Vladimir Putin sarà anche il più stretto alleato del regime iraniano, ma è sempre meglio di Volodymyr Zelensky. O almeno così sembra pensarla il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che nelle ultime 48 ore ha assestato due notevoli schiaffi diplomatici a Kiev.

Prima ha accettato una telefonata personale di Putin, che non solo ha impiegato ben nove giorni per decidersi a esprimere le sue condoglianze per le vittime, ma è stato estremamente critico con Israele, paragonando l’assedio di Gaza a quello compiuto dai nazisti a Leningrado.

Poi ha rifiutato con sdegno la richiesta di Zelensky di visitare il paese. «Non è il momento giusto», hanno fatto sapere fonti israeliane. Più o meno negli stessi minuti, il cancelliere tedesco Olaf Scholz atterrava all’aeroporto di Tel Aviv e il presidente degli Stati Uniti Joe Biden annunciava la sua visita fissata per mercoledì. Evidentemente solo per alcuni capi di stato «non è il momento» di visitare Israele.

Asse Putin-Netanyahu

Netanyahu teme che una visita di Zelensky rubi la scena al conflitto in corso in Israele e riporti l’attenzione sull’invasione russa, malignano i commentatori ucraini sui social e nei talk show politici. Di certo c’è che questo schiaffi in rapida sequenza sono stati piuttosti inaspettati.

L’opinione comune tra i commentatori internazionali era che l’attacco del 7 ottobre avrebbe segnato la fine della particolare relazione che Netanyahu e la destra israeliana intrattengono con Putin. Il presidente russo sembrava ormai troppo compromesso con l’Iran, il principale sponsor di Hamas, mentre le mosse e le gaffes compiute dopo l’attacco sembravano confermare questo destino. Il suo portavoce ha impiegato due giorni a formulare la prima dichiarazione sulla strage, lui stesso ce ne ha messi altri due per commentarla personalmente e nove per telefonare a Netanyahu. Nel frattempo si è consultato con tutti i principali leader arabi, ha espresso solidarietà alla causa palestinese e di fatto ha paragonato israele all’esercito nazista. Fosse accaduto in qualsiasi altro paese con cui Israele intrattiene relazioni diplomatiche ci sarebbe stato come minimo una protesta dell’ambasciatore locale. 

La relazione speciale, invece, regge, almeno per ora. La presenza militare russa nella vicina Siria e la presenza di numerosi ebrei entro i confini della federazione sono due ragioni che vengono spesso usate per giustificare questa resistenza. Un’altra è che Putin è piuttosto popolare tra gli israeliani di origine russa, un elettorato chiave per i governi guidati di Netanyahu. Durante le elezioni del 2019, Netanyahu fece appendere sul suo quartier generale un gigantesco poster che lo ritraeva accanto a Putin accompagnato da una citazione traducibile con «gioca in un altro campionato».

Se questo non bastasse c’è poi il fatto che tra i due sembra esserci un’autentica intesa personale, maturata negli anni in cui Netanyahu era arrivato allo scontro con il presidente americano Barack Obama. Nella sua recente biografia, Netanyahu dedicata parole affettuose al presidente russo, definendolo tra le altre cose un leader estremamente «intelligente». In politica, però, l’amicizia e la stima hanno grossi limiti e l’attuale crisi metterà a dura prova quella tra Putin e Netanyahu.

Zelensky chi?

Nel frattempo, Zelensky non riesce a fare breccia nel muro che gli ha messo di fronte la diplomazia israeliana. Non solo quella di Netanyahu, ma anche quella del suo predecessore, Naftali Bennet, un altro conservatore. Nonostante i sondaggi indichino una maggioranza di israeliani favorevoli all’Ucraina, anche se non all’invio di armi, Israele è rimasta neutrale. Non ha condannato la Russia, non ha adottato sanzioni e ha continuato a intrattenere positive relazioni diplomatiche.

A nulla è servito lo zelo di Zelensky nel condannare gli attacchi di Hamas e nell’appoggiare la reazione israeliana senza condizioni. Israle non offre reciprocità. Gli ucraini sono sempre più frustrati, ma non hanno altra scelta: criticare Israele e mettersi in rotta con gli Stati Uniti non è un’opzione. Netanyahu lo sa benissimo e ne approfitta. All’inizio di settembre, ad esempio, ha fatto pressioni affinché Kiev mettesse a disposizione risorse e misure di sicurezza per consentire a decine di migliaia di pellegrini ebrei la visita a un santuario ucraino in occasione della festa di Rosh Shanah (tema caro ai suoi alleati ultraortodossi). Negli stessi giorni, faceva togliere l’assicurazione sanitaria gratuita ai rifugiati ucraini e firmava con il Cremlino e una serie di personaggi sotto sanzioni un accordo sulla cooperazione cinematografica. 

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