«La nuova guerra politica americana mette i giovani uomini contro le giovani donne». Questo titolo, pubblicato a fine luglio sul Wall street journal, evidenzia un tema centrale in vista delle elezioni presidenziali di inizio novembre: gli uomini e le donne under trenta tendono a votare in modo diverso.

Ma non è sempre stato così, secondo gli analisti, infatti, c’è una polarizzazione che ha portato gli elettori verso destra e le elettrici verso sinistra e che è aumentata negli ultimi anni soprattutto dopo il Me too nel 2017 e il rovesciamento della Roe v. Wade nel 2022. Causa di questa divisione, scrivono gli autori dell’articolo Aaron Zitner e Andrew Restuccia, sarebbe da indagare anche nella figura di Donald Trump.

Nella campagna del 2016 il suo atteggiamento sessista aveva rischiato di allontanare le donne e anche oggi questa resta un’ipotesi valida. Il suo elettorato di riferimento è chiaro: «Ha da tempo adattato parte della sua campagna per attirare gli uomini più giovani con manifestazioni di virilità».

Shawn McCreesh sul New York Times parla dei «male fans» di Trump, definendoli «il suo elettorato più appassionato». Raccontando la prima uscita del candidato dopo la condanna per il pagamento illecito all’attrice Stormy Daniels, ha descritto i presenti come una platea «diversificata in ogni modo – etnia, età, nazionalità – tranne che per il sesso. Era quasi interamente maschile. Padri e figli. Uomini da soli. Uomini in giacca e cravatta. Uomini in pantaloncini. Le preziose poche donne che partecipavano sembravano essere a degli appuntamenti».

I suoi gesti sono quelli di un uomo forte che si circonda di uomini forti. Dopo essere sopravvissuto al tentato assassinio è salito sul palco della convention nazionale repubblicana accompagnato dall’ex wrestler Hulk Hogan, che alla folla ha detto: «Sono stato sul ring con alcuni dei più grandi, dei più cattivi del pianeta. Trump è il più duro di tutti». Ma anche la decisione di farsi intervistare su X da Elon Musk o di andare dallo youtuber e wrestler Logan Paul rientra nella strategia di corteggiamento di un certo gruppo di elettori uomini.

Al contrario, Kamala Harris, «la gattara infelice e senza figli» (cfr. J.D. Vance), pur non dichiarandosi apertamente femminista si è schierata a favore di alcuni temi che saranno centrali in queste elezioni e che interessano da vicino le donne: la salute femminile e il diritto all’aborto. Inoltre, ha detto di volere un paese capace di garantire «un’assistenza all’infanzia accessibile e un congedo parentale retribuito».

EPA

Divario di divorzio

Oltre a studiare la differenza di voto tra uomini e donne è possibile andare ancora più in profondità. Daniel Cox, direttore del Survey center on american life, un’organizzazione apartitica dell’American enterprise institute, ha indagato la categoria degli uomini e delle donne divorziate, evidenziando che esiste un «divario di divorzio» nella politica americana.

Secondo i dati presentati nella sua newsletter American Storylines, il 56 per cento degli uomini divorziati (e non risposati) ha dichiarato di votare per Trump, rispetto al 42 per cento delle donne nella stessa situazione. E l’elemento interessante è che la differenza di voto è maggiore tra le persone divorziate rispetto a tutti gli altri gruppi presi in esame (sposati e single).

Secondo Cox, queste percentuali non possono derivare da una stranezza nei dati poiché il modello emerge da diverse fonti affidabili. E non è nemmeno un fenomeno nuovo, la divisione è rintracciabile a partire dagli anni Duemila. «Tuttavia, nell’ultimo decennio, il divario di genere nell’identità politica di questo gruppo è cresciuto. I sondaggi Gallup mostrano che il gap politico tra uomini e donne divorziati è più grande oggi rispetto agli ultimi vent’anni».

Le cause

Non è possibile stabilire con certezza perché il divario politico in questo gruppo si stia espandendo. Cox prova a fare delle ipotesi. Secondo lui, lo spostamento a destra degli uomini divorziati è una prova del fatto che gli americani che «trascorrono più tempo da soli sono più propensi a sviluppare un approccio non razionale alla politica», alimentando la tendenza che vede gli interessi politici maschili e femminili fondamentalmente in contrasto.

La politica americana oggi è caratterizzata da una spaccatura. «Più di qualsiasi altro momento nel passato recente, li sta spingendo in direzioni opposte piuttosto che unirli. Troppo spesso i candidati parlano esplicitamente degli interessi individuali di uomini e donne, invece di offrire un’unica visione condivisa».

La motivazione, quindi, non sarebbe tanto da indagare nell’elettorato ma in chi fa politica. E questo andrebbe a scapito del paese. «Abbiamo un disperato bisogno di coltivare l’opportunità per gli uomini e le donne di vedersi, capirsi. La politica non ha creato l’attuale spaccatura di genere, ma sta peggiorando le cose. E le conseguenze non saranno positive».

Seguendo questo ragionamento sembra quindi logico sostenere che donne e uomini a novembre voteranno in modo diverso, che sono (e saranno) molto polarizzati: le prime verso i democratici e i secondi verso i repubblicani. C’è però chi ritiene che la questione sia più sfumata di come sembra e che non esista – o non sia verificabile al momento – una polarizzazione così definita.

Polarizzazioni sfumate

Come spiega il giornalista Zack Beauchamp su Vox, nelle democrazie avanzate c’è un gap politico di genere di lunga data tra gli uomini e le donne. «Ma il divario è spesso piccolo, le sue cause sono poco chiare e gli effetti sono in genere sopravvalutati. Sebbene sia possibile che questa distanza si stia ampliando tra i giovani, le argomentazioni non sono così nette».

Secondo l’autore, infatti, per un sondaggio politico è possibile ottenere un campione rappresentativo del paese, ma è più complicato campionare persone provenienti da particolari sottogruppi, come le donne under trenta. E, anche avendo a disposizione i dati, non è detto che siano interpretati sempre in modo corretto. Anche il politologo John Sides ha confermato che «i dati sono troppo incoerenti per essere sicuri di qualsiasi cosa».

Il divario di genere crescente tra la generazione più giovane di elettori americani potrebbe quindi esserci ma, secondo l’esperto, serviranno altre analisi per esserne sicuri.

© Riproduzione riservata