenere colloqui con il sindacato dei medici per trovare una soluzione ai vasti scioperi.
E il 17 luglio, nel giorno del discorso del Re e dell’apertura della legislatura, il governo Starmer svelerà i suoi piani ufficiali per i prossimi anni. Da possibili nuove leggi sulla criminalità alla riforma sul lavoro, passando per le misure green e il lancio della società pubblica GB Energy.
Gli impegni del premier
Ad ogni modo, il premier laburista dovrà subito dimostrarsi affidabile anche sul piano internazionale. Dal 9 all’11 luglio, infatti, volerà a Washington per il vertice Nato dove discuterà di un pacchetto di aiuti militari ed economici per l’Ucraina. Su questo, la linea di Londra non muterà rispetto a quanto visto con i conservatori: il sostegno a Kiev in ottica anti russa sarà mantenuto. Tanto che il Cremlino si è detto “non ottimista” sul futuro delle relazioni con la Gran Bretagna.
Una settimana dopo, il 18, Starmer farà gli onori di casa, accogliendo i leader europei al Blenheim Palace di Woodstock per un vertice della Comunità politica europea. In quel frangente, Starmer promuoverà un riavvicinamento di Londra all’Unione europea, un miglioramento delle relazioni con Bruxelles, specialmente politiche prima ancora che economiche e commerciali.
Il successo dei laburisti
Certo, dopo la giornata trionfante piena di impegni istituzionali tra Buckingham Palace e Downing Street, probabilmente Starmer ieri sera ha trovato un attimo per riflettere sul successo ottenuto alle elezioni. In attesa dell’assegnazione dell’ultimo seggio, quelli conquistati dai laburisti sono stati 412 sui 650 totali, 211 in più rispetto al 2019. Numero tale da permettere di governare con un’ampia maggioranza a Westminster. Il Labour ha preso oltre il 34 per cento con Starmer che semplicemente si è dimostrato l’uomo giusto al momento giusto. O meglio, visto il momento talmente giusto – tra le gravi crisi dei conservatori e degli indipendentisti scozzesi – sembra sia bastato essere un leader normale per regalare la vittoria al Labour.
Ad ogni modo il merito del 61enne è stato quello di dare un indirizzo diverso al partito, dopo l’esperienza corbynista, e di essere riuscito a nascondere sotto al tappeto le contraddizioni presenti tra i laburisti. Gli stessi contrasti che, per esempio, il conflitto a Gaza ha rischiato di far emergere anche alle urne.
Il risultato di Islington North, seggio di Jeremy Corbyn dal 1983 e in cui si è candidato anche quest’anno da indipendente, dopo la sospensione dal Labour, è significativo: lì il partito di Starmer non è riuscito a vincere, con l’ex leader pronto a fondare un suo movimento che darà filo da torcere al suo vecchio partito.
Ma il centrismo su cui virare, la via moderata da intraprendere con coraggio, Starmer erede di Tony Blair (anche se non ha superato i numeri della sua maggioranza del 1997) sono tutte spiegazioni possibili, utili soprattutto fuori dai confini del Regno Unito per chi invidia la vittoria di un partito socialista riformista e vorrebbe replicare tale scenario tra le proprie mura.
In realtà, più semplicemente, Starmer sembra aver sfruttato le divisioni della destra britannica, con Reform Uk che ha drenato voti ai Tories, e il tracollo dello Scottish national party, che come i conservatori inglesi è stato dilaniato da troppi scandali e troppo potere. In Scozia, infatti, i laburisti sono cresciuti di diversi punti percentuali, così come hanno guadagnato terreno al Nord e nelle Midlands, regioni decisive cinque anni fa per il successo di Boris Johnson.
La disfatta conservatrice
Il grande sconfitto è stato il partito conservatore e Rishi Sunak, che ha comunque mantenuto il suo seggio. Uscendo da Downing Street per rassegnare le dimissioni davanti a Re Carlo, il premier dimissionario - con grande stile - si è assunto le responsabilità della sconfitta e del peggior risultato di sempre dei Tories. I deputati eletti sono stati 121, cioè 250 in meno della scorsa tornata. Non che sia tutta colpa sua, ma le ricette di Sunak non sono bastate a interrompere un declino iniziato anni fa con il voto sulla Brexit e diventato inarrestabile dopo l’allontanamento di Johnson. Il 44enne si è dimesso anche da leader di partito, dove ora la competizione è aperta, con in pole position gli esponenti di peso che hanno retto al test elettorale: Priti Patel, Tom Tugendhat, James Cleverly, Kemi Badenoch e Suella Braverman. A essere spazzate via dal voto, invece, figure importanti come Jacob Rees-Mogg, Penny Mordaunt, Grant Shapps e Liz Truss.
Oltre alla ‘supermaggioranza’ laburista, i Tories dovranno fare i conti con Nigel Farage e capire come non far deflagrare quel che rimane del partito, se virando più a destra per contrastare l’avanzata di Reform Uk ma rischiando di perdere voti a favore dei Libdem, o il contrario. Spetterà al prossimo leader Tory indicare una rotta.
L’exploit di Farage
Farage è probabilmente il secondo vincitore dietro Starmer di questo voto. Reform ha conquistato cinque seggi, di cui uno - Clacton - proprio grazie al 60enne brexiteer, che al suo ottavo tentativo è riuscito a entrare a Westminster. Da lì proverà la sua scalata ostile ai Tories. In un mese di campagna Farage è riuscito a convincere gli elettori dando un’alternativa a chi guarda a destra: che in fondo era tutto ciò che i vecchi sostenitori conservatori chiedevano.
Intransigenza contro l’immigrazione, proposte spot per tagliare le tasse, passi indietro sulle politiche green e sui diritti civili. Tanto è bastato al partito di Farage per raccogliere più di quattro milioni di voti, in quello che è stato già definito un «sisma politico».
L’avanzata libdem e la rovina dei nazionalisti scozzesi
Chi ha esultato quanto Farage è sir Ed Davey, leader dei liberaldemocratici. Entrambi hanno guadagnato voti sulle spalle dei Tories dilaniati. Il suo partito moderato ha vinto 71 seggi, diventando il terzo in parlamento e attestandosi al 12 per cento a livello nazionale. Il risultato più importante di sempre per i libdem.
Di umore opposto i nazionalisti scozzesi, che sono crollati nella nazione settentrionale britannica. Lo Scottish national party ha raccolto solo nove seggi, confermando che anche in Scozia sembra finito un ciclo dopo il passo indietro di Nicola Sturgeon. Colpa sia di pressioni interne - il logoramento dell’Snp per le varie inchieste - sia ‘esterne’, cioè la difficoltà a dare prospettiva alla battaglia indipendentista a causa dell’ostracismo di Londra. Una prospettiva che anche con Starmer a Downing Street non cambierà.
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