Garantire il nostro futuro. Metterlo in sicurezza. Il motto con cui Keir Starmer ha deciso di accogliere per il vertice di Londra una quindicina di leader europei e i rappresentanti di Canada e Turchia è emblematico. Del resto il momento è critico.

Il futuro a cui si riferisce il premier britannico è in primis quello del Vecchio continente. Poi quello dell’intero Occidente, complice la divisione che sembra sempre più ampia tra le due sponde dell’Atlantico. Entrambi, però, passano per il futuro dell’Ucraina.

L’impegno europeo

A Lancaster House, la lussuosa sede al centro della City, è stato ospite d’onore Volodymyr Zelensky. Il presidente ucraino è atterrato sabato a Londra, dove ha incassato il sostegno emotivo ed economico di Starmer. Dal Regno Unito arriverà un prestito da 2,26 miliardi di sterline per la difesa ucraina, che sarà finanziato dagli asset russi congelati. E altri 1,6 miliardi per la difesa aerea di Kiev.

Il nodo principale delle discussioni a Londra, però, è stato un altro: cosa può e deve fare l’Europa per rafforzare la propria difesa e per arrivare a una pace duratura tra Kiev e Mosca. Starmer lo ha preannunciato prima della riunione: Regno Unito e Francia sono al lavoro per preparare, insieme all’Ucraina, un piano per porre fine alle ostilità con la Russia.

Il premier britannico ha riferito che potrebbero aggiungersi uno o due paesi europei: chi potrebbe essere interessato e avere la forza per essere decisivo? Forse la Polonia, di un claudicante Donald Tusk arrivato a Londra con un vistoso tutore per il ginocchio. Forse l’Italia, o forse l’influente Turchia di Recep Tayyip Erdogan. Ad ogni modo, il piano di pace sarà presentato agli Stati Uniti.

I dettagli non si conoscono, ma prevederà il coinvolgimento di una coalizione di volenterosi, e non di tutta l’Unione europea, per l’invio di peacekeepers. Si spingerà con l’amministrazione Trump per avere l’ormai famoso backstop americano, una sorta di ombrello dagli Usa, su cui da Washington sono al momento scettici.

Andrà trovata una quadra, ma quantomeno sono timidi segnali di protagonismo europeo. Anche perché c’è bisogno di uno scatto dell’Europa, di un impegno maggiore. La conferma, per chi non era ancora convinto, l’ha data il consigliere per la Sicurezza nazionale Usa, Mike Waltz.

«Sarà l’Europa ad occuparsi della sicurezza in Ucraina» ed è al momento «prematuro parlare del ruolo degli Stati Uniti», ha specificato. Un messaggio recepito. Almeno a parole, visto che Ursula von der Leyen ha invocato un massiccio e urgente riarmo del continente, il cui programma sarà presentato il 6 marzo al Consiglio europeo.

L’attivismo di Meloni

L’asse con Washington però non può e non deve essere rotto. È il pensiero di Starmer, e del segretario della Nato Mark Rutte anche. Così come di Giorgia Meloni: non vuole che l’Occidente si divida. E non vuole «tifoserie». La premier italiana, dopo lo scontro a Washington tra Zelensky e Donald Trump di venerdì, non ha mostrato solidarietà all’ucraino, caldeggiando invece l’idea di un incontro tra alleati e Usa.

A Londra ha incontrato bilateralmente sia Starmer sia Zelensky. Con il primo, oltre a discutere di Ucraina, Meloni ha parlato delle relazioni tra Italia e Regno Unito. Palazzo Chigi ci ha tenuto a far sapere che «particolare attenzione è stata dedicata al contrasto alla migrazione irregolare e alla lotta alla tratta degli esseri umani». Focus anche sulla difesa e sul Gcap (Global Combat Air Programme), il progetto comune – insieme al Giappone – del caccia di sesta generazione.

Al presidente ucraino, invece, Meloni ha ribadito il sostegno italiano all’Ucraina e al suo popolo, oltre che l’impegno di costruire una pace giusta e duratura che possa assicurare «un futuro di sovranità, sicurezza e libertà all’Ucraina».

Ma la leader di Fratelli d’Italia, in un punto stampa post vertice, si è detta perplessa sull’invio di truppe europee, paventando invece l’ipotesi di un meccanismo in cui l’Ucraina possa usufruire dell’articolo 5 della Nato, quello della difesa reciproca da attacchi esterni, senza però un ingresso ufficiale.

Gli affondi contro Zelensky

Da Londra è emersa la volontà di rimanere al fianco dell’Ucraina per tutto il tempo necessario e di sostenere Zelensky, ricevuto anche da re Carlo a Sandringham. Nel frattempo dagli Stati Uniti e dalla Russia sono arrivati attacchi diretti al presidente ucraino.

Il segretario di Stato Marco Rubio ha affermato che il leader di Kiev ostacola i negoziati, visto che continua a cercare di «spiegare la storia dal punto di vista ucraino». Dalle parti di Washington sembrano però non vedere quanto continuano a dire o a fare i russi. Oltre ai bombardamenti costanti sul territorio ucraino, il ministro degli Esteri di Mosca Sergei Lavrov ha infatti definito Zelensky un «nazista puro» e «un traditore del popolo ebraico». A proposito di storia e punti di vista.

Ora il passo indietro di Zelensky sembra essere un obiettivo sia del Cremlino sia della Casa Bianca. Curioso come a Lancaster House fosse presente anche Valery Zaluzhny, l’ex generale ucraino, considerato un possibile candidato alle prossime presidenziali a Kiev e favorito contro una rielezione di Zelensky.

Certo, da ambasciatore ucraino a Londra aveva diritto a esserci. È stato però l’unico diplomatico a entrare dalla porta principale, come i capi di stato. Nessuna dietrologia, ma la sua presenza può essere stato un messaggio a Usa e Russia: quello che si è deciso, lo si è deciso anche con chi potrebbe guidare l’Ucraina in futuro.

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