È un esecutivo più ordinato e razionale quello che esce dal rimpasto in corso a Kiev, ma è anche molto più sbilanciato sul gabinetto presidenziale, l’organo che dipende direttamente dal presidente Volodymyr Zelensky e dal suo braccio destro, l’influente Andrii Yermak.

La reazione al rinnovamento ministeriale è stata negativa, in patria quanto all’estero. Alleati internazionali, giornalisti e figure dell’opposizione hanno espresso vari gradi di insoddisfazione, arrivando nei casi più estremi ad accusare Zelensky di aver concentrato ancora più potere nella cerchia dei suoi fedelissimi. Alcuni hanno provocatoriamente paragonato la nuova configurazione del poter a Kiev a una «verticale», come quella creata da Putin in Russia, o a un ritorno all’Unione sovietica e al suo Politburo.

Identikit di un governo

Il rimpasto era atteso da tempo e già nei mesi scorsi c’erano già state parecchie sostituzioni: la più nota, la rimozione del comandante in capo delle forze armate, Valery Zaluzhny. Zelensky ha ripetuto anche in questi giorni che diversi collaboratori erano ormai stanchi del loro ruolo e che il governo aveva bisogno di «nuove energie» per rispondere alle sfide del conflitto. Di autentiche novità e di nuovi nomi, però, se ne sono visti pochi in questo giro di nomine. A partire dalla figura che, nominalmente, del governo rimane il capo: il primo ministro Denis Shmyal che, a sorpresa, conserva per il momento la sua posizione.

Zelensky vorrebbe sostituirlo da tempo, ma rimuovere il primo ministro significherebbe automaticamente la caduta dell’intero governo. Nominarne un successore dovrebbe essere facile, in teoria, ma oggi, a causa di defezioni, dimissioni e arresti, la coalizione che sostiene il governo non è sicura di ottenere la maggioranza, né può garantire il quorum in votazioni chiave. Per questo, la rimozione del primo ministro e il voto in blocco di un nuovo governo è stata per il momento accantonata.

Parlando dei cambiamenti, invece, un passaggio indicativi della situazione è quello di due ministri che passeranno direttamente dal consiglio dei ministri all’ufficio presidenziale, mantenendo però le stesse deleghe che avevano quando erano a capo dei rispettivi dicasteri. Si tratta dell’attuale ministro alla Produzione di armamenti, Alexander Kamyshin, e della ministra ai Territori occupati, Iryna Vereshchuk.

Secondo i commentatori politici ucraini, quella che in tempo di pace avrebbe costituito una diminuzione di ruolo, oggi è invece una promozione, poiché consentirà ai due di essere più a contatto con il presidente e il suo gabinetto, attuale centro direzionale della politica.

Percorso inverso invece per il nuovo ministro degli Esteri, Andriy Sybiha, confermato ieri dal parlamento nel suo nuovo ruolo. Sybiha aveva svolto per anni il ruolo di consigliere diplomatico del presidente prima di essere promosso a viceministro lo scorso aprile, nomina che aveva fatto sospettare a molti che il ministro titolare, Dmitro Kuleba, avesse ormai le settimane contate.

Kuleba è la vittima più illustre del recente rimpasto. Diplomatico di carriera, ministro da quattro anni, avrebbe pagato la sua autonomia politica dal capo di gabinetto presidenziale Yermak. Il suo ruolo, che gli consentiva di aver un dialogo diretto con figure importanti, come il capo del dipartimento di Stato americano, Antony Blinken, non poteva essere lasciato a una figura non leale al 100 per cento, hanno commentato molti a Kiev.

Infine, una serie di funzionari di carriera senza particolari trascorsi politici saranno nominati ai vertici dei ministeri dei Veterani, Sport e giovani, Agricoltura e Cultura, che erano da parecchi mesi gestiti ad interim. Il ministero dello Sviluppo sarà diviso in due dicasteri nel prossimo futuro.

Interviste a confronto

Ieri Zelensky è stato intervistato dalla rete americana Nbc e ha parlato a lungo dell’operazione a Kursk e del futuro della guerra. Dell’incursione ha affermato che si è trattato di una mossa preventiva, per evitare l’occupazione russa della regione di Sumy. Ha anche confermato che gli alleati non erano stati informati dell’attacco, dicendo che il fallimento dell’offensiva della scorsa primavera sarebbe da attribuire proprio alle fughe di notizie. Secondo Zelensky, la Russia avrebbe trasferito «oltre 60mila soldati» per chiudere la breccia di Kursk, sei volte il numero dei soldati ucraini impegnati e più del doppio delle stime che circolano, in cui si parla di un massimo di 30mila soldati. Infine Zelensky è tornato a parlare del suo piano per far concludere la guerra. Un piano che include anche l’incursione a Kursk e che sarà presentato alla prossima conferenza di pace a cui, ha detto, anche la Russia dovrà essere invitata.

Dall’estremo oriente della Russia, gli ha fatto eco il presidente russo Vladimir Putin, ospite al forum economico di Vladivostok. Parlando della situazione militare, Putin ha detto che a causa del trasferimento di truppe ucraine per sostenere l’offensiva di Kursk, il fronte del Donbass potrebbe crollare.

La riconquista di questa regione, ha aggiunto, rimane la priorità numero uno delle forze armate russe, ma nonostante questo l’esercito ha anche iniziato a spingere gli ucraini fuori da Kursk. Infine, il presidente russo si è concesso qualche ironia sulla campagna elettorale americana, affermando che la Russia sostiene la candidata democratica Kamala Harris: «Ride in un modo cosi espressivo e contagioso, il che vuol dire che le cose le vanno bene».

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