La dichiarazione sottoscritta da 85 tra stati e organizzazioni. Non firmano Brasile, India e Sudafrica. In concreto non c’è molto per costruire un processo di pace che si concretizzi nel breve periodo
La dichiarazione congiunta sulla pace, firmata alla conferenza sull’Ucraina che si è svolta a Lucerna, in Svizzera, da 85 soggetti (stati e organizzazioni internazionali), si basa sostanzialmente sulle risoluzioni adottate dall’assemblea generale delle Nazioni unite e sui principi del diritto internazionale che rimandano a concetti quali l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale di tutti gli stati, inclusa l’Ucraina, all’interno dei loro confini internazionalmente riconosciuti.
De facto la bozza, che circolava già dal 13 giugno scorso e non è stata firmata da alcuni paesi tra cui Brasile, India e Sudafrica, si sofferma solamente su tre punti essenziali: l’inammissibilità della minaccia o dell’utilizzo di armi nucleari nella guerra contro l’Ucraina, la sicurezza alimentare che passa anche attraverso l’accesso della navigazione dei prodotti agricoli ucraini nel Mar Nero e di Azov e, infine, la questione dei prigionieri di guerra e dei bambini ucraini che devono tornare nel loro paese.
Troppo poco per una proposta di pace che si concretizzi nel breve periodo, ma sufficiente per rilanciare la via diplomatica “alla luce del sole” con la Russia in una prossima occasione, magari in Arabia Saudita, secondo diverse indiscrezioni.
Non è tempo
Più incentrata al marketing comunicativo, a una mera passerella di intenti, a una foto istantanea da offrire all’opinione pubblica, questa conferenza difetta l’assenza dell’invasore, dei cobelligeranti e del presidente americano Joe Biden che, insieme al presidente ucraino, dovrebbero ragionare sulle condizioni per una pace «giusta e duratura», lontano dai riflettori.
È evidente che i tempi non sono ancora maturi, ma Volodymyr Zelensky tornerà in patria probabilmente più soddisfatto per quello che ha ottenuto al G7 in Puglia e alla conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina a Berlino.
Superato il veto sull’utilizzo degli asset russi congelati, ottenuta le promesse di altri 50 miliardi di nuovi aiuti europei e di 1,5 miliardi di dollari dall’amministrazione presidenziale americana, il capo di stato ucraino ha elementi concreti per alimentare la speranza di una vittoria nella popolazione e a sollevare il morale dell’esercito sul campo di battaglia.
La proposta russa
La conferenza in Svizzera è comunque servita a Zelensky per dimostrare, anche simbolicamente, la quantità di paesi – molti provenienti dal cosiddetto Sud globale – che hanno aderito all’iniziativa e a spersonalizzare la proposta di pace, che mette in un angolo, almeno per il momento, l’accusa del presidente russo Vladimir Putin dell’illegittimità al potere del suo omologo ucraino a causa del prolungamento della legge marziale che non consente le elezioni presidenziali.
Se per il Cremlino qualsiasi tipo di trattativa che provenga dal presidente ucraino non ha valore giuridico, fatta eccezione per il parlamento ucraino (la Rada), il presidente Putin ha sfruttato abilmente le tecniche di comunicazione politica per spostare l’attenzione dal resort svizzero al dibattito sulla sua ultima offerta – per nulla originale rispetto a quelle del passato – di accordi per una «soluzione pacifica», così efficacemente definita da Zelensky come un «ultimatum».
Le condizioni russe per avviare un negoziato sono il ritiro delle truppe ucraine dalle regioni del Donetsk, del Luhansk, di Kherson e di Zaporozhje, anche in confini amministrativi sinora inoccupati dall’esercito russo, la neutralità del paese con esclusione dalla Nato, ma via libera all’adesione all’Ue, la revoca delle sanzioni e il mantenimento della Crimea alla Federazione russa. In cambio, la Russia garantirebbe il ritiro sicuro e senza ostacoli delle unità ucraine e accordi garantiti tramite trattati internazionali.
Come è emerso dalle dichiarazioni dei leader alleati di Zelensky e di alcuni analisti, la proposta del Cremlino richiede sostanzialmente la «resa» incondizionata dell’Ucraina ed è avanzata in una fase della guerra dove la Russia di Putin è oggettivamente in una posizione di forza rispetto a un anno fa.
Dopo aver superato diverse situazioni destabilizzanti per la coesione del Cremlino, Putin è consapevole che il tempo può essere ancora dalla sua parte: l’economia di guerra e gli interventi della Banca centrale russa stanno evitando il tracollo economico, la sua rielezione e gli avvicendamenti al potere hanno frenato le turbolenze all’interno del suo inner circle e qualche lento, ma progressivo successo ha luogo anche sul terreno militare.
Il presidente russo può, quindi, rilanciare o bluffare sui negoziati perché è probabile che ritenga le iniziative di questi giorni come una mera rassicurazione e solidarietà al presidente ucraino mentre gran parte di questi attori – gli Usa, la Francia, la Germania – sono concentrati, in realtà, sulle proprie sfide interne dall’esito incerto anche sul piano internazionale.
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