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Il gruppo formato da 17 metalli si sta mostrando determinante nei processi di transizione digitale ed energetica.
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Il primato cinese in termini di riserve e produzione ha portato gli Usa alla creazione di un’alleanza strategica, la Minerals security partnership, un’alleanza multilaterale a cui hanno aderito Australia, Canada, Finlandia, Francia, Giappone, Repubblica di Corea, Norvegia, Svezia, Regno Unito, e Unione europea.
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Il testo fa parte del nuovo numero di Scenari: “Risarcimento climatico”, in edicola e in digitale da venerdì 11 novembre.
Nel giugno scorso su iniziativa degli Usa, è stata costituita la Minerals security partnership, un’alleanza multilaterale a cui hanno aderito Australia, Canada, Finlandia, Francia, Giappone, Repubblica di Corea, Norvegia, Svezia, Regno Unito, Stati Uniti e Unione europea. L’obiettivo principale di questa rete è rafforzare le catene di approvvigionamento di minerali critici. A settembre, ai margini dell’Assemblea generale dell’Onu, uno dei primi incontri di questa nuova aggregazione, è stato presieduto dal segretario di Stato Usa, Antony Blinken, una presenza che sottolinea l’attenzione dell’amministrazione Biden su un tema che sta emergendo progressivamente nella sua rilevanza dal punto di vista economico e geopolitico.
Il controllo delle materie prime e dei derivati, infatti, si è sempre rivelato un fattore determinante nella competizione internazionale; i cicli economici e sociali nella storia dell’uomo sono stati caratterizzati dal controllo di elementi naturali da utilizzare direttamente o attraverso la loro trasformazione, tra questi ad esempio l’età dei metalli, l’èra del carbone, l’affermazione del petrolio e successivamente del gas naturale.
L’avvento della “quarta rivoluzione industriale”, concretizzatasi attraverso l’affermazione distintiva dell’intelligenza artificiale, dell’internet delle cose, della robotica e di altre tecnologie digitali, nonché la progressiva attenzione ai processi di sostenibilità e il conseguente avvio del periodo di transizione energetica ed ecologica, hanno visto invece emergere la centralità delle cosiddette “terre rare” o ree/rem (rare earth elements o rare earth metal). Un appellativo che, come vedremo in seguito, si è poi manifestato come fuorviante rispetto alle effettive caratteristiche e agli utilizzi diffusi propri di questo insieme di componenti chimici.
La definizione
Entrando nel merito, cosa sono pertanto le cosiddette “terre rare” e come si manifesta la loro importanza? L’Unione internazionale della chimica pura e applicata (Iupac), network rappresentativo della maggior parte della ricerca e dell’industria chimica del mondo, definisce così un gruppo di diciassette elementi dalle caratteristiche uniformi classificati nella tavola periodica, lo strumento schematico, riconosciuto dalla comunità scientifica, nel quale sono contenuti e ordinati tutti gli elementi chimici secondo alcuni criteri di misurazione.
Nello specifico le ree, individuate a partire dal 1787 in Svezia, sono identificabili nei seguenti metalli: scandio, ittrio e l’insieme dei “lantanoidi”, lantanio, cerio, praseodimio, neodimio, promezio, samario, europio, gadolinio, terbio, disprosio, olmio, erbio, tulio, itterbio e lutezio. Sono definiti lantanoidi quegli elementi chimici con proprietà chimico-fisiche affini al lantanio, considerato il primo del gruppo ad essere identificato.
Come fatto notare, l’appellativo “rare” potrebbe far pensare a una presenza difficilmente individuabile e rinvenibile in natura, al contrario le ree sono molto diffuse e presenti in grandi quantità. In sintesi, la loro rarità è riconducibile alla concentrazione soltanto in alcune aree geografiche del pianeta e alla complessità dei processi di estrazione.
Le ree nei processi di transizione
Sul piano economico e sociale, questo gruppo di metalli, si sta mostrando e si mostrerà determinante nella crescita e nel consolidamento di due dei tre processi di transizione (oltre alla questione demografica) di questo periodo della storia, determinanti per i destini globali: la transizione digitale, la transizione energetica/ecologica.
Il funzionamento di alcune delle filiere produttive strategiche per il sistema economico mondiale, già di fatto dipende dalle capacità di approvvigionamento delle ree. L’utilizzo prevalente, infatti, è da ascrivere a diversi comparti industriali, tra cui la componentistica elettronica (digitale, telecomunicazioni, ecc..), le tecnologie per l’energia pulita (considerando le specifiche proprietà luminescenti e catalitiche), i settori aerospaziale, automobilistico e della difesa.
Approfondimenti tematici dell’Agenzia internazionale dell’energia e della Banca mondiale convengono nel definire strutturale e decisivo l’impiego delle ree nella transizione energetica e nella realizzazione di un nuovo modello di sviluppo basato sulla “green economy”, proprio per il loro ruolo determinante nel ciclo delle fonti di energia rinnovabile (in particolare l’eolico e il fotovoltaico), delle auto elettriche e delle reti digitali di ultima generazione.
Catena del valore
Seguendo i dati tratti dal portale Statista.com, con il 29,4 per cento della domanda 2020, la produzione di magneti permanenti (componenti essenziali per telefoni cellulari, televisori, computer, automobili elettriche, turbine eoliche, aerei a reazione e molti altri prodotti) ne rappresenta l’impiego principale; a seguire troviamo la generazione di catalizzatori con il 20,2 per cento, fondamentali per i cicli dell’industria petrolchimica. Altri utilizzi principali sono nella manifattura del vetro al 13,6 per cento, nella metallurgia al 8,6 per cento, nella produzione di batterie 7,8 per cento e nell’industria ceramica al 2,7 per cento. Questi numeri identificano l’articolata catena del valore che gravita attorno alle ree.
Dalla consultazione del Rapporto sulle materie prime minerali 2022 dell’Usgs (l’Agenzia geologica del dipartimento degli interni Usa), si riscontra che la produzione globale di ossidi da “terre rare” nel 2021 è stata di 280mila tonnellate documentate, 168mila delle quali prodotte in Cina (60 per cento); con quote significative troviamo poi gli Usa con il 15,35 per cento, Myanmar (9,28 per cento) e l’Australia (7,85 per cento).
Un ulteriore e ancora più determinante chiave di lettura per gli equilibri geopolitici, sono i dati previsionali (sempre dell’Usgs) sulle riserve stimate di ree a livello mondiale pari a 120 milioni di tonnellate condensate primariamente in Cina (36,66 per cento), Vietnam (18,33 per cento), Brasile (17,5 per cento), Russia (17,5 per cento), India (5,75 per cento), Australia (3,33 per cento), Stati Uniti (1,5 per cento) e Groenlandia (1,25 per cento).
Le percentuali sulla distribuzione di queste risorse, seppur previsionali e in osservazione continua, confermano una presenza massiva della Repubblica popolare cinese nel comparto delle ree; presenza che, se consolidata, determinerà riflessi significativi sulle dinamiche economiche e commerciali e sugli equilibri geopolitici attuali e a medio-lunga prospettiva.
Il primato cinese
La scelta cinese di intervenire massicciamente nel mercato internazionale delle ree è da ricondurre agli anni Ottanta, attraverso un programma di investimenti pubblici mirati allo sviluppo delle tecnologie per l’estrazione dei minerali, un costo del lavoro contenuto e norme sulla tutela ambientale molto deboli. A questo possiamo aggiungere una filiera industriale (produzione e raffinazione) “corta”, collegata direttamente agli impianti di estrazione.
Queste condizioni nel 2010 hanno portato la Cina al primato della produzione globale. Pertanto anche il mercato delle transizioni digitale ed ecologico-energetica, dove si giocherà la partita decisiva per i futuri assetti internazionali, potrebbe essere pertanto fortemente condizionato dalla Cina e dalla rete di rapporti che il governo cinese ha costruito e sta costruendo in questi anni in politica estera (India, continente africano, Russia, alcuni paesi del Sudamerica) e nelle relazioni finanziarie.
Non essere protagonisti, o comunque esserlo marginalmente, su tali nuove frontiere economiche e degli scambi commerciali, mette a rischio le autonomie, i regimi di concorrenza e il modello politico, propri dei sistemi liberaldemocratici. Già nel dicembre del 2013 in un rapporto al Congresso Usa si affermava che un’eventuale monopolio virtuale della Cina in questo settore avrebbe potuto rappresentare in prospettiva una minaccia alla sicurezza nazionale; sempre nel 2013 gli Stati Uniti, supportati dal Giappone e dall’Unione europea, hanno denunciato al Wto la posizione dominante della Cina nei commerci delle ree (contenzioso risolto con un accordo nel 2015, sempre in sede Wto), evidenziando inoltre anche il rischio oggettivo di permanenti danni ambientali derivanti dalle operazioni di estrazione e produzione, una delle questioni più importanti e delicate da affrontare in questa filiera produttiva a livello globale.
Il “mondo libero” dovrà essere in grado pertanto di contenere questa supremazia; la costituzione della Minerals security partnership può essere uno strumento funzionale proprio a “serrare le fila” delle democrazie liberaldemocratiche anche per favorire un dialogo serrato con alcuni stati con importanti risorse potenziali di ree (vedi Vietnam, Brasile e India), ma anche incalzando in un confronto la stessa Repubblica popolare cinese per realizzare modelli globali di sviluppo e di produzione sostenibili, orientando all’accessibilità le catene di fornitura e cercando di ridurre le tensioni geopolitiche nell’ottica di una gestione condivisa delle transizioni.
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