Nel sud-est a maggioranza curda torna l’incubo dei fiduciari messi al posto dei sindaci destituiti, ma Erdogan perde il controllo su università e Banca centrale. Sempre più lontana dall’Ue, la Turchia guarda con interesse ai Brics
Nominare i rettori delle Università e licenziare i governatori della Banca centrale non sarà più una prerogativa del presidente Recep Tayyip Erdogan. La Corte costituzionale turca, con una mossa storica, ha stabilito che i poteri che il capo di Stato si è arrogato grazie a una serie di decreti emessi dal 2016, anno del fallito golpe, in poi, sono incostituzionali.
Erdogan aveva usato questi poteri speciali per nominare diversi rettori delle principali università del paese ed eliminare così le figure critiche nei suoi confronti o che si rifiutavano di limitare le libertà di studenti ed insegnanti nei campus. In particolare, la nomina nel 2021 del rettore dell’Università di Boğaziçi, a Istanbul, aveva provocato importanti proteste andate avanti per mesi prima di essere sedate con la forza. Ma il pugno duro di Erdogan non si è limitato alle università. Il presidente ha usato i decreti anche per prendere il controllo della Banca centrale e imporre le proprie politiche monetarie, arrivando a nominare ben cinque diversi governatori dal 2016 ad oggi.
Decisioni di questo tipo d’ora in poi dovranno passare per il parlamento per poter essere costituzionalmente valide, secondo quanto deciso dalla Corte, ma l’entourage del presidente ha prontamente sminuito l’importanza della sentenza. Come affermato dal consigliere presidenziale Mehmet Uçum, basterà sostituire i decreti con un quadro legislativo adeguato, facendo intuire che la questione è tutt’altro che risolta.
D’altronde Erdogan non ha alcune intenzione di limitare il proprio potere, né di lasciar spazio ai suoi oppositori, come si è visto in questi giorni nella provincia curda. Il sindaco della città di Hakkari, appartenente al partito filo-curdo Dem ed eletto a fine marzo, è stato destituito con l’accusa di terrorismo e condannato in soli due giorni a 19 anni di carcere. Come già successo a seguito delle elezioni del 2019, il presidente sta nuovamente usando la giustizia e l’accusa di legami con il Partito dei lavoratori curdi per eliminare i sindaci che gli sono ostili e sostituirli con persone a lui fedeli. Alcune settimane prima era stato brevemente destituito anche il sindaco di Van, ma la resistenza della popolazione e il supporto offerto dal principale partito d’opposizione, il Chp, sono riusciti a imporre il rispetto dei risultati elettorali. Anche nel caso di Hakkari i cittadini e il Chp hanno preso subito le difese di Mehmet Siddik Akis, ma la condanna a 19 anni ha reso impossibile il ritorno al potere del primo cittadino.
Per Erdogan, la destituzione di Akis è solo il primo passo e “il sistema giuridico continuerà a fare il suo dovere”, mentre il leader del Chp, Ozgur Ozel, ha definito irrispettoso quanto sta accadendo nelle province del sud-est. Il partito repubblicano ha meno da temere rispetto ai curdi, ma le speranze di vittoria alle prossime elezioni presidenziali sono legate anche al successo del Dem e alla sua capacità di mobilitazione degli elettori.
Europa o Brics?
La destituzione forzata di Akis non ha provocato alcuna reazione negli Usa, ma è stata invece condannata a livello europeo. Il Relatore per i rapporti con la Turchia, Nacho Sánchez Amor, ha definito la rimozione del sindaco un “palese attacco alla democrazia e alla volontà dei cittadini” e accusato il governo di aver distrutto ogni speranza di accesso all’Ue.
La Turchia è paese candidato a far parte dell’Unione da prima che Erdogan arrivasse al potere, ma negli ultimi dieci anni i rapporti tra Ankara e Bruxelles si sono fatti sempre più tesi a causa della deriva autoritaria del presidente, mentre in Europa non si è mai raggiunto un consenso unanime sull’adesione di un paese musulmano.
Il tema dell’entrata nell’Ue era tornato alla ribalta nel corso della campagna elettorale per le presidenziali svoltesi a maggio del 2023, con Erdogan che chiedeva ancora una volta la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi e Bruxelles che sottolineava il mancato adeguamento della Turchia agli standard europei. Un anno dopo l’impasse non è ancora stata superata e il governo guidato da Erdogan non sembra intenzionato a fare passi avanti verso l’Ue. Anzi, in occasione della visito a Pechino, il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan ha ribadito l’interesse dalla Turchia verso i Bric (Brasile, Russia, India e Cina), definendoli una buona alternativa all’Ue.
Un’ipotesi accolta con favore della Russia ma che allontanerebbe ancora di più Ankara, paese appartenente alla Nato, dal resto dell’Occidente.
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