- Sembrano tramontate le speranze suscitate nell’aprile 2019 dalla primavera sudanese. Quella rivoluzione perlopiù incruenta portò alla destituzione del despota al-Bashir e all’innesco di un percorso di transizione verso una democrazia.
- Questa notte, dopo giorni di rumours e timori sempre più fondati, c’è stato un colpo di stato a opera dei militari. Ha condotto all’arresto del primo ministro Abdalla Hamdok e alla sua detenzione in un luogo non ben precisato dopo che lo stesso si era rifiutato di offrire sostegno ai golpisti ed entrare in un nuovo esecutivo.
- Da tempo, in realtà, i militari hanno fatto capire con sempre maggiore veemenza di non avere alcuna intenzione di farsi da parte e lasciare la presidenza perché restii a rendere conto di affari e risorse.
Sembrano tramontate le speranze suscitate nell’aprile 2019 dalla primavera sudanese. Quella rivoluzione perlopiù incruenta portò alla destituzione del despota al-Bashir e all’innesco di un percorso di transizione verso una democrazia mai pienamente sperimentata nel paese, tra i primi nel continente africano a guadagnare l’indipendenza (1955) dal Regno Unito. Questa notte, dopo giorni di rumours e timori sempre più fondati, c’è stato un colpo di stato a opera dei militari. Ha condotto all’arresto del primo ministro Abdalla Hamdok e alla sua detenzione in un luogo non ben precisato dopo che lo stesso si era rifiutato di offrire sostegno ai golpisti ed entrare in un nuovo esecutivo. Stando a Cnn, con lui sono stati prelevati membri della famiglia tra cui la moglie. Effettivi dell’esercito, dopo Hamdok, hanno arrestato anche numerosi rappresentanti della leadership civile. Nel frattempo, le linee telefoniche così come le strade sono state chiuse, alla radio passa solo l'inno nazionale mentre internet funziona a singhiozzo.
Come si è arrivati al golpe
Nelle scorse settimane la tensione fra i militari e la società civile è cresciuta di ora in ora. Le due parti, due anni fa, dopo la cacciata del dittatore e un primo periodo di negoziati, avevano stretto un accordo di transizione che prevedeva una presidenza a rotazione. Il 17 novembre prossimo, secondo tale accordo, però, i militari avrebbero dovuto lasciare la presidenza ai civili mentre l’esecutivo avrebbe continuato a essere composto per metà da ufficiali e per metà da civili. Da tempo, in realtà, i militari hanno fatto capire con sempre maggiore veemenza di non avere alcuna intenzione di farsi da parte e lasciare la presidenza perché restii a rendere conto di affari e risorse. Ultimamente hanno dato vita a una campagna di delegittimazione del primo ministro e dei ministri civili che ha destabilizzato l’opinione pubblica a diffuso malumori e destabilizzazione. Nel frattempo si sono moltiplicate, a Khartoum e nei principali centri, manifestazioni pro-esercito. Alcune erano genuinamente coordinate da civili che interpretavano la disperazione del popolo ridotto allo stremo da crisi economica e politica e chiedevano «pane e giustizia», altre sono state istigate da manifestanti al soldo di circoli militari e, con molta probabilità, dell’ex dittatore che, sebbene in carcere e in procinto di venire giudicato all’Aja con le accuse di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità, trama nell’ombra e può contare su un buon numero di sostenitori.
Le manifestazioni pro-esercito, parallelamente contrastate da altrettanto imponente dimostrazioni di supporter del governo civile, rispondono a una chiara strategia della paura che mira a diffondere panico e disordine perché sia il popolo stesso a chiedere che intervenga una mano forte.
La testimonianza
Una fonte raggiunta con difficoltà al telefono a Khartoum nella tarda mattinata del 25 ottobre, che chiede l’anonimato ed è rappresentante della società civile, dice: «Mentre parliamo sento il rumore degli colpi. Hanno appena cominciato a sparare sui manifestanti che sono scesi in piazza. La popolazione che continua ad avere fiducia nella transizione democratica, guarda a questo colpo di stato come una minaccia e non crede assolutamente alle rassicurazioni degli ufficiali. Da questa mattina presto, è partito il tam tam per scendere in piazza e dimostrare contro i militari. Il timore che da incruento il golpe si trasformasse presto in violento si stanno materializzando. Aumentano di ora in ora domande inquietanti: a chi fanno capo i militari che hanno fatto il golpe? Sono laici? Islamisti? Janjaweed del Darfur (i famigerati corpi militari autori di spaventose stragi di civili nella regione, ndr). E ora che è chiaro che l’esercito reprimerà duramente la manifestazioni dei civili, la popolazione scenderà in massa per le strade? Si organizzerà militarmente? Comunque la si guardi, credo ci saranno manifestazioni e tanto sangue». I dubbi del testimone trovano riscontri nelle notizie che si accavallano in questi frangenti. Secondo alcune ricostruzioni, gli ufficiali a capo del coup, sarebbero militari islamisti in contatto con ribelli islamisti del Darfur, che non hanno preso parte alla rivoluzione dell’aprile 2019 e che, solo di recente, sono saltati nel carro dei vincitori spacciandosi per una sezione della società civile. Nel frattempo si diffondono voci di un condono imminente nei riguardi di Omar al-Bashir che gli consentirebbe di uscire subito dal carcere.
Le divisioni
Alla base delle crescenti tensioni e della crisi istituzionale degli ultimi mesi, c’è anche la profonda frattura avvenuta all’interno del principale movimento civile, l’Ffc (Forces for freedom and change), alla testa delle proteste di massa che condussero alla cacciata di al-Bashir. Frizioni erano presenti fin dai giorni successivi all’accordo di transizione nell’estate del 2019, ma il livello dello scontro si è drammaticamente alzato all’indomani del fallito golpe del settembre scorso. Il primo ministro Abdalla Hamdok, in quella occasione se la prese con le “forze dell’oscurità” manovrate da Omar al-Bashir, «I resti del precedente regime - ha affermato - erano intenzionati ad abortire la transizione democratica civile». Tra questi, figurano proprio intere sezioni di militanti che guidarono le rivolte del 2019, ora passati dall’altra parte del fosso.
Nel frattempo, prelevati dalle loro abitazioni, sono stati condotti agli arresti anche il ministro dell’Industria Ibrahim al-Sheikh, , dell’Informazione Hamza Baloul, il consigliere per i rapporti con i media Faisal Mohammed Saleh, il portavoce per il consiglio sovrani Mohammed al-Fiky Suliman e il governatore della capitale Khartoum, Ayman Khalid.
«La situazione è confusa – di nuovo la fonte - ci sono divisioni all’interno dell’esercito: alcuni soldati, ad esempio, sparano sulla folla, altri fanno tranquillamente passare i manifestanti pro-transizione mostrando simpatia. I presagi di un salto nel passato, però, sono molti mentre le speranze di una transizione verso una democrazia compiuta, capace di costituirsi sulle ceneri di una delle dittature più sanguinarie della storia, che aveva raccolto interessi e simpatie in tutto il mondo, sempre di meno».
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