Il governo ucraino sta affrontando il più grande rimpasto dall’inizio della guerra. Quasi metà dei 22 ministri e un alto numero di funzionari apicali sono dimissionari, e tra loro sono parecchi i personaggi piuttosto noti e con una buona reputazione presso gli alleati, come il ministro degli Esteri Dimitro Kuleba e il capo della società energetica statale Ukrenergo.

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha giustificato questi radicali cambiamenti nel modo più vago. «Abbiamo bisogno di nuove energie», ha detto, «e questi passaggi ci aiuteranno a rafforzare lo stato». Quello che è sicuro è che, con questi licenziamenti, Zelensky si dimostra sempre più deciso a condurre il conflitto e la ricostruzione del paese affiancato soltanto dalla sua cerchia più stretta di fedelissimi, restringendo al massimo l’influenza che esercitano figure indipendenti e gli alleati internazionali del paese.

Il rimpasto

La decisione di rinnovare gli alti ranghi dell’esecutivo ucraino era attesa da tempo. Già alla fine dello scorso anno, Zelensky e il suo braccio destro, il potente capo di gabinetto Andrii Yermak, avevano fatto trapelare le intenzioni di un massiccio rinnovamento. Questa settimana siamo arrivati al culmine di un processo. Secondo il capogruppo di Servitore del popolo, il partito di Zelensky, David Arakhamia, circa il 50 per cento dei membri del governo sarà sostituito questa settimana e oggi dovrebbero già arrivare le prime nomine.

Oltre al ministro degli Esteri, Kuleba, hanno già annunciato le loro dimissioni una vice primo ministro, il ministro della Produzione strategica, quelli della Giustizia e dell’Ambiente, il capo della società energetica nazionale, Ukrenergo, e quello dell’agenzia del demanio pubblico. Con queste ultime sostituzioni, Zelensky ha rimosso tutti i leader principali e più noti che lo affiancavano all’inizio dell’invasione: dal comandante in capo delle forze armate, Valery Zaluzhny, al ministro della Difesa, Oleksii Reznikov. Resiste soltanto il primo ministro, Denys Shmyhal, le cui dimissioni vengono però date per imminenti ormai da mesi.

Le ragioni

Dopo due anni e mezzo di guerra, l’esecutivo ucraino si trovava nel caos. Come ha fatto notare la deputata dell’opposizione nazionalista, Ivanna Klympush-Tsintsadze, fino a questa settimana il Consiglio dei ministri operava con cinque ministri ad interim, e quindi senza diritto di voto. In altre parole, l’esecutivo operava senza il 20 per cento dei suoi membri, un numero di assenze che rischiava di minacciare il quorum necessario ad approvare provvedimenti. Un intervento per regolare la situazione era necessario.

Non tutti i dimissionari saranno cacciati: per molti il rimpasto sarà un’occasione di passare a nuovi incarichi. Ma per i Kuleba e le altre figure autorevoli e dotate di buone relazioni in Europa e Stati Uniti sembra che non ci saranno nuovi incarichi altrettanto rilevanti. Il ministro degli Esteri ha pagato, scrive il giornalista dell’Economist Oliver Carroll, «uno stile che si accordava poco con quello più eccitabile dell’ufficio di presidenza, da cui, in privato, lo accusavano di non portare avanti la loro agenda».

Discorso simile per il capo di Ukrenergo, Volodymyr Kudrytskyi, dimessosi due giorni fa tra le proteste dei partner del paese e dei membri indipendenti del consiglio di amministrazione della società, che hanno lasciato il loro incarico accusando la decisione di essere politicamente motivata. O come nel caso di Mustafa Nayyem, ministro alla Ricostruzione, cacciato a sorpresa lo scorso giugno con grande fastidio da parte di partner e alleati.

Secondo Carl Bildt, ex primo ministro svedese e oggi copresidente dell’influente think tank Ecfr, il governo ucraino sta «eliminando dal governo e per oscure ragioni» individui capaci che hanno ottenuto la fiducia dell’occidente e così facendo rende l’Ucraina sempre più «isolata». Anche a Kiev alcuni storcono il naso di fronte a questi cambiamenti.

L’opinione pubblica è da tempo insoddisfatta delle performance delle autorità, con i sondaggi di gradimento di governo e parlamento ai minimi dall’inizio del conflitto, mentre anche la fiducia nello stesso Zelensky inizia a traballare. Ma sono altre le figure la cui rimozione viene richiesta dalla società civile più attiva, come giornalisti e attivisti anti corruzione.

Personaggi come il vice capo di gabinetto, Oleh Tatarov, al centro di numerose inchieste per corruzione ma difeso dallo stesso Zelensky, che una settimana fa ne ha esaltato le performance nei primi giorni di guerra, quando, ha assicurato, Tatarov era impegnato «a uccidere ceceni».

Leopoli

Nel frattempo non si ferma l’offensiva aerea russa, che nell’ultima settimana ha già visto alcuni dei più intensi e letali attacchi aerei dall’inizio della guerra. Mercoledì 4 settembre l’attacco più grave ha colpito la città di Leopoli, nell’ovest del paese.

Almeno sette persone sono morte e più di 60 sono rimaste ferite quando un missile ha colpito un’area residenziale. In una delle abitazioni, è stata uccisa una bambina di 7 anni, insieme alle due sorelle e alla madre. Soltanto il padre è sopravvissuto all’attacco.

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