La destra americana e quella israeliana da tempo provano a neutralizzare Corte penale internazionale e Corte internazionale di giustizia. Tel Aviv teme il mandato di cattura contro il premier e attende un aiuto dal tycoon
Tra le questioni che segnaleranno il profilo della nuova presidenza americana e il tenore dei rapporti con l’Europa, la giustizia internazionale è tra le più impellenti.
Secondo l’ambasciatore israeliano all’Onu, Danny Danon, Donald Trump garantirà sostegno «morale» alle «pressioni» che il governo Netanyahu sta esercitando sulla Corte penale internazionale (Icc) e sulla Corte internazionale di giustizia (Icj), colpevoli di «doppio standard contro Israele». Il timore della destra israeliana, condiviso da quella parte della destra americana a essa gemellata, è che l’Icc emetta un ordine di cattura contro Benjamin Netanyahu.
Non solo il premier non potrebbe più atterrare in alcuno tra i 126 Paesi che riconoscono l’autorità di quella corte (inclusi tutti gli europei e tutti i sudamericani), ma lo stigma di un’incriminazione per crimini contro l’umanità complicherebbe i progetti del governo israeliano per Gaza e per il West Bank. Tanto più perché si sommerebbe al recente responso dell’Icj, che intima a Israele di lasciare entro un anno i Territori occupati e porre fine a politiche equivalenti ai crimini di segregazione o di apartheid.
Corti da neutralizzare
Per quanto un pensiero convenzionale attribuisca alle corti internazionali la velleità di risolvere la storia nei tribunali e le consideri ininfluenti, le loro sentenze finiscono per produrre effetti piuttosto rilevanti. Se infatti l’alleanza Trump-Netanyahu riuscisse a paralizzarle o sabotarle, così da svuotare la stessa idea di giustizia internazionale, verrebbe meno la protezione minima che Icc e Icj in teoria sono in grado di accordare ai deboli (minoranze aggredite, stati invasi, popolazioni ferite da operazioni militari indifferenti alle sofferenze prodotte) quantomeno scoraggiando gli eccessi e offrendo alle vittime la verità come risarcimento.
Gli stati sarebbero incoraggiati a violare i limiti, le loro vittime a coltivare rancori eterni e vendette apocalittiche. E un mondo definitivamente statolatrico moltiplicherebbe i suoi castelli di menzogne senza che alcuna corte internazionale possa sbaragliarli chiamando le cose con il loro nome.
Questo esito verrebbe accolto con sollievo non solo dai regimi autoritari, ma verosimilmente anche da quel vasto segmento di diplomazia occidentale che considera un impaccio la giustizia internazionale. Anche per una ragione oggettiva: non v’è dubbio, per esempio, che l‘ordine di cattura spiccato dall’Icc contro Putin complichi la logistica dei negoziati. Ma in prospettiva i guasti che produrrebbe la neutralizzazione di quelle corti sono ben maggiori.
Identità europea a rischio
Ne risulterebbe ammaccata la stessa identità politica della Ue, dato che l’idea di una giustizia universale, espressione di una radice comune a tutte le “culture” e le nazioni, non solo ha una storia tutta europea, ma è complementare alla forma dello stato di diritto liberale, così come all’opposto Trump e Netanyahu sono complementari all’idea del capo legibus solutus, non punibile, in quanto espressione del “popolo”, cioè della maggioranza dominante.
Malgrado tutto questo, è perlomeno dubbio che gli europei difenderanno l’idea della giustizia internazionale quando verrà attaccata. Lo suggerisce quanto occorso in margine alla guerra di Gaza. Quando Biden ha dichiarato «scandalosa» la richiesta di ordine di cattura per “genocide” contro Netanyahu, gli europei si sono accodati. E quando l’Icj ha dichiarato illegittima l’occupazione del West Bank di nuovo gli occidentali pressoché compatti hanno dichiarato «inopportuno» quel verdetto. Il parere dell’Icj era stato richiesto dall’Assemblea generale delle Nazioni unite.
Prima che venisse emesso, Roma suggerì alla Corte Onu di tacere, motivando la richiesta con il rischio che la sentenza avrebbe ostacolato chissà quali futuribili trattative sui Territori occupati. Eppure l’Italia ha offerto un contributo rilevante alla giustizia internazionale, tanto che non a caso il codice di riferimento dell’Icc è noto come Statuto di Roma.
Dunque sarà anche vero che «gli americani vengono da Marte, gli europei da Venere», il motto di Robert Kaplan opportunamente ricordato da Francesco Giavazzi sul Corriere dopo l’elezione di Trump, ma se in Europa non pullulassero impudichi marziani, oltre a babbei cosmici, non solo ci saremmo già dotati di un sistema di difesa nostro e avremmo varato una politica energetica comune, ma avremmo fatto scudo alle critiche piovute su Icc e Icj invece di ripeterle.
Quanto al futuro, non andrebbe dimenticato che i venusiani sono parte rilevantissima della politica statunitense: sicché sarebbe conveniente e giusto immaginare un’alleanza transatlantica che accordi l’ultimo Occidente, quello che si oppone all’invasione marziana. E forse in Italia sarebbe più interessante lasciar perdere campi larghi con “Giuseppi” e orfani dell’Armata rossa e cominciare a sondare l’area trasversale tendenzialmente venusiana, dai Provenzano del Pd fino a quel piccolo segmento di destra che, sia pure tra sbandamenti, si dimostra anticonformista e intelligente.
L’offensiva contro le corti internazionali probabilmente proseguirà su strade già percorse. L’ostilità della destra americana all’Icc era emersa già durante la precedente presidenza Trump, quando vari dignitari della corte erano stati dichiarati «persona non grata» e minacciati di arresto se fossero atterrati negli Usa. Biden aveva revocato queste sanzioni.
Ma dopo l’incriminazione di Netanyahu vari esponenti Republicans erano tornati alla carica, con “avvertimenti” espliciti al procuratore Karim Khan: stai attento, ti teniamo d’occhio. Due settimane fa il Wall Street Journal ha avanzato il sospetto che il procuratore abbia molestato una dipendente (che resta senza nome e non ha denunciato) e, in un aspro editoriale, ha chiesto che l’Icc si astenga dal prendere provvedimenti fin quando non sarà chiarita la posizione di Karim Khan. Quest’ultimo nega; fonti ufficiose della Corte replicano: è una manovra israeliana.
A decidere sull’ordine di cattura contro Netanyahu proposto da Karim Khan sono tre giudici del’Icc, una dei quali la settimana scorsa si è dimessa all’improvviso, adducendo motivi personali. La sostituta, slovena, avrà bisogno di qualche tempo per impadronirsi della materia. Col che il governo israeliano e gli alleati d’oltreoceano guadagnano settimane, forse mesi, per concertare l’attacco preventivo.
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