Questa domenica pomeriggio i delegati ucraini sono arrivati in Arabia Saudita per discutere con gli Stati Uniti, che lunedì separatamente negoziano con la Russia. E se si dovesse dire con quali presupposti parte il round di trattative dal versante ucraino, la risposta sarebbe: sotto schiaffo. Un colpo a Kiev, anzi almeno due – le parole dell’inviato trumpiano e la pioggia di droni russi alla vigilia delle trattative – e un colpo pure agli europei, che oltre a non figurare ai tavoli ufficiali vengono pubblicamente sbeffeggiati: gli Usa derubricano i piani di peacekeeping, a cominciare dal coordinamento svolto dal conciliante Keir Starmer, come tentativi di «darsi un tono».

Donald Trump insiste che solo una persona può far cessare il fuoco («solo io posso farlo)», ma la questione è anche con quale prospettiva per il futuro: ecco perché le aspettative statunitensi e ucraine si divaricano così tanto, tra gli Stati Uniti che dichiarano che «non siamo mai stati così vicini alla pace» (Washington punterebbe a una tregua entro Pasqua, stando a quanto filtra su Bloomberg) e l’Ucraina invece è arrivata ai negoziati senza nutrire grandi speranze.

«Putin non è un bad guy»

«Trump va dicendo che gli sforzi per porre fine alla guerra sono “tutto sommato sotto controllo” poche ore prima di un attacco mortale di droni russi su Kiev»: così, in un titolo, il Kyiv Independent evidenzia il paradosso.

La notte precedente l’incontro ucraino-americano, Mosca ha fatto piovere un numero record di droni Shahed (suicidi) su nord, sud, ovest, centro dell’Ucraina, e poco conta – in termini di segnali politici dal Cremlino – che l’aeronautica militare di Kiev sia riuscita ad abbatterne 97. L’inviato di Trump in Medio Oriente, Steve Witkoff, uomo d'affari che viene dal real estate, amico e compagno di golf del presidente, ha accompagnato il tutto con colpi (verbali) a raffica sia contro i vertici ucraini che contro gli europei.

Non si è accontentato di dire che Putin «non è un cattivo ragazzo» o di esibire quanto Trump abbia apprezzato che il presidente russo abbia «pregato per lui» quando un proiettile ha raggiunto l’orecchio dell’allora candidato. Non gli è bastato svergognare Volodymyr Zelensky dichiarando ai microfoni di Tucker Carlson che «c’è un accordo» per elezioni che ne segneranno la fine politica; notizia che corrisponde ai piani putiniani di avere un presidente fantoccio, che prelude a un accordo nel quale la Russia mangerà territori ucraini e che circolava già sotto traccia da settimane, ma che girata in quel modo («c’è l’accordo» con gli ucraini) delegittima ulteriormente Zelensky e l’attuale squadra negoziale. (Nel momento in cui scriviamo, dopo oltre 24 ore da quella uscita di Witkoff, non risultano smentite da Kiev).

Gli europei sbeffeggiati

«Ai leader europei avevo detto che non devono incoraggiare Zelensky a pensare che il loro aiuto sia incondizionato, la Russia è una potenza nucleare e basta un’arma tattica… Non possiamo permetterlo», stando a Witkoff.

In un’intervista uscita sul New York Times questa domenica, Keir Starmer racconta che dopo l’umiliazione di Zelensky nello Studio Ovale ha inviato il suo consigliere per la sicurezza a Kiev per «istruire il presidente ucraino su come ricucire i rapporti con Trump». Ha insomma lavorato per ammorbidire Zelensky.

Ma questo atteggiamento conciliante verso gli Usa non tutela Starmer dai colpi, anzi: l’inviato trumpiano ha demolito lui e i piani europei. La visione starmeriana che «tutti debbano essere Churchill è semplicistica». «Penso che sia assurdo che i russi marcino attraverso l’Europa: ora abbiamo la Nato». Ma quel che più conta: i piani ai quali lavora il premier britannico sono «a combination of a posture and a pose», un modo per darsi un tono. Ancora questa domenica, Starmer continuava a parlare coi premier (ieri con quello olandese) della “coalizione di volonterosi” oltre a disporre un’inchiesta sul blackout che ha colpito l’aeroporto di Londra.

Piani a breve termine

Stando a Witkoff, che si aspetta «progressi», la scaletta di azione è questa: un cessate il fuoco per le infrastrutture energetiche e «il ripristino della moratoria del Mar Nero, che sarà implementata nelle prossime settimane ed è ora parte della conversazione», con «il fine ultimo un cessate il fuoco di 30 giorni nel quale discutere quello definitivo, dove definire tutte le condizioni». A cominciare dalla questione della cessione di territori, «vero elefante nella stanza» dei negoziati.

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