Le recenti elezioni indiane non sono andate come previsto: ad aprile, all’inizio della campagna elettorale, il premier (riconfermato) Narendra Modi aveva chiesto all’elettorato una sorta di assegno in bianco, 400 seggi in parlamento e, di conseguenza, mani libere sulle prossime riforme, anche costituzionali. Una fiducia che gli derivava dall’aver reso l’India l’economia in più rapida crescita al mondo, il superamento della Cina quale paese più popoloso e quote senza precedente di super ricchi. Ciliegina sulla torta, l’ascesa sullo scacchiere globale, su questioni che spaziano dal conflitto in Ucraina alla crisi climatica.

Eppure, le cose sono andate diversamente. Il Bjp, il partito nazionalista di Modi, è ancora il più forte tra quelli che siedono in parlamento, ma non ha più la maggioranza assoluta e dovrà contare su due alleati: Nitish Kumar, già primo ministro del Bihar, e Chandrababu Naidu del Telugu Desam Party (in Andhra Pradesh). Ha ottenuto 240 seggi, in calo rispetto ai 303 seggi del 2019, mentre la coalizione di opposizione I.n.d.i.a è cresciuta e ha ottenuto 232 seggi, di cui 99 conquistati dal Congress di Rahul Gandhi.

Il fattore economico

In questi giorni si è tanto parlato di alti tassi di disoccupazione, crisi economica, crescita ineguale, questioni locali mai risolte e istanze delle caste più basse rimaste inascoltate: «L’India cresce sicuramente a ritmi più alti di altri paesi, in particolare della Cina che è il vero metro di paragone, ma va ricordato che l’economia indiana è un quinto di quella cinese: ha ancora molto da fare per arrivare ad un livello di sviluppo economico pari a quello di una potenza medio grande» premette Antonio Armellini, l’ex ambasciatore in India e vicepresidente vicario dell’Associazione Italia-India per la cooperazione fra i due paesi. «Almeno 200 milioni di indiani vivono al di sotto della soglia di povertà: sono stati preda facile dei messaggi di Modi, negli ultimi dieci anni, e altrettanto facilmente è forse subentrata la loro disillusione».

Secondo il Center for Monitoring Indian Economy il tasso di disoccupazione indiano è salito dal 7,4 per cento di marzo all’8,1 per cento di aprile 2024. «Quella indiana è una economia che punta su servizi e IT, settori nei quali la componente intellettuale è più forte della manodopera», continua Armellini. «Se avesse stravinto, come sperava, il programma di Modi sarebbe andato in una direzione ancor più liberista e meno tutelante per i lavoratori: in questo senso a fronte di una già alta disoccupazione, l’opposizione ha avuto gioco facile a convogliare lo scontento generale».

Il cuore hindu

Un epocale voltafaccia è arrivato dal cuore hindu del nord, un tempo roccaforte del Bjp. I primi a rivoltarsi contro i mancati aiuti e le scelte di governo, e non da oggi, sono stati i contadini, le cui proteste vanno avanti da anni: «Il nuovo governo Modi dovrà affrontare profonde sfide in Punjab, Uttar Pradesh e Haryana. I contadini non si sono senti supportati da questo governo e hanno temuto l’avanza dei grandi conglomerati» spiega Rahul Mukherji, a capo del dipartimento di Modern Politics of South Asia del South Asia Institute della Heidelberg University, in Germania. Altra questione che ha fatto perdere voti al nord, spiega Mukherji, è il piano di reclutamento Agnipath, in base al quale al personale che viene reclutato nelle forze armate viene offerto un contratto di quattro anni, ma dopo quella data solo un quarto delle reclute ottiene un incarico permanente: «Con una situazione già drammatica di disoccupazione, in stati come Uttart Pradesh e Bihar si sono scatenate le proteste».

In Bihar non a caso, spiega, l’alleato Nitish Kumar ha già chiesto la cancellazione del piano oltre che un censimento delle caste svantaggiate, considerate il suo elettorato di riferimento: «Sarà interessante vedere come Modi gestirà le istanze dei contadini, che non può più permettersi di ignorare, ma che non sono fondamentali per i suoi due alleati» continua Mukherji. «Come del resto non lo è la sua retorica nazionalista anti-musulmana: questa campagna elettorale ha dimostrato che le modalità con le quali ha attaccato la comunità musulmana, con toni quasi violenti, è stata un boomerang». Quanto ai due alleati, «entrambi nei giorni scorsi hanno assicurato la loro fedeltà ma hanno anche già avanzato richieste».

Questione di coalizioni

Modi non ha mai dovuto gestire una colazione e sicuramente mal sopporta il fatto di essere sotto ricatto, spiega Diego Maiorano, docente di storia contemporanea dell’India all’università di Napoli L’Orientale: «Il banco di prova è già alle porte: entrambi gli alleati hanno chiesto il posto di Speaker del parlamento, una posizione di grande potere e una assicurazione sul futuro, contro il rischio di spaccature interne al partito».

E poi c’è la questione ministro degli Interni: «Hanno chiesto a Modi di mettere da parte Amit Shah, la persona che sa tutto di lui e di cui probabilmente si fida di più, il suo braccio destro da sempre». Se la coalizione guidata da Modi non è priva di insidie, lo stesso vale per I.n.d.i.a: «È una colazione che unisce figure molto eterogenee, nata sotto la spinta di una forte repressione da parte del governo al potere» spiega Mukherji. «Date le condizioni di partenza, dall’incarceramento di esponenti di primo piano al controllo di conti correnti e fondi elettorali, hanno ottenuto un risultato sorprendete. Ma sarà interessante vedere se reggeranno».

L’anti-incumbency

Il tema è: l’elettorato ha voto contro il Bjp o a favore del Congress? «A mio avviso, questo è sia un voto contro il Bjp sia un voto a favore di I.n.d.i.a. C’è stato un certo grado di frustrazione per lo stato dell’economia, per i candidati del Bjp e il superamento di certi limiti» spiega Milan Vaishnav, direttore del South Asia Program di Carnegie Endowment for International Peace. «Questo si è tradotto in un voto contro il Bjp perché negli stati chiave l’alleanza I.n.d.i.a. offriva un’alternativa credibile. Il messaggio della coalizione era molto più disciplinato, i suoi partiti erano meglio uniti sul campo e la loro enfasi sulla disuguaglianza ha avuto ampia risonanza». Non solo una campagna elettorale completamente incentrata sulla figura di Modi e sulla retorica nazionalista hindu non ha funzionato, concordano gli esperti. Va anche considerato il fattore anti-incumbency, il voto contrario al partito politico al potere: «Modi ha cercato di combatterlo con una campagna elettorale violenta nei confronti dei musulmani ma non ha funzionato, perché a livello nazionale l’unica narrativa è stata quella dell’opposizione, legata alla mancanza di lavoro e alla crisi economica» spiega Maiorano. «Rimane il fatto che dopo dieci anni al governo, di riforme contestate, di crescita sostenuta ma ineguale, e nonostante la mancata realizzazione dei posti di lavori promessi, il Bjp si è assicurato il 36,56 per cento dei voti totali contro il 37,7 per cento del 2019. Un calo marginale».

Il caso UP

L’affluenza è di poco calata, ma la cosa non stupisce Maiorano: «È fisiologico, nel 2019 era stata la più alta di sempre. A restare a casa credo siano stati gli elettori del Bjp». A sorpresa, contrariamente a quanto previsto, i giovani sono andati alle urne: «Hanno votato Bjp, stando ai primi dati, più degli anziani. La disoccupazione ha avuto un peso importante nella mancata crescita di consensi per il Bjp ma, a livello nazionale, non ha spostato la percentuale di consensi». Ha pesato piuttosto, come già accennato, a livello locale, spiega Maiorano: «Emblematico il caso Uttar Pradesh». Lo stato settentrionale, considerato il bastione del Bjp, è il più grande del paese e il più pesante in termini di seggi: «Qui i fattori determinanti sono stati la disoccupazione e difesa della costituzione, in particolare le caste svantaggiate e i dalit hanno temuto che Modi avesse intenzione di cambiare sistema di riserve, le quote che permettono a questi gruppi, ad esempio, di accedere ad un posto pubblico, vero miraggio per il lavoratore indiano». Da qui la strategia dell’opposizione, che sventolando la Costituzione durante i comizi ha accusato il Bjp di voler togliere i diritti alle comunità storicamente svantaggiate.

A livello internazionale

Resta da vedere se ci saranno riflessi sul piano internazionale e di crescita economica: «Non penso che questo cambi, a grandi linee, il posizionamento internazionale dell’India» riflette Vaishnav. «Il paese trarrà comunque vantaggio dalla frammentazione geopolitica che lascia oggi al suo governo ampio spazio di manovra. Per quanto riguarda l’economia, c’è stata una certa ansia sui mercati, ma i governi di coalizione in passato non hanno avuto effetti negativi sulla crescita, anzi. In un certo senso questo è il risultato che molte imprese speravano: un Bjp forte, ma circondato da partner che ne limiteranno gli eccessi».

Concorda Armellini: «Il mondo economico-finanziario ha puntato molto sull’India negli ultimi anni e continuerà a farlo. In questo momento, tra la crisi con la Russia e il distanziamento dalla Cina, per l’occidente non ci sono reali alternative all’India. Richiederà, certo, qualche riflessione in più».

Piuttosto, alla luce della campagna per le europee e dei prossimi appuntamenti internazionali, qualche paragone è possibile: «In vista del prossimo G7 di Borgo Egnazia, è interessante tracciare un paragone tra due figure politiche che si sono dichiarate vicine, Modi e Meloni: entrambi hanno incentrato la recente campagna elettorale su sé stessi. Nel secondo caso, vedremo come andrà a finire».

Di certo, conclude Maiorano, non ha senso parlare di vera e propria crisi per Modi: «Ricordiamo che è un leader camaleontico, un uomo in grado di reinventarsi» spiega. «Se guardiamo al 2002, è passato dall’essere accusato di un pogrom a diventare un leader a capo di un ampio progetto di sviluppo economico. La sua capacità re-branding è sorprendente».

© Riproduzione riservata