Secondo il Pentagono, i recenti attacchi aerei contro le milizie curde hanno messo a rischio la vita di soldati americani e potrebbero aiutare un ritorno dell’Isis
Gli Stati Uniti sono sempre più preoccupati per gli attacchi aerei lanciati dalla Turchia contro le milizie curde in Siria che da quasi un decennio sono impegnate al fianco dei soldati americani nella lotta all’Isis. Negli ultimi giorni, la Turchia ha lanciato oltre cento attacchi, alcuni dei quali hanno colpito a poche decine di metri da dove si trovavano soldati americani.
«I recenti attacchi aerei in Siria hanno messo direttamente a rischio la vita del personale americano – ha detto questa notte il portavoce del Pentagono, il generale Patrick Ryder – Un’immediata de-escalation è necessaria per mantenere in piedi le operazioni anti Isis».
Critiche sono arrivate anche dal parlamento europeo riunito ieri a Strasburgo. La presidente Roberta Metsola ha chiesto alla Turchia di «rispettare le leggi internazionali» e interrompere gli attacchi. Ma la Turchia non sembra intenzionata a fermarsi e molti temono che nei prossimi giorni potrebbe iniziare un attacco via terra.
Gli attacchi
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha ordinato l’inizio dei bombardamenti domenica scorsa, come rappresaglia all’attentato del 13 novembre a Istanbul, in cui sono morte sei persone. Erdogan accusa dell’attacco le milizie del Pkk, un movimento autonomista curdo considerato un gruppo terroristico anche da Stati Uniti e Unione europea. Secondo Erdogan, il Pkk è affiliato alle milizie curde che operano in Siria e che dal 2014 sono sostenute dagli Stati Uniti nella campagna contro l’Isis. I curdi negano di aver avuto parte nell’attacco di Istanbul.
Bombardamenti aerei in Siria e contro le basi del Pkk nel Kurdistan iracheno sono proseguiti per tutta la settimana. Uno degli attacchi ha colpito il campo profughi di al Hol, che ospita familiari dei combattenti Isis. Il posto di guardia è stato distrutto e i curdi dicono che è impossibile verificare se alcuni dei detenuti del campo sono fuggiti, poiché i droni turchi continuano a sorvegliare l’area.
Altre bombe sono cadute sulle raffinerie e i pozzi di petrolio sotto controllo curdo. Sono state colpite anche numerose infrastrutture civili, dai silos di grano alla rete elettrica.
Gli Stati Uniti mantengono ancora diverse unità militari nella regione, come parte della coalizione anti Isis. Secondo un ufficiale americano, uno degli attacchi ha colpito a circa 130 metri di distanza da una postazione dove si trovavano militari americani. «I bombardamenti hanno già messo a rischio la missione anti Isis».
Lunedì Erdogan ha minacciato una nuova escalation e ha parlato della possibilità di un’operazione di terra nella Siria nord orientale. In diverse interviste, il generale Mazloum Kobane Abdi, comandante della Sdf, una coalizione di milizie in cui ha una parte prominente l’Ypg curdo, ha chiesto al presidente degli Stati Uniti Joe Biden di intervenire per fermare l’attacco. «Erdogan minaccia un’invasione di terra da mesi, ma ora potrebbe iniziarla sul serio».
La situazione politica
Secondo gli analisti, l’attacco turco potrebbe prendere di mira Kobane, la città diventata famosa per la resistenza delle milizie curde all’assedio dell’Isis tra 2014 e 2015. La città si trova in un punto strategico, poiché separa le due principali aree che la Turchia ha già occupato nelle operazioni militari che ha lanciato in Siria a partire dal 2016.
Attualmente, i curdi controllano gran parte della Siria nord orientale. Parte del territorio è pattugliato da soldati americani, mentre in quella restante è in vigore un accordo con il regime siriano e i suoi alleati russi. Kobane si trova nella zona pattugliata dai russi. Per occupare la città senza coinvolgere i soldati russi, Erdogan ha bisogno dell’assenso di Putin per lanciare il suo attacco. Vista l’attuale situazione in Ucraina e il ruolo di mediazione svolto da Erdogan, molti analisti ritengono possibile che il Cremlino possa dare il via libera all’attacco.
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