Il sovranismo neutralista di J. D. Vance, che ha combattuto in Iraq e Afghanistan (e ne è uscito deluso e critico sulle decisioni politiche a monte), impronterà senza dubbio la politica estera della prossima amministrazione di Donald Trump.

Quest’ultimo ormai ha davanti a sé un’autostrada per la Casa Bianca. I democratici si sono impantanati per aver mentito a sé stessi ed essersi celati una realtà evidente a tutti. Hanno preferito privilegiare le beghe interne rispetto al governo del paese, cioè assicurare lo spazio a tutte le correnti del partito che solo Joe Biden garantiva.

La testardaggine di mantenerlo come candidato malgrado le sue lampanti défaillance è dipeso solo da questo. Ma da nessuna parte si sceglie un leader solo in base a equilibrismi politicistici. Troppa politica politicante uccide. Inoltre hanno fatto affidamento sulla magistratura per eliminare il concorrente, dimenticando una lezione che le sinistre scordano spesso: i magistrati non servono per questo, non rappresentano un’arma politica; affidarsi a loro per tale scopo è solo pia illusione.

Doppio colpo

Con Vance, il maverick Trump confeziona un doppio colpo. Da una parte riceve l’unzione del partito repubblicano di una volta, quello che sembrava obliterato: conservatore, rispettoso dei doveri e delle leggi, legato alla tradizione militare, capace di sacrifici e che onora i veri underdog all’americana, cioè senza vittimismi di alcun tipo.

Dall’altra si crea un giovane potenziale successore che sarà difficile da trascurare per i vecchi repubblicani esclusi da The Donald, e che nemmeno i democratici (Vance lo era fino a qualche anno fa) potranno criticare troppo.

Basta leggere Elegia Americana (ma anche guardare il film) per rendersene conto. Tradotto in italiano già nel 2020, un vero manifesto dell’americano che si fa da sé in mezzo a terribili ostacoli economici, sociali ma soprattutto familiari. Senza mai lamentarsi e cogliendo tutte le opportunità dell’America: paese che non ti fa sconti né ti coccola ma che, se sai combattere (e qui risuona il fight! fight! fight! di Trump dopo l’attentato), sa apprezzarti e portarti in cima.

Richard Nixon era figlio di un benzinaio; Ronald Reagan di un commesso viaggiatore e impiegato di magazzino come anche il padre di Bill Clinton, che morì prima della sua nascita. Il secondo marito della madre la picchiava ed era un ubriacone, esattamente come racconta Vance della sua famiglia.

Molto diversi gli altri casi: il padre di Jimmy Carter era un apprezzato politico locale; i Bush sono una famiglia di ricchi possidenti e imprenditori del petrolio; i Kennedy si sono costruiti l’immagine di una sorta di munifici aristocratici della East Coast; Gerald Ford era nato in ambiente benestante (con i genitori divorziati); la saga afro-hawaiana di Barack Obama è arcinota così come la facoltosa discendenza dello stesso Trump.

Contro tutto e tutti

Talvolta piace agli americani premiare chi emerge dal nulla, chi si costruisce il destino contro tutto e contro tutti. Questo è stato J. D. Vance ben prima che Donald Trump lo individuasse, anzi: nel 2016 lo aveva addirittura contrastato e criticato fortemente, un “nevertrumper” come si dice.

Ma in politica tutto cambia continuamente e ora Vance può rappresentare per Trump quell’America che gli manca, accanto a quella arrabbiata, fanatizzata, millenarista o suprematista che già possiede: l’America seria, conservatrice e legata ai valori, che si sacrifica, che sa combattere senza lamentarsi né dare la colpa ad altri per i propri guai.

Chi sa se Vance non sarà anche l’uomo che potrà incollare i pezzi del partito repubblicano che fu, quello di Abraham Lincoln, il partito della fine della schiavitù e della vittoria nella guerra civile? Dovrà imparare stando accanto a uno dei presidenti più controversi e complicati della storia politica americana.

Probabilmente – come un po’ tutti i vicepresidenti – dovrà ingoiare parecchi rospi ma è ancora giovane: ha tempo e se resiste potrà farcela a riprendere in mano uno dei due partiti della più forte democrazia occidentale che oggi naviga in acque tempestose. Chissà se alla fine ciò sarà un bene. 

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