- Il mese scorso, le relazioni tra l’Asean e la Repubblica popolare cinese sono state elevate a «partnership strategica onnicomprensiva».
- Pechino ha promesso ai suoi vicini 1,5 miliardi di dollari per l’assistenza allo sviluppo e la lotta al Covid-19 nei prossimi tre anni, e 150 milioni di dosi di vaccino più 5 milioni di dollari per il loro fondo anti pandemico.
- Fino al 16 dicembre, il segretario di Stato americano Antony Blinken sarà nel sud-est asiatico per promuovere l’idea di “Free and open Indo-Pacific”, rafforzare i legami commerciali e politici con questi paesi e discutere della crisi in Myanmar.
La Repubblica democratica popolare del Laos ha appena celebrato il quarantaseiesimo compleanno con l’inaugurazione del suo primo treno ad alta velocità: 414 chilometri di binari (oltre la metà dei quali su 170 ponti e all’interno di 72 gallerie, nell’unico paese del sud-est asiatico senza sbocco sul mare) che collegano la capitale Vientiane, al confine con la Thailandia, alla città di Boten, al confine con la provincia cinese dello Yunnan.
Completata in cinque anni, grazie alla nuova ferrovia si copre in tre ore un tragitto per il quale ne occorrevano 18. Il costo dell’opera, 6 miliardi di dollari, è a carico della Laos China Railway Company (70 per cento cinese e 30 per cento laotiana).
E quando cinesi e thailandesi l’avranno collegata alle rispettive reti, sarà possibile andare in treno da Bangkok a Kunming.
Il mese scorso è entrata in servizio la prima metropolitana di Hanoi (9 milioni di abitanti, quasi 6 milioni di motocicli in circolazione e indice di qualità dell’aria spesso “malsana”), 13 chilometri di percorso, dal centro alle aree orientali più popolose della capitale del Vietnam. Un’opera “made in China”, portata a termine (nel doppio del tempo e dei costi previsti) da China Railway Group.
In Cambogia è atteso per la fine dell’anno prossimo il completamento della prima superstrada del paese, la Phnom Penh-Sihanoukville: 190 chilometri e due corsie per senso di marcia dalla capitale al porto ad acque profonde nel sud-ovest del paese, alla quale sta lavorando China Road and Bridge Corporation.
L’elenco potrebbe continuare con decine infrastrutture che – nell’ambito della nuova Via della Seta (Bri) – le aziende di stato cinesi hanno completato o stanno ultimando nei dieci paesi riuniti nell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (Asean).
Il mese scorso, le relazioni tra l’Asean e la Repubblica popolare cinese sono state elevate a «partnership strategica onnicomprensiva». Pechino ha promesso ai suoi vicini 1,5 miliardi di dollari per l’assistenza allo sviluppo e la lotta al Covid-19 nei prossimi tre anni, e 150 milioni di dosi di vaccino più 5 milioni di dollari per il loro fondo anti pandemico.
D’altro canto l’Asean è interessata a una sinergia tra la Bri e il suo “Master plan for Asean connectivity 2025”, che punta all’integrazione regionale attraverso la costruzione di infrastrutture, l’innovazione digitale, la logistica, l’armonizzazione di standard e regolamenti, e la mobilità delle persone.
Con un interscambio pari a 731 miliardi di dollari, nel 2020 l’Asean è diventata il primo partner commerciale della Cina.
Una parte dei sui membri (Filippine, Vietnam, Malesia, Brunei) ha con la Cina contenziosi territoriali nel Mar cinese meridionale, che Pechino mira a smorzare intensificando anche le relazioni politiche, di sicurezza, marittime e gli scambi tra popoli con il blocco.
I legami di Pechino sono più forti con i paesi continentali del sud-est asiatico, due dei quali (Laos e Vietnam) sono governati da partiti comunisti, e meno con quelli insulari.
La svolta della Rcep
Un ulteriore avvicinamento dell’Asean alla Cina è atteso con l’entrata in vigore, il 1° gennaio 2022, della Regional comprehensive economic partnership (Rcep), l’accordo di libero scambio tra l’Asean e la Cina, il Giappone, la Corea del Sud, l’Australia e la Nuova Zelanda fortemente voluto da Pechino, che ha chiesto di aderire anche al trattato di libero scambio al quale per l’Asean partecipano Vietnam, Malesia, Singapore e Brunei, e dal quale gli Usa si sono ritirati con Donald Trump.
Nella più ampia regione del Pacifico occidentale gli Stati Uniti e i loro alleati promuovono la strategia “Free and open Indo-Pacific” (Foip), anche attraverso le cooperazioni militari nate negli ultimi anni: il Quad (Giappone, India, Stati Uniti, Australia) e Aukus (Australia, Regno Unito, Stati Uniti).
L’Asean, nella quale, da decenni, il primo investitore in infrastrutture resta il Giappone, è finita al centro della competizione tra le grandi potenze.
A chiarire il perché sono i suoi numeri: con una popolazione di 654 milioni di persone (più dell’Ue e il doppio degli Usa) e un prodotto interno lordo quintuplicato negli ultimi 20 anni (da 600 a 3mila miliardi di dollari).
Questi paesi – nei quali le multinazionali stanno trasferendo dalla Cina parte della produzione – sono destinati a diventare dei ricchi mercati di consumatori.
Il viaggio di Blinken
Da oggi fino al 16 dicembre, il segretario di Stato americano Antony Blinken sarà in Indonesia, Malesia e Thailandia per promuovere l’idea di “Free and open Indo-Pacific”, rafforzare i legami commerciali e politici con questi paesi e discutere della crisi in Myanmar.
Il presidente Joe Biden ha annunciato il coinvolgimento dell’Asean in un nuovo “Indo-Pacific economic framework” incentrato su economia digitale ed energie pulite. Il segretario di Stato Usa sbarcherà nel sud-est asiatico proveniente dal G7 di Liverpool, al quale per la prima volta hanno partecipato alcuni membri dell’Asean, oltre a India, Australia e Corea del Sud.
Gli Stati Uniti hanno finora subìto l’iniziativa cinese: le incertezze delle amministrazioni Obama e l’isolazionismo di Trump hanno permesso a Pechino di tessere indisturbata la sua tela di accordi di libero scambio, aiuti, infrastrutture.
Ma negli ultimi sei mesi si sono fatti vedere nella regione la vicepresidente Kamala Harris, il segretario alla Difesa Lloyd Austin e la sottosegretaria di Stato Wendy Sherman.
È proprio a partire dal sud-est asiatico che potrebbe essere messo alla prova il programma di Biden “Build back better world” (B3W), che si propone come una «partnership infrastrutturale guidata da valori, trasparente e con standard elevati» alternativa alla nuova Via della Seta.
In alcuni casi nell’Asean la Bri in effetti ha comportato sprechi, ritardi e aumento del debito per i paesi destinatari delle opere. Ma le compagnie cinesi sostenute dallo stato hanno saputo far fronte rapidamente e a prezzi migliori della concorrenza a una domanda (un vero boom infrastrutturale) trainata dai piani di stimolo post pandemico varati dai governi della regione.
Un trend destinato a proseguire in futuro: secondo le stime della Banca asiatica di sviluppo (Adb), l’Asean avrà bisogno di investimenti infrastrutturali per 2.760 miliardi di dollari tra il 2016 e il 2030. In teoria c’è spazio per tutti: giapponesi, cinesi, americani e anche per l’Unione europea, che l’anno scorso ha sottoscritto con l’Asean una «partnership strategica».
Dagli Usa più armi che soldi
Washington però percepisce la Cina soprattutto come uno sfidante la sua egemonia nel Pacifico occidentale. Le riunioni di Blinken «si concentreranno sul rafforzamento dell’infrastruttura di sicurezza regionale in risposta al bullismo della Cina nel Mar Cinese meridionale», ha spiegato ai giornalisti Daniel Kritenbrink, assistente del segretario di Stato per gli affari dell’Asia orientale e del Pacifico.
A Jakarta, Blinken terrà un discorso sul significato della regione indo-pacifica, mentre a Kuala Lumpur affronterà la necessità che l’area resti «libera e aperta». Kritenbrink ha aggiunto che Blinken discuterà di «libertà di navigazione e libertà di sorvolo» e delle «azioni unilaterali della Cina nel fiume Mekong», a monte del quale le compagnie cinesi stanno costruendo dighe che si ripercuoterebbero sui livelli delle acque e sulla pesca nei paesi vicini.
«Ci opponiamo a qualsiasi azione della Repubblica popolare cinese o di qualsiasi altro attore volto a destabilizzare la regione», ha affermato Kritenbrink, secondo il quale tra Usa e Asean c’è «convergenza in termini di visione che abbiamo per il tipo di regione in cui vogliamo vivere. Una regione libera da coercizione, una regione in cui i grandi paesi non prevaricano i deboli e dove tutti i paesi rispettano le regole».
Ma i governi dell’area non vogliono essere costretti a schierarsi con Pechino o con Washington e non condividono l’approccio da Guerra fredda dell’amministrazione Biden nei confronti della Cina, che con la pandemia e la Rcep è diventato un mercato sempre più importante per i loro prodotti oltre che un fornitore di investimenti infrastrutturali e greenfield. E, al momento, i frutti del piano statunitense B3W o del nuovo “Indo-Pacific economic framework” non sono ancora maturi.
Come ha scritto su The Wire China Michael Green del Center for Strategic and International Studies, «è come cenare per il Ringraziamento senza tacchino, solo salsa di mirtilli e ripieno. Nel frattempo, la Cina sta offrendo ai nostri alleati una bistecca».
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