Certamente la coerenza ideologica non è mai stata uno degli asset forti di Donald Trump. Anzi, spesso i suoi cambi repentini di idea sono stati elogiati dai suoi sostenitori come esempi di «pragmatismo ideologico» e «grande istinto strategico».

Ultimamente, però, sembra esserci un filo conduttore che lega tutti le recenti “svolte” del tycoon, che modifica le sue posizioni su un certo tema dopo aver incontrato dei generosi magnati pronti a staccare un assegno.

Il caso più clamoroso è successo su TikTok. Durante il suo primo mandato, Trump attaccava il social network definendolo uno strumento in mano alla Cina e pericoloso per la sicurezza nazionale. Lo scorso marzo, proprio mentre al Congresso si stava formando una vasta maggioranza bipartisan favorevole alla cancellazione dell’app dagli store, il tycoon si è detto contrario.

La ragione ufficiale è che era interessato a conquistare il voto giovanile sulla piattaforma, in realtà la decisione è arrivata dopo un incontro con il magnate tech Jeff Yass, che in questi mesi ha donato ben 46 milioni di dollari alla campagna repubblicana.

Permessi di soggiorno

Nei giorni scorsi, poi, è arrivato un aggiustamento di rotta ancora più clamoroso, proprio su uno dei temi, come l’immigrazione, che più di tutti ha formato quel particolare brand di nazional-conservatorismo che sbrigativamente si definisce trumpismo. Durante un incontro con grandi uomini d’affari, Trump ha detto che «abbiamo bisogno di persone brillanti in America» e per questo occorre dare il permesso di soggiorno indeterminato per chi si laurea in America.

Un tema su cui grandi manager come Tim Cook sono da tempo concordi ma che potrebbe creare qualche problema: avrebbe diritto a questo percorso anche chi prende un titolo di studio accademico da illegale? Non è dato saperlo. Ma se così fosse si tratterebbe di una sconfessione clamorosa delle politiche draconiane dal sapore etno-nazionalista promosse dal suo consigliere Stephen Miller, che in un suo secondo mandato presidente potrebbe occupare il posto di procuratore generale.

O forse no, dato che in ballo c’è il consenso di un pezzo di Silicon Valley che ha gran bisogno di questi talenti e potrebbe guardare al tycoon con maggior fiducia. Gli strateghi di Trump dicono che questo è il modo giusto di vincere le elezioni.

Tanto l’ex presidente sa che anche chi storcerà il naso su questo cambio di linea (su cui il suo ufficio stampa ha più tardi corretto il tiro dicendo che comunque gli aspiranti residenti sul suolo americano verranno «adeguatamente controllati» per esser certi che non si tratti di «nemici dell’America») comunque voterà per lui.

«Saldi trumpiani»

I detrattori invece dicono che questo è il periodo dei «saldi trumpiani»: ovverosia delle promesse indiscriminate per ottenere voti di qua e di là.

Impressione confermata quando, a un comizio in Nevada, Trump ha annunciato la volontà di detassare le mance su cui vivono gli addetti del settore ricettivo, molto fiorente in uno stato che contiene una città straripante di alberghi come Las Vegas.

E ha cambiato idea anche sulle criptovalute che nel 2019 venivano definite «basate sull’aria fresca», mentre oggi gli Stati Uniti devono essere un paese leader in questo segmento. Posizione che gli ha portato un assegno da due milioni da parte dei gemelli Winklevoss, due trader che hanno contribuito anche alla fondazione di Facebook.

Base fedele

La strategia, però, non sempre funziona. A maggio aveva promesso, alla convention del partito libertario che avrebbe nominato uno di loro nell’amministrazione. Proposta che era stata accolta da urla e fischi e da cartelli che paragonavano il movimento Maga al socialismo di destra. Nulla di strano però, a pensarci bene. Semplicemente, ora che non c’è alcuna opposizione sostanziale al trumpismo dentro il partito repubblicano, non c’è nemmeno più bisogno di una coerenza conservatrice a prova di bomba.

E si può tornare a utilizzare quella che è una tecnica da venditore che il tycoon usava quando operava nel mercato immobiliare: accontentare il cliente proponendogli quello che vuole, anche se contraddice la presa di posizione precedente. Tanto la base non si staccherà per questo motivo.

Appare molto significativo infatti che Ted Cruz, che nel 2016 si segnalava per la sua forte opposizione da destra su base «costituzionale», sia corso subito a presentare un disegno di legge con ben poche speranze di passare sul tema delle mance da detassare. Perché nel trumpismo ciò che conta è la fedeltà. E i principi si possono sempre adattare ai tempi e agli interlocutori.

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