- Negli Stati Uniti l’interruzione volontaria di gravidanza non è più oggetto di un diritto costituzionalmente garantito. Secondo la Corte suprema, pure un diritto non menzionato testualmente dalla Costituzione può essere riconosciuto, ma solo ove risulti profondamente radicato nella storia della nazione.
- I giudici hanno affermato che «l’autorità di regolamentare l’aborto deve essere restituita al popolo e ai suoi rappresentanti eletti». La disciplina tornerà così a essere un patchwork nei vari stati, discriminando le donne che vivono in posti dove la loro libertà di scelta non è garantita e non hanno la possibilità di andare altrove.
- Nell’opinione concorrente, il giudice Clarence Thomas ha sostenuto che ora dovranno essere riconsiderati una serie di casi trattati dalla Corte, nei quali è stato tutelato il diritto alla contraccezione, all’attività sessuale tra persone dello stesso sesso, al matrimonio omosessuale.
Negli Stati Uniti l’interruzione volontaria di gravidanza non è più oggetto di un diritto costituzionalmente garantito. Com’è noto, lo scorso 24 giugno la Corte Suprema degli Stati Uniti (Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization) ha ribaltato la precedente pronuncia del 1973 (Roe v. Wade), a seguito della quale era stata riconosciuta la tutela dell’aborto in tutti gli stati americani. La nuova sentenza ha una portata dirompente, che rischia di travolgere altri diritti attraverso decisioni future.
Il diritto alla privacy
Per spiegare la sentenza Roe v. Wade serve prendere le mosse da una pronuncia di anni prima (Griswold v. Connecticut). Nel 1961 Estelle Griswold, direttrice esecutiva di Planned Parenthood League in Connecticut, è stata accusata di fornire ai pazienti indicazioni su metodi anticoncezionali, violando così una legge statale che li proibiva dal 1879.
Nel 1965 la Corte suprema ha ritenuto che tale legge fosse incostituzionale, poiché violava la privacy, intesa come libertà di determinarsi secondo la propria volontà nella sfera privata, senza intromissioni da parte pubblica. Il diritto alla privacy, non espressamente menzionato nella Carta dei diritti, è stato individuato tra le pieghe del I, del III, del V e del IX emendamento, e la relativa tutela è stata ricondotta al cosiddetto substantive due process di cui al XIV emendamento. Cioè all’idea che esistono libertà così preziose da non poter essere intaccate dal potere pubblico.
Da quel momento la privacy, assurta al rango costituzionale di garanzia della libertà personale rispetto all’azione dello stato, ha rappresentato una sorta di base giuridica utile a fornire tutela a diritti non espressamente contemplati dalla Carta.
La sentenza Roe v. Wade
Con la sentenza Roe v. Wade, la Corte suprema ha affermato il diritto costituzionale all’interruzione volontaria di gravidanza. Jane Roe era lo pseudonimo usato da una donna che aveva fatto ricorso contro la legge del Texas che vietava l’aborto. La Corte distrettuale dello stato ha dichiarato l’incostituzionalità delle norme della legislazione penale texana, in quanto violava i diritti della donna garantiti dal IX e XIV emendamento.
Questa conclusione è stata ribadita dalla Corte Suprema, la quale sostenne che il diritto alla privacy - da intendersi, sulla base della citata sentenza Griswold, come libertà su cui il potere pubblico non può incidere - include pure «la libertà della donna di interrompere la gravidanza». Dunque, dal 1973 il diritto all’aborto è tutelato in tutti gli Stati Uniti, se pure non in forma assoluta, bensì con la possibilità di assoggettarlo ad alcune condizioni dopo il primo trimestre.
Successivamente, nel 1992, la sentenza Planned parenthood of Southeastern Pa. v. Casey ha stabilito che nessuna norma deve comportare un ingiusto peso per la donna che intende abortire, superando l’impostazione basata su una diversa disciplina nei vari trimestri a favore della cosiddetta soglia di vitalità del feto (viability), cioè la capacità di vita autonoma fuori dall’utero materno.
La nuova sentenza
Nel 2018, il governatore del Missisippi aveva firmato una legge (Gestational Age Act) che, in contrasto con le sentenze Roe e Casey, vietava gli aborti praticati dopo le prime 15 settimane di gravidanza, tranne casi di emergenza medica o grave anomalia fetale.
La Corte federale distrettuale aveva sospeso l’applicazione della legge e la Corte d’appello ne aveva confermato il giudizio, ma la Corte suprema ha rovesciato l’impostazione, ritenendo costituzionalmente legittima la legislazione del Mississippi. L’opinion, dopo aver riconosciuto che l’interruzione della gravidanza «pone una profonda questione morale su cui i cittadini americani mantengono opinioni nettamente contrastanti», parte dalla considerazione che la Carta fondamentale non contiene alcun riferimento testuale al diritto all’aborto.
Si tratta della teoria cosiddetta “originalista”, per cui le leggi, compresa la Costituzione, devono essere interpretate secondo il loro significato originario. I giudici non hanno negato la possibilità di tutelare diritti ulteriori rispetto a quelli espressamente enunciati nella Carta, riconducendoli alla nozione di «libertà» intangibile di cui al XIV emendamento, ma hanno reputato che il diritto all’aborto non possa rientrare tra di essi.
Ciò in quanto il parametro giuridico da cui si è fatta discendere la sua “esistenza”, cioè la tradizione e la storia costituzionale della nazione, non ha fondamento. Infatti, fino alla sentenza Roe v. Wade del 1973 «non sussisteva alcun supporto nel diritto nord americano per il diritto all’aborto e numerosi stati lo qualificavano piuttosto quale reato»; negli altri stati poteva essere praticato esclusivamente in casi come deformazione del feto, stupro, pericolo di vita per la madre; e solo in pochissimi stati bastava la richiesta della donna.
Pertanto, la Corte ha statuito che «l’autorità di regolamentare l’aborto deve essere restituita al popolo e ai suoi rappresentanti eletti».
Conseguenze della nuova sentenza
«La sentenza Roe v. Wade è sempre stata platealmente errata» (egregiously wrong) – ha scritto il giudice conservatore Samuel A. Alito – rappresenta un «abuso di potere giudiziale» e, pertanto, nonostante il principio dello “stare decisis”, cioè la vincolatività del precedente, può essere annullata (overruled).
Di per sé, i precedenti possono sempre essere rovesciati, anche a distanza di molto tempo. Tuttavia, Alito ha sconfessato ben due sentenze – Roe e Casey, ritenute «profondamente dannose», oltre che sbagliate – rincarando la dose con l’affermazione che, nel determinare quali libertà rientrino sotto la protezione del XIV emendamento, i giudici costituzionali debbono «guardarsi dalla naturale tendenza umana a confondere quello che l’emendamento effettivamente garantisce con ciò che è invece l’ardente desiderio di ognuno circa la libertà di cui gli americani dovrebbero godere».
Ora ci sarà meno libertà per tutti, se i legislatori non difenderanno i diritti individuali. E non solo riguardo alla disciplina dell’aborto, che tornerà ad essere un patchwork tra i diversi stati, com’era prima della sentenza Roe, discriminando le donne che vivono in posti ove la loro libertà di scelta non è garantita e non hanno la possibilità di andare altrove.
Sono a rischio anche altri diritti. Infatti, nella opinione concorrente, il giudice Clarence Thomas ha affermato che dovranno essere riconsiderati una serie di casi trattati dalla Corte, «inclusi Griswold, Lawrence e Obergefell».
Griswold è la citata pronuncia sul diritto alla contraccezione; Lawrence ha reso legale l'attività sessuale tra persone dello stesso sesso; Obergefell ha tutelato il matrimonio omosessuale. È vero che Alito ha distinto i diritti di libertà che si risolvono in una sfera individuale o consensuale (come sposarsi con chi si vuole, usare contraccettivi, dare ai figli una certa educazione) rispetto all’aborto, che coinvolge un altro essere, comunque considerato («vita potenziale» o «essere umano ancora non nato»). Ma, di certo, per il futuro molti diritti non potranno più essere considerati scontati.
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