- L’Italia resta al centro dei tentavi di acquisizione di tecnologia avanzata da parte di fondi e aziende cinesi, ma le nuove regole rendono più difficile il trasferimento tecnologico, mentre la robotica industriale rimane per Pechino il boccone più prelibato.
- Dall’industria ai diritti umani: facciamo il punto sulla missione nella Repubblica popolare cinese dell’Alto rappresentante dell’Onu, Michelle Bachelet. Yuan ci racconta come Shanghai prova rimettersi in moto. Infine il “decoupling”: per le multinazionali europee la separazione dal mercato cinese sarebbe un disastro, spiega un report della Camera di commercio dell’Ue in Cina e di Merics.
- Questo è un nuovo numero di Weilai, la newsletter di Domani sulla Cina a cura di Michelangelo Cocco e in arrivo ogni giovedì pomeriggio. Per iscriverti clicca qui. Buona lettura.
Il governo Draghi ha bloccato il trasferimento di tecnologia e software previsto da un accordo tra l’azienda italiana Robox, all’avanguardia nel motion control (“controllo del movimento”, soprattutto delle macchine utensili) e la compagnia cinese Efort intelligent equipment, specializzata nella produzione di robot industriali. La notizia è stata riportata martedì 7 giugno dall’agenzia Reuters.
Per impedire parte dell’intesa tra la compagnia di Castelletto sopra Ticino (Novara) ed Efort, il presidente del Consiglio ha fatto ricorso al cosiddetto “golden power”, cioè al potere di bloccare offerte considerate potenzialmente lesive degli interessi nazionali in settori strategici come telecomunicazioni, sanità, banche, energia. Efort, una multinazionale di Wuhu (nella provincia dello Anhui) ha alle spalle una serie di importanti acquisizioni messe a segno negli ultimi anni in Italia: la bresciana Evolut (robotica), la torinese Wfc (automotive e aviazione), la friulana Cma robotics (impianti e robot per la verniciatura industriale).
Dal 2012, da quando è entrata in vigore la norma sul “golden power”, l’Italia l’ha utilizzata sette volte per fermare interessi stranieri, sei delle quali contro la Cina, cinque delle quali sotto il governo Draghi. Nel marzo scorso l’esecutivo aveva annullato il passaggio a un investitore cinese del 75 per cento delle azioni della produttrice di droni militari Alpi Aviation. In quell’occasione il Comitato parlamentare per il controllo dei servizi segreti (Copasir) aveva invitato il governo a rafforzare il “golden power”: andrebbe creato «un organismo simile al Committee on foreign investments in the United States (Cfius), che indaghi attivamente su qualsiasi operazione di mercato ritenuta di importanza strategica e non solo sulle operazioni notificate», aveva dichiarato il membro del Copasir Enrico Borghi.
Nel caso Robox-Efort, il governo non ha eccepito sull’aumento (dal 40 al 49 per cento, per una contropartita di 2 milioni di euro) delle azioni dell’impresa italiana nelle mani di quella cinese, ma solo sul passaggio alla Cina di brevetti hi-tech dell’azienda piemontese.
Questo ennesimo ricorso al “golden power” da parte di Draghi conferma che per la Cina si fa sempre più complicata l’acquisizione di tecnologia nei paesi dell’Unione europea, che si sono dotati di nuove regole per proteggere le aziende “strategiche” da fondi e compagnie che agiscono seguendo la politica industriale del governo di Pechino: acquisire all’estero tecnologia far compiere al sistema industriale cinese il salto di qualità che le porti al livello di quelli dei paesi più avanzati.
Bachelet: Pechino riveda le norme anti-terrorismo
Sabato 28 maggio Michelle Bachelet, Alta commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha concluso con questa dichiarazione ufficiale una visita di sei giorni in Cina, invitando Pechino a rivedere tutte le leggi (compresa quella sulla sicurezza nazionale di Hong Kong) e le politiche anti-terrorismo per renderle compatibili con gli standard internazionali sui diritti umani. Bachelet ha chiesto di fornire «con urgenza» alle famiglie notizie sui loro cari finiti nel buco nero della campagna contro i “tre mali” (estremismo, separatismo, terrorismo) nella regione nord-occidentale del Xinjiang, e ha infine espresso preoccupazione per la repressione di avvocati e difensori dei diritti umani in Cina.
- Perché è importante
Criticata dalle ong perché un rapporto sul Xinjiang del suo ufficio, annunciato per l’inizio dell’anno, non è ancora stato pubblicato, Bachelet è il primo Alto commissario Onu per i diritti umani ad aver visitato la Cina dal 2005. Durante la sua missione l’ex presidente cilena ha subìto pressioni sia del dipartimento di stato Usa (che ha avvertito che il suo lavoro sarebbe stato condizionato da Pechino) sia di Xi Jinping, che le ha ricordato che, secondo il partito comunista cinese, non esiste un’interpretazione universale dei diritti umani, che non vanno “politicizzati”. Nonostante ciò, Bachelet ha scommesso sulla collaborazione, annunciando l’istituzione di un un gruppo di lavoro congiunto tra il suo ufficio e le autorità cinesi, che si occuperà di diritti delle minoranze e diritti umani in relazione all’anti-terrorismo, a internet e alla protezione legale.
- Il contesto
Secondo informazioni ritenute credibili dall’Onu, oltre un milione di musulmani (la maggior parte dei quali di etnia uigura) sono stati rinchiusi negli ultimi anni in campi di rieducazione politica (che Pechino chiama “centri di avviamento al lavoro”) nel Xinjiang, mentre a Hong Kong la legge anti-terrorismo ha compresso la libertà di espressione ufficialmente garantita dalla costituzione locale. Per queste violazioni dei diritti umani nella primavera del 2021, l’Unione europea ha varato sanzioni (le prime dalla repressione, nel 1989, del movimento di Tiananmen) contro funzionari del partito comunista cinese, e Pechino ha risposto contro-sanzionando un gruppo di parlamentari Ue, schermaglie che hanno determinato la sospensione dell’entrata in vigore del trattato bilaterale sugli investimenti Comprehensive agreement on investment.
YUAN, di Lorenzo Riccardi
Shanghai riparte con incentivi e tagli alle tasse
Fine del lockdown: per Shanghai vuol dire che dal 1° giugno ogni azienda è tornata a operare, con ristoranti chiusi ma attivi per consegne a domicilio e da asporto, negozi pronti alla prossima riapertura dei mall, fabbriche, uffici e banche di nuovo operativi entro il raggio della municipalità.
Restano in vigore i controlli quotidiani, con tamponi a 25 milioni di persone e quarantene imposte per chi esce dai confini cittadini.
La municipalità di Shanghai è il principale centro economico e finanziario del paese, il maggior hub per gli investimenti esteri e il porto più importante al mondo: con 670 miliardi di dollari di Pil generato nel 2021 e 630 miliardi di dollari di interscambio, la metropoli svolge un ruolo strategico per l’economia cinese.
Lo stop di oltre due mesi ha annullato la mobilità interna, impattando fortemente sugli scambi e sulla catena del valore globale coi container fermi nel porto di Yanshan, nella Baia di Hangzhou, a sud di Shanghai.
Oggi la capitale economica riparte, con le spedizioni, il commercio e con il sostegno del governo nazionale che ha promesso una crescita del 5,5 per cento per il 2022, per raggiungere la quale occorrerà un cambio di passo nel secondo semestre dell’anno.
Al fine di fornire un aiuto alla ripresa economica e ridurre le difficoltà delle restrizioni anti-Covid le autorità hanno emanato misure a beneficio delle società in difficoltà e finalizzate a stabilizzare il livello di occupazione, incrementare l’interscambio internazionale e promuovere lo sviluppo della domanda interna, supportare la ripresa ampliando la disponibilità di servizi e finanziamenti per le imprese.
Gli incentivi comprendono esenzioni e rimborsi Iva, affitti ridotti o gratuiti, esenzione da alcuni tributi e posticipo nel pagamento di imposte e oneri sociali. Le agevolazioni riguardano settori più colpiti tra cui il retail, il turismo, la ristorazione, i trasporti e il mercato dell’auto che garantisce un’imposta dimezzata sull’acquisto di veicoli.
R&D, Cina fondamentale per le multinazionali europee
La Cina è diventata parte integrante delle strategie globali di ricerca e sviluppo (R&D) delle grandi compagnie multinazionali europee, la stragrande maggioranza delle quali per il 2022 ha aumentato gli investimenti nel gigante asiatico. Ad attrarre le corporation europee sono soprattutto le potenzialità del mercato di consumatori e la rapidità con cui in Cina i risultati della R&D diventano applicazioni commerciali. A rivelarlo è il rapporto congiunto della Camera di commercio dell’Ue in Cina e del Mercator institute for China studies (Merics) “China’s Innovation Ecosystem - Right for Many But Not for All”.
- Perché è importante
Lo studio è stato condotto (nei mesi precedenti il lockdown di Shanghai) su un campione di aziende dei settori automotive, meccanico, e chimico. Secondo Jacob Gunter, senior analyst di Merics, la Repubblica popolare cinese ormai fa parte della complessa catena dell’innovazione delle grandi corporation, i cui centri di R&D sono sparsi in Cina, oltre che in America, Europa e Asia orientale. Le connessioni di questa catena di R&D fanno sì che, secondo il presidente della Camera di commercio della Ue in Cina, Joerg Wuttke, «siamo come gemelli, legati l’uno all’altro, abbiamo lo stesso destino»: il cosiddetto decoupling (la separazione dall’economia cinese) lascerebbe indietro la Cina, ma danneggerebbe anche la capacità delle compagnie europee di agire da player globali.
- Il contesto
Nel 2021 la Cina ha speso in R&D 2.790 miliardi di yuan (418 miliardi di dollari), il 2,44 per cento del suo prodotto interno lordo, quasi eguagliando il 2,47 per cento investito in media dai paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Oecd) prima della pandemia. Con questi investimenti Pechino punta a raggiungere i paesi più avanzati nei settori a più alto valore aggiunto. Il report della Camera di commercio europea in Cina e Merics non nasconde le difficoltà per le aziende dell’Ue in Cina: insufficiente protezione della proprietà intellettuale e vantaggio accordato dal governo alle aziende di stato locali. Non solo, pur sottolineando l’importanza della Cina nella catena della R&D, il documento non può non rilevare che «dopo decenni in cui è stato possibile dare per scontata la cooperazione tecnologica con la Cina a livello aziendale, accademico e politico, gli ultimi anni hanno visto uno spostamento verso punti di vista più critici di tale impegno nelle capitali delle democrazie liberali dall’Europa al Giappone fino agli Stati Uniti».
Consigli di lettura della settimana:
- What does China want from the Pacific Islands?
- The real victims of China’s subsidies
- Documenting Life Inside a “China-Africa Factory”
- Lessons To Be Drawn from China’s Textbook Controversy
- Is the ‘solidarity economy’ an alternative for China’s urban food supply?
Per questa settimana è tutto. Per osservazioni, critiche e suggerimenti potete scrivermi a: exdir@cscc.it
Weilai vi invita a seguire il futuro della Cina su Domani, e vi dà appuntamento a giovedì prossimo.
A presto!
Michelangelo Cocco @classcharacters
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