La geografia politica dello spazio sta cambiando. Se fino a poco tempo fa le missioni erano responsabilità delle agenzie nazionali e seguivano delle regole - dettate anche dal Trattato internazionale per lo spazio extraterrestre -, l’emergere di nuovi soggetti privati, per primo Elon Musk, sta mettendo in evidenza un vuoto di legislazione.

Anche perché «adesso che Musk sovraintende sulle agenzie federali, compresa la Nasa, c’è un evidente conflitto di interessi», sottolinea Umberto Guidoni, astronauta, astrofisico ed ex eurodeputato che sul proprio sito interviene spesso sul presente dell’esplorazione spaziale, dalla mancanza di trasparenza dei privati alle preoccupazioni che suscita il ruolo di Musk.

Nello spazio si è aperta una nuova stagione, un cambio di rotta dopo 25 anni orientati alla cooperazione planetaria attraverso la Stazione spaziale internazionale (Iss), in cui convivono le agenzie spaziali di Stati Uniti, Russia, Europa, Giappone e Canada.

Una collaborazione che con l’invasione russa dell’Ucraina, in un processo specchio per cui lo spazio riflette la Terra e ne diventa un punto di osservazione privilegiato, si è incrinata. Un progetto contro cui Musk si è scagliato, dichiarando che è giunto il momento di chiuderla per puntare su Marte. E che Guidoni ha visto da vicino come primo astronauta europeo a bordo della Iss nel 2001.

Dottor Guidoni, lei ha parlato di “Far West spaziale” per descrivere le sfide del presente nello spazio: perché?
Siamo testimoni di un cambiamento abbastanza rapido nelle missioni spaziali, che prima erano solo compito delle agenzie spaziali nazionali e adesso vedono un nuovo soggetto che sono i privati. In particolare Elon Musk con SpaceX. Questo ha portato a un’accelerazione dello sviluppo di tecnologie ma ha messo in evidenza una carenza di legislazione.

Finché i lanci erano gestiti da enti pubblici più o meno tutti obbedivano alle stesse regole. Con l’avvento dei privati c’è il rischio che, guardando anche al profitto immediato, possano se non violare le regole, quantomeno applicarle in maniera diversa. Questo finora non era sembrato un problema così importante ma adesso che Musk sovraintende su tutte le agenzie federali, compresa la Nasa, c’è un evidente conflitto di interessi, proprio perché manca una legislazione

Che problemi stanno emergendo?
Musk con Starlink ha messo in orbita 6mila satelliti, arriverà a 40mila. Siamo passati da qualche centinaio a decine di migliaia, un salto senza regole, che ha già avuto impatti sulle osservazioni astronomiche. Avendo una vita di 4 o 5 anni, dovranno poi essere fatti rientrare nell’atmosfera e questo porterà a un nuovo problema anche dal punto di vista degli inquinanti. E i danni, oltre che sulla Terra, li puoi fare anche nello spazio producendo collisioni con altri veicoli.

È già successo: lo Starship di SpaceX è esploso e i detriti sono finiti sulla Terra, creando problemi di sicurezza nel Mar dei Caraibi. Non è un problema americano, riguarda tutti. Musk è la punta dell’iceberg, ci sono anche Bezos e altri. Lo spazio sta diventando trafficato. Non si possono lasciare in mano a Musk le regole del gioco.

Stiamo andando verso la privatizzazione dello spazio?
Senz’altro. Credo che l’urgenza stia proprio in questo, evitare che avvenga in un regime in cui il più forte ha ragione a prescindere. Ci devono essere quelle salvaguardie etiche, ambientali e di sicurezza che sono essenziali per qualsiasi attività che si svolge sulla Terra e nello spazio.

Spesso la politica arriva tardi, quando i grandi gruppi hanno già messo in campo delle tecnologie. A quel punto la legislazione è vincolata da situazioni già reali. Dobbiamo evitare che nello spazio succeda questo. Penso che sia un bene l’iniziativa privata, ma può diventare un pericolo se lasciata in mano a pochi. Soprattutto perché adesso mi sembra che gli interessi americani e quelli europei stiano divergendo. L’Europa dovrebbe avere interessi a stabilire delle regole ben precise.

Lei diceva che l’esplorazione spaziale è uno dei migliori esempi della cooperazione planetaria...
Questa era la mia battuta preferita. Dicevo che quando siamo andati sulla Luna gli americani hanno lasciato una targa che diceva: «Siamo venuti in pace, a nome di tutta l’umanità». Non era vero nel 1969, adesso forse lo diventerà per la prossima volta che ci torneremo. Sono stato sulla Stazione spaziale internazionale proprio agli inizi della sua vita. Era partita come un esperimento tecnologico ma anche politico. Perché per la prima volta erano insieme russi e americani e si sono unite le loro tecnologie.

Poi purtroppo sono stato smentito: l’invasione russa dell’Ucraina ha rotto quell’equilibrio. Ora la Iss continua a funzionare perché non può fare altrimenti, però per il futuro gli americani hanno un piano loro per tornare sulla Luna. I russi, al momento, sembra che andranno con i cinesi. Anche l’Europa aveva dei programmi con i russi e sono stati interrotti. Quell’unità che si è avuta per i 25 anni della Iss si è incrinata.

E l’idea di Musk di conquistare Marte?
Credo che andare su Marte sia nel destino dell’umanità ma non ci si andrà nei tempi che dice Musk, cioè quattro anni, che mi sembra pura fantascienza. Però nell’arco di venti o trent’anni secondo me accadrà. Andiamo su Marte per tante ragioni, perché fa parte della nostra specie andare oltre i confini conosciuti. Però ci dovremmo andare perché abbiamo imparato la lezione del pianeta. Andare su Marte perché abbiamo distrutto la Terra non mi pare una buona idea. Andiamo lì per imparare invece a vivere in un modo più efficiente, perché Marte è un pianeta difficile, con poche risorse per la vita.

Lo spazio è una palestra. Come tale va visto, non come qualcosa per conquistare nuovi mondi, ma come un mezzo per sviluppare tecnologie che poi tornano sulla Terra - il cellulare viene dai programmi dell’Apollo -, un mezzo che ci permette di ampliare gli orizzonti sia dal punto di vista conoscitivo che economico, perché ci sono risorse importanti.

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