L’aggressione militare, la violazione del diritto: per Mosca è l’unico modo per tenersi stretti i paesi ex sovietici. Ora con la svolta di Trump e la ripetizione ossessiva del pensiero putiniano si compie il tradimento dell’Occidente
Di fronte al tradimento degli Stati Uniti nel terzo anniversario della guerra di aggressione all’Ucraina oggi fanno rabbrividire le pagine che comparvero dopo l’attacco russo del febbraio 2022 sul sito ufficiale del governo di Kiev dedicate al tema «Perché la Russia ha invaso l’Ucraina».
Aggressioni militari
È bene richiamarne i passaggi principali. Dal crollo dell’Unione sovietica, il ritmo del cambiamento è variato da un paese postsovietico all’altro. Alcuni, come la Bielorussia, hanno rallentato e cercato di mantenere la loro eredità sovietica; altri hanno compiuto il salto più avanti e il più rapidamente possibile.
Gli stati baltici e gli ex paesi del Patto di Varsavia si sono scrollati di dosso il loro passato sovietico e hanno intrapreso iniziative per integrarsi con la Nato e l’Ue nei primi anni Novanta, completando il processo nel 2004, poco prima che l’imperialismo russo iniziasse a riemergere. Sfortunatamente, l’Ucraina e la Georgia non avevano ancora completato quel percorso fino ad allora.
Entrambe sono state lasciate al di fuori della comunità euroatlantica, ed entrambe in seguito sono diventate obiettivi di aggressione militare da parte della Russia, a costo di vite umane e territorio. La ricostruzione prosegue ancora più netta: «Sembra che i valori fondamentali e il Dna della società ucraina – l’amore per la libertà, la democrazia, il libero pensiero e i valori europei – siano valori che sono un anatema per Putin: non può né comprendere né tollerare questi valori e così invece sta cercando di distruggerli».
Di conseguenza, l’aggressione militare e la totale violazione di tutte le norme e le leggi internazionali è l’unica cosa che la Russia è in grado di proporre per costringere gli stati indipendenti a muoversi nell’orbita del “mondo russo”, il suo progetto neoimperiale.
I numerosi tentativi di Putin di presentare falsamente la Russia come la “vittima” che si difende da un Occidente “aggressivo”, l’espansione della Nato o le accuse rivolte agli ucraini di essere «nazisti radicali che uccidono cittadini di lingua russa» sono insensati e servono come strumento di propaganda per coprire le sue ambizioni aggressive. In definitiva, «la risposta alla domanda è semplice: un paese che chiude qualsiasi espressione di libertà non potrà mai capire, né convivere accanto a un paese che rappresenta l’essenza stessa della libertà».
Il 21 febbraio 2022 il presidente russo Vladimir Putin tiene un discorso alla nazione che introduce all’incontro con membri del governo in cui si riconosce l’indipendenza delle Repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk. Putin firma il documento in diretta nazionale, accusando il governo di Kiev di sostenere movimenti nazisti, di sviluppare armi nucleari impiegando la tecnologia sovietica di cui sarebbe ancora in possesso e di progettare un’offensiva in Crimea.
Ma il discorso è ben lungo, ed è destinato a passare nella storia delle “false rappresentazioni” che hanno tentato, in maniera scoperta, di giustificare il casus belli. Con un’inedita rivisitazione di Lenin, Putin giunge a imputargli di avere promosso l’“autodeterminazione” delle nazioni all’interno dell’Unione sovietica, specie per l’Ucraina che «è stata creata dalla Russia e ne è parte integrante, per la sua storia e la sua cultura». E ha aggiunto: «L’Ucraina non esiste se non all’interno della Russia».
La pseudo storia di Putin
Nulla di nuovo per chi aveva letto il saggio pseudostorico che lo stesso Putin aveva pubblicato nel luglio del 2021 sotto il titolo “Sull’unità storica di russi e ucraini”. Qui si ritrova tutta l’agiografia dell’impero zarista, dei miti del panslavismo, della “Terza Roma” cristiano-ortodossa, dell’unità linguistica: «Russi, ucraini e bielorussi sono tutti discendenti dell’antica Rus’, che era il più grande stato d’Europa».
Ma proprio sulla cultura della grande Rus’ gli storici più rigorosi sottolineano che questa non aveva nulla a che fare con la Russia di oggi, perché abbracciava la più grande monarchia delle popolazioni slave che comprendeva popolazioni e territori ben più estesi, incluse la gloriosa Polonia e l’Estonia. E soprattutto era la Rus’ nata nella Kiev del Medioevo, per poi diffondersi nel resto dell’est: in sostanza, prima si è affermata Kiev, e solo dopo è venuta Mosca, non il contrario.
D’altro canto Putin si è ben guardato dal richiamare un’altra storia dei rapporti dell’Ucraina con il “mondo russo”: non sempre è stata una storia di fratellanza, perché il potere centrale della Russia in più fasi ha praticato repressioni e una politica di colonizzazione, trasferendovi popolazioni e sfruttando le miniere e i granai ucraini, fino ad arrivare al dramma dell’Holodomór, lo sterminio per fame di milioni di ucraini imposto dalle politiche collettivizzazione di Stalin.
In ogni caso, i riferimenti storici sulle origini e identità delle nazioni sono sempre un terreno minato, specie se usati come pretesto per tentare una destrutturazione dello status quo, inteso questo soprattutto in senso giuridico. Sarebbe come se, richiamandosi alla grandezza dell’Impero romano, del Sacro romano impero, dell’impero napoleonico o alle glorie delle grandi potenze coloniali, qualcuno ancora oggi avesse la pretesa di sostenere rivendicazioni territoriali e identitarie.
«Neonazisti e terroristi»
Putin stesso è stato consapevole dell’inconsistenza delle sue pretese, e allora ha tentato di introdurre l’altro argomento diretto a screditare l’intero apparato statale dell’Ucraina. Putin ha accusato Kiev di ricercare la guerra con la Russia, di avere messo in atto una vera e propria persecuzione – con inclusa l’accusa di “genocidio”, smentita da una pronuncia della Corte internazionale di giustizia – nei confronti delle minoranze russe del Donbass, di fare «peggio dei suoi padroni occidentali», di avere un governo corrotto, «in mano a degli oligarchi antirussi», e a gruppi di «neonazisti e terroristi antirussi».
Da qui dunque l’attacco del 24 febbraio 2022 annunciato come un’«operazione militare speciale» nel Donbass, indicata come un’operazione di “peacekeeping” concordata con i due autoproclamati leader dei territori secessionisti.
La successione degli eventi ha portato presto a intuire le reali intenzioni di Putin. È sfumata la previsione dei più ottimisti secondo cui l’obiettivo di Mosca si limitava alle regioni di Donetsk e Lugansk – circostanza che già di per sé era gravida di conseguenze sul piano del diritto internazionale – per partire con un atto di forza da adoperare come arma nelle trattative che sarebbero state comunque negoziate. Come aveva sostenuto l’intelligence di Biden, Mosca ha esteso subito l’attacco a Kiev, mirando a insediare un nuovo governo filorusso, e puntando all’intera occupazione del Paese.
Ma già si delineava anche qualcosa di più serio: l’iniziativa sull’Ucraina poteva rappresentare una mossa per sondare le reazioni dell’Occidente e valutare come sfruttare le debolezze e le divisioni dell’avversario per meglio realizzare il disegno di riaffermare, con gli stessi metodi, l’egemonia russa nell’area dell’Europa orientale e dell’Asia centrale, almeno in buona parte del compianto territorio dell’ex Unione sovietica.
Oggi dopo tre anni di crimini di guerra per la martoriata Ucraina, l’Occidente è caduto nella trappola: se non sarà convinto con fermezza dall’Europa, Trump svenderà la dignità di un popolo e i principi del diritto internazionale per condividere con Putin il delirio di onnipotenza e la spartizione dell’impero.
(tratto dal libro dell’autore La guerra in Ucraina e le sfide per il nuovo ordine internazionale, Aracne)
© Riproduzione riservata