Il vertice del G7 di Borgo Egnazia si conclude oggi con una posizione ferma sul sostegno all’Ucraina e con l’immagine di Volodymyr Zelensky al fianco dei leader di Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Canada, Stati Uniti, Giappone e Ue: un bel mal di pancia per Vladimir Putin che, fino al 2014, prima che la Federazione russa ne fosse estromessa per l’aggressione alla Crimea, si era seduto al tavolo dell’allora G8.

A ridosso parte, sempre oggi, l’iniziativa promossa dalla Confederazione elvetica, che ha organizzato una Conferenza di alto livello sulla pace a Bürgenstock (Canton Nidvaldo), vicino Lucerna. Da tempo si registra un certo scetticismo su questa iniziativa, un atteggiamento che, per quanto possa essere giustificato da rappresentazioni realistiche sulla mancanza di volontà dell’attore principale, la Federazione russa, a sedersi a un tavolo di negoziati (ma si è proprio sicuri che è così?), non porta a nulla, se non a rassegnarsi alla prosecuzione del conflitto.

La ragione principale di tale sfiducia è appunto la mancata partecipazione della Russia, che peraltro non è stata invitata, e anche perché non interverranno la Cina e altri stati (probabilmente quelli del Brics, Brasile, India, Sudafrica legati in questo consesso alla Russia) ancorché invitati.

L’assenza di Russia e Cina

La questione deve scomporre? Non più di tanto, per varie ragioni. La posizione della Cina, ad esempio, che potrebbe risultare apparentemente ambigua, non sembra essere una netta chiusura.

In un cominciato ufficiale, il ministero degli Affari esteri cinese, pur non aderendo all’iniziativa, ha dichiarato di attribuire «grande importanza» all’organizzazione da parte della Svizzera del primo vertice sulla pace in Ucraina, sebbene l’incontro avrebbe dovuto «consentire una discussione equa su tutti i piani di pace», tenendo conto che «i paesi del Sud del mondo dovrebbero essere inclusi e che anche la Russia deve essere integrata nel processo di pace».

Non è detto che ciò non possa avvenire in una tappa successiva. È scontato infatti che lo sviluppo dell’iniziativa richiederà un confronto successivo con la Federazione russa. E questa dovrà accettarlo, prima o poi, anche se probabilmente per salvarsi la faccia punterà su altri forum con mediatori diversi. Magari uno dei Brics che non interverrà a Lucerna (India, Brasile, Sudafrica), oppure la Turchia e l’Arabia Saudita, o proprio la Cina che, dopo un’iniziale euforia per gli affari condotti in Russia, non gradisce altre conseguenze del prolungarsi del conflitto nocive ai suoi interessi, non ultime le restrizioni alle sue esportazioni annunciate dall’occidente, anche al G7.

Inoltre va rimarcato che il vertice vede la partecipazione di altri 90 stati con un nucleo forte di attori e organizzazioni internazionali, fra cui lo stesso G7, il G20, ancora l’Unione europea e le stesse Nazioni unite.

Per capire i motivi per cui occorra sostenere l’iniziativa, comunque, basterebbe dare una lettura ai documenti ufficiali del governo svizzero. Che si è mosso con molta trasparenza e, già nel sito ufficiale, si pone le domande: ha senso discutere di pace mentre la guerra in Ucraina continua a imperversare? Che cosa significa per la neutralità svizzera se la Svizzera organizza un vertice di pace che esclude la Russia?

I “buoni uffici”

Le risposte sono precisazioni utili che aiutano a dare il senso più compiuto di un inizio di percorso, partendo proprio dal chiarimento della finalità della Conferenza di alto livello.

È lo stesso governo svizzero a puntualizzare che «questo primo vertice sulla pace in Ucraina non deve essere inteso come un forum negoziale, ma come una conferenza di alto livello che serve a creare una base sostenuta congiuntamente per futuri negoziati».

E aggiunge: «È anche chiaro che lo sviluppo di una soluzione duratura richiederà in ultima analisi il coinvolgimento di entrambe le parti». Dirimente è poi un passaggio successivo in cui la Svizzera chiarisce la funzione della Conferenza secondo la formula fondamentale della diplomazia: l’esercizio dei “buoni uffici”.

Nel diritto internazionale e nelle relazioni internazionali, il termine "buoni uffici”, ai sensi della Carta delle Nazioni unite, si riferisce a tutte le iniziative diplomatiche e umanitarie di un paese terzo o di un’istituzione neutrale il cui scopo è risolvere un conflitto bilaterale o internazionale o portare le parti al tavolo dei negoziati.

Vengono perciò chiariti il metodo e l’obiettivo dell’iniziativa. C’è stata una richiesta iniziale dell’Ucraina, per cui la Svizzera ha invitato oltre 160 delegazioni provenienti da tutto il mondo a partecipare all’incontro. Kiev ha presentato la proposta dei “dieci punti”, ma non sarà questa la base di discussione, perché è già passata al vaglio di 80 stati che proporranno un documento di partenza su cui si ragionerà anche su altre formulazioni della pace «basate sulla Carta delle Nazioni unite e sui principi fondamentali del diritto internazionale».

Dare fiducia all’iniziativa

Questo è l’elemento chiave in cui vale la pena cogliere le reali possibilità di un ruolo che potrà essere svolto dalla Conferenza di Lucerna: l’obiettivo degli stati è quello di sviluppare «una interpretazione comune di un percorso verso una pace giusta e duratura in Ucraina».

Si tratta cioè di tracciare la base per un processo di pace tenendo conto delle discussioni che hanno avuto già luogo negli ultimi mesi, che peraltro hanno riguardato anche altri temi collegati al conflitto come quello della sicurezza alimentare o quello della sicurezza nucleare.

Ed è certamente un fatto significativo che, dopo la minaccia del membro del Consiglio di difesa Suslov di «funghi atomici» dimostrativi in aree remote dell’Artico, Putin sia intervenuto – probabilmente sollecitato da Xi Jinping – dichiarando: «Non abbiamo bisogno delle armi nucleari per raggiungere la vittoria finale in Ucraina».

Non meno importanti saranno anche le formulazioni che potranno riguardare il diritto internazionale umanitario, con riferimento all’intento di promuovere una de-escalation della violenza bellica sulla popolazione civile e per lo scambio di prigionieri, e anche una ipotesi di “giustizia riparativa”, in termini di indennizzi e ricostruzione, che potrebbe anche attenuare l’intervento della giustizia penale internazionale.

Una “base legale”

Fermo restando l’obiettivo del cessate il fuoco, è evidente che il tema centrale rimane l’integrità territoriale dell’Ucraina. Putin ieri ha fatto sapere che «non appena Kiev inizierà l’effettivo ritiro delle truppe dalle regioni di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia, e non appena notificherà l’abbandono del suo piano di adesione alla Nato, daremo immediatamente l’ordine di cessare il fuoco e di avviare i negoziati». Putin punta a mantenere Crimea e Donbass, in nome di una supposta «identità russa». Ora si tratta di stabilire se queste pretese siano legittime e se siano in qualche misura negoziabili secondo il diritto internazionale, che però al momento è tutto dalla parte di Kiev.

Con il memorandum di Budapest del 1994 e il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione del 1997 la Federazione russa ha assunto l’impegno di rispettare e proteggere i confini dell’Ucraina, compresa la Crimea. Inoltre, dalla Carta delle Nazioni unite in poi non è possibile legittimare una qualsiasi “guerra di conquista”.

Le occupazioni attuali e quelle dal 2014 di Crimea e Donbass, le consultazioni referendarie e le dichiarazioni di annessione fatte sotto la minaccia dell’occupante non hanno valore legale, come sancito dall’Onu e da corti internazionali.

Si possono legittimare “autonomie” ma non l’intervento armato in favore di minoranze né il diritto alla secessione, perché al di fuori dei casi di «dominazione coloniale, occupazione straniera e regimi razzisti» (I Prot. Conv. Ginevra; Patto sui diritti civili e politici). Né bisogna dimenticare il quadro giuridico sin qui tracciato in seno alle Nazioni unite: posto che al Consiglio di sicurezza dell’Onu la Federazione russa ha potere di veto ed è parte in causa, in supplenza l’Assemblea generale, in una rara «sessione d’urgenza», ha adottato una risoluzione condannando l’intervento russo e imponendo la cessazione delle ostilità. Solo 5 sono stati i voti contrari (Russia, Bielorussia, Eritrea, Corea del Nord e Siria), mentre 141 sono stati i voti favorevoli e 35 gli astenuti, tra cui Cina e India, ma nel sistema onusiano le astensioni hanno valore politico di adesione alla maggioranza.

Ripartire dai negoziati

Che sia la conferenza di Lucerna o qualsiasi altra piattaforma che si vorrà promuovere, è evidente comunque la necessità di presentare a Mosca (e alla Cina che potrà in futuro svolgere un ruolo di mediazione) quello che il “resto del mondo”, ovvero la maggioranza dei paesi che si riconosce nei principi della Carta delle Nazioni unite, intende promuovere come «interpretazione comune» di un processo di pace conforme al diritto internazionale.

Sarebbe bene dunque che tutti – a cominciare dai leader europei – sostenessero la Conferenza di Lucerna e dessero un loro contributo, mettendo da parte l’inutile scetticismo. Almeno si parta dalla designazione di un nucleo ufficiale di mediatori “garanti”, cosa che la comunità degli stati doveva fare da tempo. Se non ci si vuole rassegnare all’escalation delle armi occorre che a ogni iniziativa di pace venga data fiducia. Stavolta è la regola rovesciata dell’“ottimismo della ragione” che deve prevalere sul “pessimismo della volontà”.

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