Nuovi missili anti aerei e caccia, promesse di fondi per continuare a combattere. Quello che Kiev ha portato a casa è più della delusione per una conferenza di pace senza risultati concreti, come quella di Lucerna
Con l’arrivo dei jet F16 e dei nuovi aiuti promessi dagli alleati, «il fattore tempo è passato dalla parte dell’Ucraina». Così il comandante in capo delle forze armate di Kiev, il generale Oleksandr Syrsky, ha salutato ieri la conclusione dell’intensa settimana diplomatica condotta dal presidente, Volodymyr Zelensky.
Il tour diplomatico di Zelensky lo ha visto visitare la Germania dove ha ricevuto la promessa di nuovi missili antiaerei, il G7 in Puglia, dove gli sono stati garantite altre armi, compreso uno squadrone aggiuntivo di F16, il primo che dovrebbe arrivare direttamente dagli Usa, insieme a 50 miliari di euro frutto di un prestito garantito con i proventi degli asset russi congelati in Europa e Stati Uniti. Altri fondi ancora, un miliardo e mezzo, arriveranno a stretto giro per cercare di rimettere in sesto la devastata rete elettrica del paese prima dell’arrivo dell’inverno.
Risultato: oggi in Ucraina si respira se non proprio autentico ottimismo, almeno un’aria meno cupa di quando un mese fa sembrava che le truppe russe fossero sul punto di cingere nuovamente d’assedio Kharkiv, la seconda città del paese. Quant’è giustificato questo clima saranno i prossimi mesi a dircelo.
Pace e guerra
Nell’elenco di questi successi, la conferenza sulla pace di Lucerna, in Svizzera, conclusasi nel fine settimana, quasi scompare. L’impresa di riunire un centinaio di paesi e organizzazioni internazionali, decine di capi di stato e ottenere la firma di quasi ottanta delegazioni su un documento che mette nero su bianco che solo Kiev può rinunciare alla sua integrità territoriale è stata effettivamente un’impresa notevole. “Notevole” o “storica”, come l’ha definita Zelensky, non sono aggettivi che ne certificano anche l’utilità. Putin ha “disinnescato” il vertice annunciando ancora prima del suo inizio le sue condizioni proibitive per iniziare qualsiasi trattativa, una capitolazione che in pochissimi in Ucraina potrebbero accettare.
Per il resto, tutto è andato come ci si aspettava: la Cina non ha partecipato, i Brics si sono astenuti sul documento finale. Ci sono già grandi aspettative per la prossima conferenza, a cui la Russia sarà invitata e che, ha detto il ministro degli Esteri ucraino, Dmitro Kuleba, «sarà quella che metterà fine alla guerra». Ma per ora non c’è né una data né un paese ospite.
Quella che doveva essere la settimana della pace si è conclusa con l’unica certezza che la guerra continua – tre o quattro anni, se necessario, avrebbe detto Zelensky a un diplomatico europeo – e senza diminuire di intensità. Ma, forse, senza nemmeno vederla crescere. Ad esempio, l’invio di truppe in Ucraina con funzioni di addestramento, sponsorizzato dal presidente francese, Emmanuel Macron, è sparito dalle dichiarazioni pubbliche dei leader politici in questa intensa settimana di scambi.
Non è detto che alla fine il ritorno di soldati Nato in Ucraina non si concretizzi, Macron assicurava che il piano era ormai in marcia. Ma il progetto potrebbe essere la prima vittima delle elezioni europee, che hanno punito chi, come Macron, proponeva un’escalation del coinvolgimento europeo. Questa resta la trappola principale per Kiev. Un sostegno armato continuo da parte degli alleati, stabile in termine quantitativi, in grado di garantire la difesa delle attuali linee del fronte al prezzo di migliaia di morti e decine di migliaia di feriti. Non sufficiente, però, a portare la pace che Zelensky cercava in Svizzera.
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