Secondo fonti militari israeliani citate dal Jerusalem Post, a Gaza un numero rilevante di miliziani palestinesi sono minorenni privi di un reale addestramento: Hamas sta diventando un esercito di ragazzini. Grazie ai nuovi ingressi avrebbe in parte ovviato alle perdite subite e oggi, sommata all’organizzazione gemellata, la Jihad, conterebbe 12mila effettivi (20-23mila secondo le fonti interpellate dalla tv israeliana Channel 12). Piccoli gruppi continuano a operare anche nel nord di Gaza, benché quel territorio sia stato spopolato dall’Idf con operazioni che israeliani autorevoli – un ex premier, un ex capo di stato maggiore, il quotidiano Haretz –  descrivano esplicitamente come «pulizia etnica» (termine, insieme ad “apartheid israeliano”, tuttora tabù per il timoroso opinionismo italiano).

Se stiamo al proposito dichiarato dal governo Netanyahu – distruggere Hamas – la guerra è fallita. La brutalità dell’intervento ha prodotto per reazione stuoli di guerrieri in erba decisi a vendicare i lutti e le sofferenze di cui sono state vittime e testimoni. Per intuirlo sono perfino superflui i report sugli “acts of genocide” commessi dall’Idf (l’ultimo, prodotto da Amnesty, è stato ripreso con evidenza da New York Times e Washington Post; scarsa o nulla l’eco sulla stampa italiana).

La strage dei bambini

È sufficiente la testimonianza resa alle Nazioni Unite dalla statunitense Tanya Haj-Hassan, medico di terapia intensiva pediatrica, per alcuni mesi volontaria nell’ospedale di Gaza. Il suo racconto vale un centinaio di editoriali sul tema.

«Come uno dei pochi osservatori internazionali a cui è stato permesso di entrare a Gaza, posso dirvi: passate solo 5 minuti in un ospedale e diventerà dolorosamente chiaro che i palestinesi vengono massacrati intenzionalmente, affamati e spogliati di tutto il necessario per vivere (...) Intere famiglie sono state cancellate. I nostri colleghi del settore sanitario e del settore umanitario vengono uccisi in numero da record. Abbiamo curato innumerevoli bambini che hanno perso intere famiglie, un fenomeno così frequente a Gaza che è stato dato loro un nome specifico: “Bambino ferito senza famiglia sopravvissuta”. Abbiamo tenuto le mani dei bambini mentre esalavano il loro ultimo respiro, ed eravamo l’unica persona, a loro sconosciuta, che potesse tentare di confortarli».

Ospedali nel mirino

Significativa è anche la premessa che Tanya Haj-Hassan ha anteposto alla sua deposizione: «Prima di condividere ciò di cui sono stata testimone, voglio citare il mio collega dottor Mohammed Ghanim, un giovane medico del pronto soccorso che è stato ucciso un mese fa da un drone israeliano (…): "Ho evitato di diffondere storie tragiche per due motivi. La prima: so che non serve a niente. La seconda: non riesco a trovare le parole per descrivere quel che accade". Provo la stessa sensazione. Cosa resta da dire per convincere il mondo a reagire? (…) Non ci sono parole che trasmettano adeguatamente quanto perversa sia questa aggressione. Ricordo Mohammed, 5 anni, con una ferita alla testa, probabilmente un colpo d’arma da fuoco, che è morto al pronto soccorso perché non c'erano letti in terapia intensiva. (…) O il tredicenne Amer che aveva subito un grave trauma al collo dopo che la sua casa è stata bombardata e continuava a chiamare sua sorella. Non l’aveva riconosciuta nella ragazza che era nel letto accanto a lui, le ustioni l’avevano resa irriconoscibile. Dopo la sua morte Amer restò l'unico membro sopravvissuto della sua famiglia. Ricordo la sua voce dolce che mi sussurrava all'orecchio: "Vorrei morire con loro. Tutti quelli che amo sono in paradiso. Non voglio più essere qui". (…) Tutto ciò che è necessario per sostenere la vita umana è sotto attacco a Gaza, e lo è da molto tempo: acqua, cibo, riparo, istruzione, assistenza sanitaria, energia, fognature e servizi igienico-sanitari. Tutte le università di Gaza sono state distrutte, comprese le uniche due scuole di medicina in cui insegnavo (...).

Immaginate questi bambini, le madri, i padri che cercano disperatamente cure mediche e speranza in uno dei pochi ospedali rimasti a Gaza. Poi si spegne l'elettricità. L'ingresso dell'ospedale viene colpito da un missile. L'ospedale ha ricevuto (dagli israeliani) l’ordine di evacuazione. È apocalittico. Quello stesso ospedale – dove ho assistito a ciascuna di queste orribili tragedie – è stato preso di mira più volte negli ultimi 14 mesi, così come praticamente ogni altro ospedale di Gaza. Gli ospedali e gli operatori sanitari sono stati sistematicamente presi di mira dall'esercito israeliano fin dal primo giorno. Uccisi, imprigionati, torturati. Ho incontrato personalmente operatori sanitari che hanno descritto torture fisiche, psicologiche e sessuali inflitte dall'esercito e dalle guardie carcerarie israeliane. Una delle mie infermiere, Saeed, è stata rapita e detenuta per 53 giorni. Ha descritto le forme più orribili di tortura. (…).

Il dottor Ghanim, che ho citato prima, ha scritto in aprile, 6 mesi prima di essere ucciso: "(…)Eravamo 13 medici al pronto soccorso, tutti siamo stati torturati a diversi livelli e 6 sono stati feriti o imprigionati. Sto parlando solo del dipartimento di cui ero responsabile e non sto parlando dei medici di altri dipartimenti che sono stati assassinati dopo essere stati arrestati o dei medici la cui sorte è ancora sconosciuta". Oltre mille operatori sanitari sono stati uccisi a Gaza. Altre centinaia sono stati detenuti in Israele. Almeno quattro sono stati uccisi durante la prigionia (…) Molti sono stati uccisi mentre cercavano di salvare i feriti in quelli che sono tristemente noti come gli attacchi israeliani doppi e tripli - un posto viene colpito, poi colpito di nuovo una seconda e una terza volta quando i soccorritori sono arrivati per soccorrere le vittime. (…)».

Gaza, un precedente per l’umanità

Per minimizzare questa testimonianza ci vengono offerti vari espedienti. Innanzitutto si dirà che la dottoressa Tanya Haj-Hassan, avendo un cognome arabo, dev’essere certamente un’antisemita, accusa però svuotata dall’uso grossolano e meccanico che ne fanno anche in Italia vari esponenti della multiforme destra ebraica: se tutti sono in odore di antisemitismo (perfino il papa, per aver espresso l’auspicio che la giustizia internazionale indaghi quel che Israele combina a Gaza) non lo è nessuno, può concludere la giudeofobia autentica. Un metodo meno ottuso consiste nel buttarla sulla visione prospettica.

Si dirà: se l’Asse del Male minaccia la nostra civiltà (giudaico-cristiana, s’intende) che altro sono se non un dettaglio i tormenti inflitti alla popolazione di Gaza? E poi quel conflitto non è diverso da qualunque altro conflitto, dunque perché commuoversi per i bambini di Gaza? È la guerra, signora mia, cosa si aspettava? Rifletta, quale esercito non ha commesso crimini di guerra?

In realtà qui si parla soprattutto di crimini contro l’umanità, infamie piuttosto rare in questo secolo, tali da autorizzare la spaventosa profezia che ci consegna Tanya Haj-Hassan: «Il precedente che è stato stabilito a Gaza si diffonderà ovunque in tutto il mondo. Segna la fine dello stato di diritto. Come ha detto un mio collega, un volontario: "Quando ero a Gaza, mi sembrava di assistere al preludio della fine dell'umanità". Se la solidarietà con i tuoi simili non è una ragione sufficiente per agire, pensa a come questo si ripercuoterà su di te. La domanda con cui vi lascio è: cosa stiamo rischiando noi tutti?».

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