La nuova capa di gabinetto del presidente sarà Susan Wiles, navigatissima consulente che ha ricostruito la macchina politica dopo la devastazione di Capitol Hill e ha guidato una campagna elettorale efficientissima. Nessuno ha resistito quanto lei accanto al bizzoso tycoon. Ha 67 anni, non ama i riflettori ed è la prima donna nominata in questo ruolo
Non sfugge la crudele ironia della prima nomina di Donald Trump dopo l’elezione: sarà il primo presidente ad avere una donna come capo di gabinetto. Il presidente eletto ha scelto per il cruciale compito Susie Wiles, veterana della strategia politica proveniente dalla Florida e lobbista di lungo corso.
La sua nomina è poco sorprendente e molto significativa. Poco sorprendente, perché Wiles sarà confermata in un ruolo che già di fatto ricopre da quasi quattro anni, quando, dopo l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, Trump le ha affidato il compito di rimettere in piedi la macchina politica devastata, nominandola poi co-coordinatrice della campagna.
Molto significativa, perché Wiles è per molti versi l’opposto di Trump, essendo una consulente politica navigatissima che si definisce moderata, è cresciuta nell’ethos reaganiano e ha lavorato con personalità repubblicane di tendenza centrista, come Rick Scott, Jon Huntsman, Jeb Bush e Mitt Romney.
«Susie è tosta, intelligente, innovativa e universalmente ammirata e rispettata. Non ho dubbi che il paese sarà orgoglioso di lei», ha detto Trump annunciando la nomina, che la renderà probabilmente la donna più potente di Washington.
Wiles compirà fra poco 67 anni e da oltre quaranta lavora nel mondo della politica. Lo fa rimanendo nell’ombra, convinta che in politica non vada mischiato quello che si dice dietro le quinte con quello che si vede sul palco. Trump la chiama la «regina di ghiaccio», e quando al discorso della vittoria l’ha invitata al podio a dire qualcosa, lei si è ritratta. Parla raramente in pubblico, cerca di non comparire nemmeno in foto, preferisce gli occhiali a specchio.
Una outsider
È a suo modo una outsider di Washington. La sua carriera è radicata in Florida, dove, in conformità alle indicazioni di Machiavelli, è riuscita ad essere sia amata che temuta. È stata fra gli artefici dell’ascesa di Ron DeSantis, il governatore dello stato che per un momento che oggi appare lontanissimo sembrava poter essere il successore-rottamatore di Trump, e poi le cose sono finite malissimo quando è entrata in rotta di collisione con il suo capo di gabinetto e soprattutto con la moglie, Casey.
Nel 2019 il clan DeSantis ha preteso da Trump che cacciasse Wiles dal ruolo di consulente per la campagna elettorale in Florida. Lui ha obbedito e lei si è segnata tutto in una speciale lista dove nessun politico vorrebbe mai finire. Ha restituito il dispetto con gli interessi contribuendo alla devastazione politica di DeSantis quando ha sfidato Trump alle primarie. È stato Trump a calpestarlo, ma lei gli ha indicato esattamente dove mettere i piedi.
Wiles ha avuto un ruolo non di primo piano nella campagna di Trump nel 2016 e in parte in quella del 2020, ma da quando è stabilmente al suo fianco ha dimostrato una capacità che nessun altro ha avuto nell’ampio novero dei consiglieri: la capacità di sopravvivere. Cercare di dare una direzione al leader più ciclotimico e narcisista del mondo occidentale è un lavoro usurante e la stabilità non si accorda con il ritmo del reality show, che impone continui scontri e colpi di scena. Nessun manager della campagna elettorale prima di lei è riuscito a conservare il posto per l’intero percorso.
Chi ha lavorato con lei dice che è l’unica in grado di tenere testa a Trump e, a volte, di placare i suoi istinti e mettere argini alle sue idee bislacche. Di certo è riuscita a dare una forma razionale all’organizzazione della campagna, che a conti fatti è stata un trionfo di efficienza. Il presidente eletto ha vinto a valanga con una struttura di partito sul territorio molto più fragile di quella dei democratici e spendendo la metà rispetto a Kamala Harris.
Nuova rotta
Un altro elemento di discontinuità è il criterio con cui Trump ha fatto la nomina rispetto a quanto visto nel precedente mandato. Nel 2016 ha scelto Reince Preibus, il capo del partito repubblicano, assecondando i suggerimenti della macchina politica. È finita malissimo. Ed è andata anche peggio con il suo successore, il generale John Kelly, quello che ha raccontato qualche settimana ha parlato dell’ammirazione di Trump per Hitler. Infine ha scelto un consigliere economico e poi un deputato, tutti bruciati dalla convivenza con il boss.
Non aveva, insomma, mai scelto una persona che fosse già stata al suo fianco e avesse convissuto con le ingestibili asprezze di un palazzinaro che è diventato una celebrità licenziando gente in tv. Ora alla razionalizzatrice della campagna Wiles tocca il compito di dare alla Casa Bianca di Trump l’ordine che non ha avuto nel primo mandato. Auguri.
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