- Le dichiarazioni ufficiali e i fatti non sono mai stati così distanti. Per essere precisi c’è una distanza calcolabile dell’86 per cento tra le promesse fatte dai grandi del G20 e quel che davvero stanno realizzando.
- Per quanto a parole tutti riconoscano la grave disuguaglianza vaccinale, il G20 e l’Ue in particolare non intende sbloccare i brevetti. Continuano le solite promesse di donazioni, ma finora gli impegni sono stati realizzati solo al 14 per cento. L’Italia stessa ha donato solo 6 dei 45 milioni di dosi annunciati.
- I leader si fanno fotografare col personale sanitario ma escludono sempre più la società civile dalle decisioni, come racconta la civil society del C20.
Le dichiarazioni ufficiali e i fatti non sono mai stati così distanti. Per essere precisi c’è una distanza calcolabile dell’86 per cento tra le promesse fatte dai grandi del G20 e quel che davvero stanno realizzando. Vale per i manifesti d’intenti su pandemia e vaccini, perché da mesi vengono annunciate soluzioni – e donazioni – che però non arrivano, se non al 14 per cento di quanto promesso. E vale pure per le dichiarazioni di pronto soccorso al multilateralismo.
Scendere dalla Nuvola
Per raccontare al mondo il loro vertice, i capi di stato e di governo del G20 raccolti dentro la Nuvola di Fuksas a Roma hanno scelto una foto di famiglia inusuale: tra di loro, il personale sanitario impegnato in prima linea a fronteggiare Covid-19. In quegli stessi istanti, tenuta fuori dalla Nuvola, la C20 (dove la C sta per civil society) e la sua presidente Stefania Burbo assistevano sconcertati. «Ci tengono fuori dalle decisioni, gli spazi di dialogo con la società civile si restringono sempre più». Fuori dai riflettori delle foto simbolo, per le istanze della società civile non c’è posto. Il tema cardine di questo sabato, e cioè la disuguaglianza di accesso ai vaccini, è l’esempio principe. «Vogliamo azioni concrete – dice Burbo – e non queste promesse vuote».
La vetrina
«Ci sono disparità sconvolgenti nella distribuzione globale dei vaccini», ha detto sabato al vertice Mario Draghi, che ha la presidenza del G20. «Nei paesi ad alto reddito oltre il 70 per cento ha avuto almeno una dose, nei più poveri il 3 per cento».
Una divaricazione che è sui tavoli internazionali da mesi e mesi, e che l’Unione europea affronta sempre nello stesso modo: annuncia donazioni di dosi e di soldi, promette che le aziende farmaceutiche saranno collaborative. Evita ogni apertura sostanziale sulla sospensione dei brevetti, che al G20 è stata sollecitata da Xi Jinping, presente solo in collegamento. Al di là delle dichiarazioni di intenti – «bisogna vaccinare il 70 per cento entro metà 2022» – dal G20 non esce nessun radicale cambio di prospettiva. Non è chiaro quindi come il premier intenda «onorare le promesse».
Lista di disillusioni
Il G7 e Team Europe, cioè l’Ue più Norvegia e Islanda, hanno promesso di donare quasi due miliardi di dosi (1,8). Ai paesi a basso e medio reddito ne sono effettivamente arrivati 261 milioni, cioè il 14 per cento di quanto promesso. Dall’Italia nello specifico, Draghi aveva promesso in dono 45 milioni di dosi; quelli effettivi sono solo sei. I paesi ricchi dovevano far arrivare a Covax più di un miliardo di vaccini, ne è arrivato effettivamente meno del dieci per cento.
A maggio, al Global Health Summit di Roma, Draghi e la presidente della Commissione europea annunciano trionfanti: «Le aziende ci hanno promesso di fornire entro il 2022 dosi a prezzo di costo ai paesi poveri e a prezzo calmierato a quelli a medio reddito». Ad ora non è successo. Al netto delle donazioni, le quattro Big Pharma – Pfizer BioNTech, Moderna, J&J e AstraZeneca – hanno consegnato direttamente ai paesi a basso reddito lo zero per cento delle dosi. E a Covax? «Pfizer e Moderna hanno venduto in totale meno del 2 per cento delle proprie forniture globali al programma; Moderna e J&J non hanno consegnato a Covax neppure una dose», dice Sara Albiani, responsabile salute globale di Oxfam.
Un club ristretto
Eppure la soluzione per una svolta significativa ci sarebbe, consentirebbe di avere otto miliardi di dosi pronte entro un anno, e a chiederla è la stessa Organizzazione mondiale della sanità: “TRIPS waiver”, cioè deroga sui brevetti.
Tedros Adhanom Ghebreyesus ha fatto capire chiaramente ai ministri della Salute e delle Finanze del G20 che senza la deroga non è proprio realistica la promessa fatta dai grandi di riequilibrare le diseguaglianze. Ma a proposito di multilateralismo a parole, in sede di Organizzazione mondiale del commercio un pugno di ricchi – l’Ue, il Regno Unito… – continua a proteggere la proprietà intellettuale e gli interessi delle farmaceutiche, e tiene in ostaggio i tanti altri, più di cento, che chiedono la deroga da ottobre 2020. Un anno è passato: il tempo che avrebbe consentito otto miliardi di dosi in più.
Nel frattempo nei paesi ricchi anche i vaccini, come le promesse, scadono: almeno cento milioni di dosi rischiano di scadere entro fine anno nei serbatoi dei paesi del G7, e la cifra potrebbe salire a 241 milioni se i paesi poveri rifiutassero dosi praticamente scadute. Al ritmo attuale di donazioni, calcola Airfinity, a metà del 2022 i vaccini scaduti invece che andati ai paesi bisognosi sarà di quasi un miliardo (800 milioni).
«Il multilateralismo è la migliore risposta ai problemi di oggi», è lo slogan di Draghi al G20. Intanto però anche in quest’ambito promesse e fatti divergono. Il G20 è un club, il multilateralismo implica la partecipazione paritaria di tutti, e la sua prima sede se si tratta di salute è l’Oms. Invece la presidenza italiana è riuscita a mettere a segno almeno parzialmente un progetto di board che riguarda il G20 e qualche altro paese, e che oltre a mettere insieme i ministri di salute e finanza aspira a una governance ibrida: vuol coinvolge privati, partnership coi privati come Gavi, istituzioni finanziarie.
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