La vittoria democratica nella roccaforte repubblicana suggella la metamorfosi di uno stato che attrae giovani e minoranze, offre opportunità e inizia a fare i conti con il passato di segregazione e soppressione del voto
- Trump ha incitato la folla a opporsi alla ratifica. I manifestanti pro Trump, alcuni armati e senza mascherina, hanno fatto irruzione all'interno del complesso di Capitol Hill, dove il Congresso era riunito per certificare l'elezione di Joe Biden.
- I democratici festeggiano la vittoria di entrambi i seggi senatoriali della Georgia e il controllo del senato. È molto probabile che sulla sconfitta dei repubblicani abbia pesato la delegittimazione delle elezioni da parte del presidente uscente Donald Trump.
- La Georgia negli ultimi anni è fortemente cambiata, un cambiamento che in qualche modo precede e rappresenta la rivoluzione in atto un po’ ovunque nella società americana di questi nuovi anni Venti.
«Il diavolo scese in Georgia», dice una vecchia canzone country «cercava un’anima da rubare». Incontrò un ragazzo di nome Johnny, che era un violinista eccezionale, e lo sfidò a una gara musicale. Se Johnny avesse vinto, il diavolo gli avrebbe regalato il proprio strumento, un violino tutto d’oro. Se Johnny avesse perso, il diavolo si sarebbe preso la sua anima.
Mi torna in mente questa vecchia canzone del sud mentre seguo alla Cnn la notte elettorale in Georgia. La posta in gioco è altissima, c’è in palio il controllo del Senato. Il Senato degli Stati Uniti ha una importanza fondamentale per ogni presidenza: approva i trattati internazionali, i membri del gabinetto di governo, i nuovi ambasciatori e i giudici della Corte suprema e in questa travagliata congiuntura economica è chiamato ad approvare un nuovo stimolo fiscale che garantirebbe a ogni americano, sotto un certo reddito, l’atteso bonus di duemila dollari necessario per alleviare le conseguenze della crisi.
In gioco questa volta ci sono i due seggi senatoriali della Georgia controllati dai repubblicani David Perdue, ex vicepresidente di Reebok, e Kelly Loeffler, la donna più ricca del Senato, sposata al presidente del New York Stock Exchange. Sia Perdue che Loeffler sono grandi sostenitori del presidente uscente, Donald Trump.
Gli sfidanti al ballottaggio sono Jon Ossoff, un giornalista e documentarista ebreo di 33 anni, ex protégée dell’amatissimo deputato afroamericano John Lewis, attivista per i diritti civili con il Martin Luther King (quando morì l’anno scorso Trump si rifiutò di andare al suo funerale); e Raphael Warnock, pastore afroamericano nella chiesa battista di Ebenezer, la stessa del reverendo King. Ci sono quindi molto simbolismo e molta storia in queste candidature.
I repubblicani hanno già raggiunto la soglia dei 50 senatori dopo le elezioni dello scorso novembre. I democratici sono fermi a 48. Il voto della vicepresidente Kamala Harris potrebbe fare la differenza e dare la maggioranza ai democratici se questi, come è assai probabile a questo punto, riuscissero a vincere entrambi i seggi della Georgia. Tutto questo nel giorno in cui il Congresso americano si riunisce per ratificare la vittoria di Joe Biden alle presidenziali.
Per il reverendo Warnock i risultati arrivano già nella notte. È lui il vincitore. Ha battuto la senatrice Loeffler: anche la squadra di basketball femminile di cui la senatrice è proprietaria faceva apertamente il tifo per lui.
Nel suo primo discorso, il reverendo ricorda sua madre di 82 anni, che da giovane raccoglieva cotone per le famiglie bianche della Georgia, e che ieri è andata al seggio per aiutare a eleggere suo figlio senatore. Per Ossoff, avanti sul senatore Perdue, bisogna attendere più a lungo.
Ossoff ha dichiarato la vittoria, visto che le ultime schede ancora da contare si trovano in contee a maggioranza democratiche, ma è possibile che Perdue chieda il riconteggio. È molto probabile che sulla sconfitta dei repubblicani abbia pesato la delegittimazione delle elezioni da parte del presidente uscente Trump. Negli ultimi due mesi il presidente ha raccontato che la vittoria di Biden in Georgia era frutto di brogli, probabilmente convincendo una parte dei suoi elettori a non andare a votare.
28 anni di attesa
Se qualcuno, anche solo qualche anno fa, mi avesse detto che nel 2020 il candidato democratico alle presidenziali avrebbe vinto la Georgia mi sarei fatta una risata. Sono passati 28 anni dall’ultima volta che la Georgia votò per un candidato democratico. Era il 1992 e contro George W. H. Bush correva il giovane governatore dell’Arkansas, Bill Clinton.
Prima ancora, nel 1976, la Georgia aveva mandato alla Casa Bianca un suo cittadino, l’ex governatore Jimmy Carter. Ma queste sono eccezioni. Eppure, in Georgia, nel 2020, Joe Biden ha vinto con più di 11mila voti di scarto sul presidente uscente, vittoria che Trump ancora contesta (continua a fare pressioni sulle istituzioni georgiane affinché trovino i voti di cui ha bisogno per ribaltare il risultato).
Ma la Georgia negli ultimi anni è fortemente cambiata, un cambiamento demografico, etnico e culturale che in qualche modo precede e rappresenta la rivoluzione in atto un po’ ovunque nella società americana di questi nuovi anni Venti.
In Georgia sono arrivati moltissimi americani appartenenti a minoranze etniche – specialmente afroamericani, ispanici e asiatici – mentre un nuovo flusso di americani bianchi è giunto nello stato dalla costa orientale, attratto dalle nuove opportunità di lavoro e dal costo più basso della vita. Atlanta – la città di Via col vento – ospita da sempre la sede della Coca-Cola (ricorderete le Olimpiadi del 1996) e della compagnia area Delta. Oggi è diventata punto di incontro di grandi corporations, da Ups a Home Depot, da Mercedes a Porsche.
Il risultato è che le contee intorno ad Atlanta, tra le più popolose dello stato, non sono più a maggioranza bianca. Ora sono giovani, etnicamente e culturalmente eterogenee, e quindi più vicine alle idee del Partito democratico. Secondo gli analisti, la vittoria di Biden lo scorso novembre, deve essere attribuita alle donne, coalizzate contro Trump, ai giovani e alle minoranze etniche, soprattutto gli afroamericani che in massa si sono recati alle urne.
La campagna di Stacey Abrams
C’è una donna in particolare che sia Biden sia i nuovi senatori democratici devono ringraziare. Si chiama Stacey Abrams ed è l’ex candidata democratica al governatorato della Georgia che perse per soli 55mila voti nel 2018. In quell’occasione, Abrams si rifiutò di concedere la vittoria al suo rivale repubblicano, Brian Kemp, affermando che la soppressione del diritto di voto, una piaga storica della Georgia, aveva impedito a molti elettori, soprattutto afroamericani come lei, di votare.
Kemp in quegli anni era segretario di Stato della Georgia e quindi controllava lo svolgimento delle elezioni e la registrazione al voto. In Georgia, come nel resto del sud degli Stati Uniti, la soppressione del voto ha una storia vecchia di secoli. Dopo la Guerra civile che abolì la schiavitù, il quindicesimo emendamento della Costituzione proibì di negare il diritto di voto agli afroamericani. Eppure, questa pratica è continuata fino agli anni Sessanta del Novecento: tasse sul voto, esami di conoscenza della lingua inglese, prova di possedere “un buon carattere,” pagamento delle tasse sulla proprietà, primarie aperte solo ai bianchi, linciaggi di afroamericani la notte prima del voto.
Ma la soppressione del diritto al voto non finì dopo l’approvazione del Voting Rights Act del 1965. Nel 2018, per esempio, moltissimi georgiani appartenenti alle minoranze furono costretti ad aspettare per ore fuori dai seggi prima di riuscire a votare, migliaia di voti spediti per posta furono considerati nulli per errori e dubbie irregolarità e poiché il termine ultimo per registrarsi al voto venne anticipato, molti elettori non riuscirono a votare.
È dal 2010 che Stacey Abrams si batte per mobilitare gli afroamericani al voto e impedire che i loro diritti siano negati. Quella di oggi è soprattutto la sua vittoria. Gli afroamericani sono stati il 33 percento di coloro che si sono recati alle urne nelle settimane precedenti al voto del 5 gennaio.
Il diavolo scese in Georgia in cerca di un’anima da rubare. Tornò a casa sconfitto. Il giovane Johnny, a quanto pare, suonava molto meglio di lui. Non riuscì a rubare l’anima che cercava e perse il suo violino d’oro. I georgiani a volte ne sanno una più del diavolo.
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