- Il presidente russo ha sostanzialmente due modelli di riferimento nel caso decidesse per l’intervento armato: quello “georgiano” e al suo opposto quello “ceceno”.
- Quest’ultimo che prevede l’invasione completa e il controllo totale del territorio, è il più costoso e sanguinoso e inoltre si espone alla guerriglia interna e a possibili attentati nelle città russe.
- Quello “georgiano” prevede invece una breve guerra lampo a difesa di minoranze russofone e la convinzione di non avere conseguenze internazionali.
Tutte le immagini della giornata di ieri sembrano testimoniare l’inevitabilità del conflitto. Sul confine fra Russia e Ucraina due soldati di Kiev sono stati uccisi, i separatisti russi chiamano alle armi la popolazione, mentre gli ucraini evacuano le zone contese. Da Mosca Vladimir Putin guarda con soddisfazione su uno schermo nuovi test missilistici, mentre alla conferenza sulla sicurezza di Monaco il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, chiede aiuto e invita gli alleati a imporre sanzioni prima della guerra, non quando ormai sarà troppo tardi.
Modello georgiano o ceceno
Ma cosa ha in mente davvero Vladimir Putin per il futuro dell’Ucraina? Ovviamente nessuno lo sa e anche il presidente americano, Joe Biden, quando dice di saperlo non può che affidarsi alle congetture dell’intelligence. In ogni caso, il presidente russo ha sostanzialmente due modelli di riferimento nel caso decidesse per l’intervento armato: quello georgiano e, al suo opposto, quello ceceno. Quello ceceno che prevede l’invasione completa e il controllo totale del territorio, è il più costoso e sanguinoso e inoltre si espone alla guerriglia interna e a possibili attentati nelle città russe. Il modello georgiano, più probabile in caso di fallimento della diplomazia, prevede un attacco limitato nel tempo e negli obiettivi come quello avvenuto nel 2008 in Ossezia del Ssud e in Abkhazia, ufficialmente a tutela delle minoranze russofone.
L’azione militare russa in Georgia, ex Repubblica sovietica, durò nove giorni, con conseguente sconfitta del governo georgiano allora guidato da Mikhail Saakashvili, un giovane filoamericano che voleva portare il paese nella Nato e che invece alla fine dovette fare le valigie. Putin potrebbe seguire l’esperienza militare dispiegata in Georgia, poi in Moldavia e parzialmente anche in Azerbaijan, quando il paese caucasico ha manifestato apertamente di voler unirsi alla Unione europea.
Lo schema d’intervento prevede la creazione di un “casus belli” con successiva sfida russa all’occidente, sicuri dell’impunità sulla base dell’esperienze passate, per poi bloccare politicamente e militarmente il paese invaso per decenni. Naturalmente, se la diplomazia riesce a fornire le assicurazioni necessarie ai russi per la tutela dei loro interessi, allora non serve l’intervento armato e il Cremlino raggiunge comunque lo scopo che si era prefissato.
Cinismo? No, solo Realpolitik alla Henry Kissinger, l’ex segretario di Stato americano che si è sempre inspirato ai risultati ottenuti dal Convegno di Vienna nel 1815 dopo l’esperienza napoleonica, cioè sulla necessità di un bilanciamento dei poteri in Europa per avere un periodo duraturo di pace.
La diplomazia all’azione
Zelensky a Monaco ha detto che «abbiamo bisogno di garanzie di sicurezza. Dite che la guerra sta per iniziare, allora cosa aspettate? Non ci servono le sanzioni quando inizieranno i bombardamenti». Inoltre il presidente ha affermato che «l’Alleanza atlantica deve mantenere la porta aperta e darci un calendario chiaro e realizzabile un vista dell’adesione» di Kiev. Comunque «l’Ucraina rispetta gli accordi di Minsk ed il cessate il fuoco concordato due anni fa, mentre in risposta riceve bombardamenti. Questo è diventato chiaro negli ultimi due giorni», ha detto. Per Zelensky non importa in quale città avvenga un processo di pace: quello che conta è che devono essere rappresentate Ucraina e Russia «e devono essere ripristinati i nostri confini dell’indipendenza». Proprio mentre parlava a Monaco è arrivata la notizia dei soldati uccisi. Kiev è preoccupata dalle notizie di esodo di massa dalle regioni separatiste, circostanza perfetta per creare l’incidente di cui la Russia sembra sempre più alla ricerca.
L’intervento di Harris
In questa situazione di crisi, per un giorno la vicepresidente Kamala Harris è tornata al centro dell’attenzione. Davanti alla platea di ministri e diplomatici del summit sulla sicurezza di Monaco ha ripescato i toni da inflessibile procuratrice per avvertire il presidente Putin che, se la Russia deciderà di invadere l’Ucraina, la risposta sarà «precisa, dura e unitaria» e i costi economici per Mosca «significativi e senza precedenti». Monaco, nei piani della Casa Bianca, deve rappresentare il punto di svolta per tutti e far vedere che l’occidente è più unito che mai. Forse Putin questo risultato non l’aveva previsto.
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