Forse il tycoon non finirà a processo quest’anno. Ma la sua campagna elettorale verrà comunque disturbata dalle vicissitudini giudiziarie
Forse Trump a processo non tornerà più quest’anno, come lui avrebbe desiderato sin da inizio anno.
Però forse la sua campagna verrà comunque disturbata dalle vicissitudini legali, a cominciare dal processo newyorchese dove è stato condannato a fine maggio per il pagamento di 130mila euro alla pornostar Stormy Daniels avvenuto nel luglio 2016, fatto attraverso la falsificazione di alcuni documenti della Trump Organization che allora dirigeva. Se sappiamo della sua condanna per trentaquattro capi d’imputazione, non sappiamo ancora cosa in cosa consista la sua pena e il tribunale di New York si è preso qualche mese in più per decidere in seguito alla sentenza Trump v. United States di luglio che ha fornito all’ex presidente una parziale immunità dai processi. Non da questo però, che riguarda fatti avvenuti prima del giuramento avvenuto il 20 gennaio 2017. Nonostante questo, il procuratore speciale Jack Smith ha riscritto un decreto d’incriminazione per il tycoon per quanto riguarda il suo tentativo di ribaltare l’esito del voto presidenziale nel 2020. Nel nuovo approccio, Smith ha semplicemente tolto dai capi d’accusa l’interazione con il dipartimento di giustizia che era finito nel mirino della Corte Suprema.
A decidere la tabella di marcia sarà la giudice Tanya Chutkan, di nomina obamiana, che già ha messo le mani avanti dicendo che non si farà dettare i tempi dagli impegni politici dell’ex presidente. Però probabilmente, in caso di ingiunzione a comparire, la cosa verrà fatta in assenza di chi è diventato ufficialmente un candidato alla presidenza e farlo comparire in un’aula nella capitale Washington richiederebbe ingenti misure di sicurezza.
Ad ogni modo ciò non esclude che in qualche modo Trump scelga di apparire ugualmente. Specie se riuscirà a Smith un colpo che può essere mediaticamente notevole: ottenere la deposizione dell’ex vicepresidente Mike Pence che era stato pubblicamente attaccato dall’allora inquilino della Casa Bianca durante l’assalto a Capitol Hill. Improbabile però che ci siano i tempi tecnici per partire con il procedimento vero e proprio. Così come sembra improbabile che parta l’altro procedimento riguardo ai documenti secretati rinvenuti dentro diversi scatoloni nei bagni della residenza di Mar-A-Lago in Florida. In quel caso la giudice distrettuale Aileen Cannon, scelta da Trump, ha cassato il caso seguendo la linea controversa di Clarence Thomas, uno dei rappresentanti più conservatori all’interno della Corte Suprema, secondo cui le nomine dei procuratori speciali dovrebbero essere approvati dal Congresso. E quindi Smith non sarebbe legittimato a procedere. Decisione che ora verrà analizzata dalla Corte federale d’appello di Atlanta. Però prima della fine dell’anno difficile ci possa essere una sentenza e quindi fino a novembre non sarà un pensiero per Trump.
Così come sarà poco preoccupante il processo riguardante le pressioni indebite nei confronti del segretario di stato della Georgia Brad Raffensperger affinché “trovasse” diecimila voti. Nonostante la pistola fumante, rappresentata da un’intercettazione telefonica, il processo si è inabissato tra gli scandali che hanno colpito la procuratrice Fani Willis, accusata di una relazione con uno dei suoi assistenti e di un presunto conflitto d’interesse. Il caso al momento è sospeso perché la Corte di appello statale della Georgia deve decidere sulla rimozione di Willis e il caso si protrarrà presumibilmente nel 2025, dato che la prima udienza è stata fissata a dicembre e notoriamente le tempistiche di questo tribunale non brillano per celerità. E quindi anche qui non ci si pensa.
Eppure, basta solo una potenziale sentenza detentiva nel processo newyorchese, per quanto simbolica, a erodere il già basso consenso di Donald Trump tra gli indipendenti assai restii a votare un condannato. E ricordare il fatto vicino alle elezioni di sicuro, pur rafforzando l’aura di martire contro il cosiddetto “Deep State” che lo perseguiterebbe da tempo. Ad ogni modo l’interesse sul tema processuale di Trump, pur essendo sempre forte, non ha più quella dirompenza della prima metà del 2023 quando sembrava che i giudici potessero cambiare le carte in tavola e rimuoverlo dalla corsa presidenziale. Adesso sembra qualcosa di interessante soltanto per pochissimi. Come se nemmeno le sentenze ne scalfissero la popolarità su una fetta di America che si è trasformata in una sorta di setta incentrata sul suo culto della personalità, cancellando gran parte della storia del conservatorismo statunitense.
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