Il fattore religioso è da sempre uno degli aspetti centrali nella corsa per la conquista della Casa Bianca, e potrebbe essere così anche questa volta. La scelta compiuta da Donald Trump di candidare James David Vance alla vicepresidenza, risulta infatti importante, fra le altre cose, per questa ragione.

Vance, 40 anni, è un cattolico convertito nel 2019, e rappresenta il pezzo che mancava alla grande alleanza conservatrice-tradizionalista che sostiene il candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti.

La forza d’urto dell’elettorato che sta spingendo Trump, è infatti costituita dal blocco degli evangelici bianchi; era assente tuttavia da questa ondata – forte ma circoscritta – una voce espressione del cattolicesimo conservatore, tale da poter essere considerata un riferimento per la destra cattolica e per il movimento “pro-life” (gli antiabortisti), storicamente ben radicato nei settori conservatori della chiesa cattolica a stelle e strisce.

Ora, però, con il candidato «inviato da Dio», secondo uno degli slogan della campagna presidenziale di Donald Trump ispirato dalla galassia evangelica, e il giovane cattolico neoconvertito quale suo possibile vice, la saldatura di fatto già esistente fa cattolici tradizionalisti e identitari e evangelici, diventa una realtà politica capace di brandire la Bibbia e il fucile, difendere a qualsiasi costo i confini nazionali dai flussi migratori, promuovere a tutta forza la famiglia tradizionale – diffidando dei single e detestando le persone Lgbt – e soprattutto di dire un no forte e chiaro all’aborto.

I “pro choice”

Dall’altra parte sta – per ora – il democratico Joe Biden, l’anziano presidente, cattolico anche lui, ma figlio dell’impostazione del Concilio Vaticano II. Il presidente non è favorevole all’aborto tuttavia difende il diritto di scelta delle donne (”pro choice”), tanto più dopo la sentenza della Corte suprema, dominata da giudici nominati da Trump, che nel giugno del 2022 ha rovesciato lo storico pronunciamento della stessa Corte del 1973 con la quale si affermava il diritto all’aborto a livello federale.

Il tema è di quelli nevralgici nella prossima campagna elettorale: se infatti molti vescovi cattolici hanno recepito con favore la storica vittoria, la stessa base cattolica sul tema appare piuttosto divisa e, in generale, il divieto assoluto all’aborto propagandato dall’ala più intransigente del movimento pro-life, sembra essere stato, fino a oggi, più un fattore di mobilitazione degli oppositori di Trump, a cominciare dalle donne, che un elemento in grado di suscitare consenso.

Peraltro, da quando è stata resa nota la sentenza che cancellava il diritto all’aborto, in diversi stati si sono svolti referendum nei quali ha avuto la meglio chi si batteva per introdurre o rafforzare il diritto all’interruzione di gravidanza (compreso l’Ohio del senatore Vance).

Il risultato è stato quello di un’America con legislazione a macchia di leopardo, con il rischio che si verifichino migrazioni interne, da uno stato all’altro, solo per poter abortire.

Tanto che, da ultimo, Trump e lo stesso J.D. Vance, hanno ammorbidito un po’ i toni. In particolare dopo che la Corte suprema ha deciso che le donne potevano avere accesso alla pillola abortiva. Prima il tycoon, poi il suo candidato vicepresidente, hanno dato il loro ok all’uso de farmaco.

D’altro canto, Vance aveva detto alla Cnn qualche tempo fa: «Dobbiamo accettare che le persone non vogliono divieti generalizzati sull’aborto. Semplicemente non lo vogliono. Lo dico come persona che vuole proteggere quanti più bambini non ancora nati possibile. Dobbiamo prevedere eccezioni per la vita della madre, lo stupro e così via».

Cattolici in conflitto

Se quello dell’aborto è indubbiamente un tema chiave, resta il fatto che di solito chi conquista la maggioranza del voto cattolico, sia pure di misura, vince la Caca Bianca.

In tal senso la candidatura di J. D. Vance, potrebbe anche risultare la mossa decisiva pure in considerazione delle difficoltà che sta incontrando la campagna di Biden.

Certo, resta da vedere come si orienterà, per esempio, la forte e articolata comunità dei “latinos”, gruppo dove maggiore è l’influenza cattolica (ma non esclusiva, cresce infatti anche qui la parte evangelica), e nella quale un differente approccio alle politiche migratorie potrebbe avere il suo peso.

Va detto, però, che i democratici pure su questo fronte vivono un momento non semplice stretti fra le esigenze di arginare il flusso umano proveniente dal confine col Messico e l’esigenza di non rinunciare a una tradizionale politica di accoglienza, in particolare verso rifugiati e richiedenti asilo.

Da una parte, insomma troviamo tanti vescovi e un cattolicesimo identitario, concentrato sulle tematiche bioetiche – in primis il rifiuto dell’aborto – e familiari, dall’altra una chiesa impegnata nell’accoglienza, nella promozione degli esclusi, dei poveri, nell’allargamento dei diritti.

Non sembra dunque che il tentativo di Francesco di far intendere che la dottrina sociale della chiesa vada accettata tutta intera abbia avuto grande successo Oltreoceano, almeno a giudicare dai toni della campagna elettorale, dove ciascuno dei contendenti sembra avere un proprio elenco di principi non negoziabili.

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